BURNOUT: QUANDO LO STRESS CI PORTA ALL’ESAURIMENTO

 


Ti è mai capitato di superare il limite di sopportazione?

Ti sei mai sentito oppresso da richieste che inizialmente ti motivavano ed entusiasmavano?

Hai mai percepito un sentimento di distacco e freddezza nei confronti di amici o collaboratori dei quali, fino a poco tempo prima, cercavi la compagnia?

 

Se ti è successo, sicuramente non può essere etichettato come semplice stress, ma probabilmente eri già passato alla fase successiva: il cosiddetto burnout. Il burnout è una risposta prolungata a fattori di stress emotivi ed interpersonali cronici; in termini tecnici, viene definito come una sindrome di esaurimento fisico ed emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale.

 

Il termine in italiano può essere tradotto come “scoppiato”, “esaurito” ed è apparso per la prima volta nel 1930 nel mondo dello sport, per indicare l’incapacità di un atleta, dopo vari successi, di ottenere ulteriori buoni risultati o di mantenere quelli acquisiti.

Inizialmente, tale “disturbo” veniva evidenziato principalmente nelle professioni con un’elevata componente relazionale, soprattutto in quelle che dovevano occuparsi della cura e del benessere di altre persone (medici, caregiver, psicologi, insegnanti…). Successivamente, vennero incluse anche altre categorie di lavoratori, cioè tutti quei professionisti che hanno un contatto frequente con il pubblico come ad esempio avvocati, politici, impiegati, segretari,…Ma lo sviluppo più importante della vicenda, si ebbe quando si arrivò a non considerare più questa sofferenza come un’esclusiva del lavoratore individuale ma, al contrario, si è visto che essa può “attaccare” varie tipologie di persone in ambiti diversi dal luogo di lavoro, come ad esempio nello sport o in famiglia, in quanto dipende molto da dinamiche sociali, ambientali, economiche e politiche.

 

 

Le cause del burnout

Maslach e Leiter (1997) hanno definito il burnout come un’erosione dell’impegno nel lavoro. Secondo gli autori, il burnout ha maggiori probabilità di presentarsi quando viene percepita una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura delle persone che svolgono tale professione, quindi ad esempio quando le mansioni richieste vanno contro i propri ideali o le proprie credenze. Queste discordanze possono essere sperimentate in sei ambiti della vita organizzativa: carico di lavoro, ricompense, equità, controllo, valori e senso comunitario.

Nello specifico il burnout non è un problema dell’individuo in sè, ma spesso è causato dal contesto sociale nel quale si opera: ad esempio, quando l’ambiente lavorativo non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta. Inoltre, esso non si tratta di una “malattia” che riguarda solo il soggetto nella sua individualità, ma può essere considerata una sindrome contagiosa che, in maniera altalenante, può propagarsi tra colleghi, collaboratori, membri della stessa èquipe, così da influenzare l’intera organizzazione.

Qui di seguito vi mostrerò un elenco di possibili cause suddivise in 4 tipologie: cause specifiche, fattori individuali, fattori socio-demografici e problemi nella struttura organizzativa (Castello e Borgia, 2019).

Alcune delle cause specifiche sono:

         sovraccarico di lavoro

         mancanza di controllo

         gratificazioni insufficienti

         crollo del senso di appartenenza

         percezione di bassa equità

         valori contrastanti

         scarse ricompense e retribuzione inadeguata

 

Tra i fattori individuali troviamo principalmente caratteristiche di personalità:

         introversione (con conseguente incapacità di lavorare in équipe)

         tendenza a porsi obiettivi irrealistici

         adottare uno stile di vita iperattivo

         personalità autoritaria

         totale dedizione al lavoro, inteso come sostituzione della vita sociale

         percezione di se stessi come indispensabili

         motivazioni ed aspettative professionali

 

Tra i fattori socio-demografici ci sono:

         differenza di genere (le donne sono più predisposte degli uomini)

         età (nei primi anni di carriera si è più predisposti)

         stato civile (le persone senza un compagno stabile sono più predisposte)

 

Nella struttura organizzativa le tensioni sono generate da:

         Ambiguità di ruolo: informazioni scarse o insufficienti riguardo una determinata posizione lavorativa ed i suoi doveri.

         Conflitto di ruolo:  esistenza di richieste che il soggetto ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale.

         Mancanza di stimoli: attività lavorativa monotona e noiosa.

         Struttura di potere: esistenza di una gerarchia per i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo e possibilità che l’individuo possa partecipare alla presa di tali decisioni.

         Turnazione Lavorativa: insieme agli orari lavorativi può favorire linsorgenza della sindrome.

 

 

Le caratteristiche del burnout

La sindrome del burnout, ha maggiori probabilità di svilupparsi nelle situazioni di forte squilibrio tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel determinato lavoro. Le richieste quotidiane rivendicate dai vari ambiti di vita consumano l’energia e l’entusiasmo della persona: i contesti lavorativi pretendono una grande mole di impegno ed una forte dedizione; lo sport necessita di costanza e duri allenamenti; la famiglia e gli amici richiedono attenzioni e tempo da condividere. Inoltre, quando il successo e gli scopi personali (spesso troppo ambiziosi) sono difficili da conseguire, le persone perdono la motivazione e la dedizione, abbattendosi e attuando strategie sbrigative o di distanza per evitare impegni o appuntamenti, spesso isolandosi e vivendo in uno stato di malessere generale.

Tutto ciò comporta un deterioramento progressivo dell’impegno nei confronti del lavoro, quindi una professione inizialmente affascinante e ricca di prospettive, diventa successivamente sgradevole, demotivante ed insoddisfacente, ed un deterioramento delle emozioni, per cui l’entusiasmo e la motivazione vengono sostituiti da nervosismo, irritazione, ostilità, ansia e depressione.

L’enfasi, nel caso di questa sindrome, è posta sui sintomi mentali e comportamentali più che su quelli fisici; inoltre, tali sintomi, si manifestano in persone “normali”, cioè individui che fino a quel momento non soffrivano di nessun tipo di disturbo o psicopatologia.

Nel dettaglio, il burnout si caratterizza per alcuni sintomi somatici come l’insorgenza di varie patologie, per esempio disturbi cardiovascolari, ulcera, cefalea, difficoltà sessuali; sintomi aspecifici come l’apatia, l’insonnia, la stanchezza, il nervosismo e l’esaurimento; sintomi psicologici quali rabbia, risentimento, aggressività, resistenza, negativismo, bassa stima di sè, paranoia, rigidità di pensiero, difficoltà nelle relazioni, sensazione di fallimento, senso di colpa e criticità nei confronti degli altri.

Tutte queste situazioni di disagio minano il benessere del soggetto che, per combatterle, spesso utilizza alcuni “aiutini” come l’alcol, gli psicofarmaci o il fumo.

 

In sintesi, il burnout può essere racchiuso in tre dimensioni tipiche, definite da Maslach e Jackson nel 1981:

 

    Esaurimento. Stato mentale percepito quando si pensa di aver superare il proprio limite massimo sia a livello emozionale che fisico. Ci si sente prosciugati, senza energie ed incapaci di recuperarle, sempre all’erta e senza la possibilità di rilassarsi davvero, non si hanno le forze e la voglia di affrontare nuove persone, sfide o progetti. Solitamente, questa è una reazione allo stress provocato da alcuni cambiamenti di vita significativi o da richieste di lavoro eccessive.È il sintomo più ampiamente riportato dagli individui che soffrono di burnout.

 

    Cinismo (o depersonalizzazione). Comportamento negativo molto pericoloso per il benessere della persona e per il suo equilibrio psico-fisico. Rappresenta un tentativo di auto-protezione dall’esaurimento e dalle delusioni e può inficiare in maniera significativa sulle prestazioni lavorative. In poche parole, una persona viene definita cinica quando assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e dei propri colleghi o clienti, diminuendo al minimo il coinvolgimento emotivo, fino ad abbandonare i propri ideali o valori. L’individuo si sente più al sicuro dietro questa barriera di indifferenza.

 

    Inefficienza. Sensazione che assale le persone quando si ha l’impressione che il mondo stia tramando contro ogni tentativo di successo o di progresso, quando quel poco che si riesce a realizzare appare insignificante e si perde la fiducia nelle proprie capacità ed in sè stessi. In questo caso, qualsiasi nuovo progetto o sfida può essere percepito e vissuto come opprimente, troppo ambizioso ed irraggiungibile. Si ha la tendenza a valutarsi negativamente.

 

In termini di sviluppo esistono due teorie riguardanti queste tre dimensioni del burnout: la prima sostiene che il cinismo sia il primo elemento a manifestarsi, seguito poi dall’inefficacia ed infine dall’esaurimento; la seconda, invece, crede nello sviluppo simultaneo ma indipendente dei tre fattori, così da poter dare vita a più combinazioni differenti.

 

 

Segni e sintomi dettagliati (Castello e Borgia, 2019)


Concludo l’articolo con una rassegna dei principali sintomi del burnout, convinta che chiunque, almeno una volta nella vita ed in maniera inconsapevole, abbia manifestato tali segnali.

Vi ricordo, inoltre, che il burnout non è una malattia vera e propria, ma una condizione con la quale è facile scontrarsi, ma dalla quale si può anche tranquillamente uscire!


         Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno

         sensazione di fallimento

         rabbia e risentimento

         senso di colpa e bassa stima

         scoraggiamento ed indifferenza

         negativismo

         isolamento e ritiro (disinvestimento)

         senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno

         controllo frequente dellorologio

         notevole affaticamento dopo il lavoro

         perdita di sentimenti positivi verso gli utenti

         procrastinazione dei contatti con gli utenti, rifiuto delle telefonate e delle visite in ufficio

         incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che lutente sta dicendo

         sensazione di immobilismo

         cinismo verso gli utenti; atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti

         insonnia

         preoccupazione per sé

         assunzione di misure di controllo del comportamento come i tranquillanti

         frequenti raffreddori ed influenze

         frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali

         rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento

         sospetto e paranoia

         eccessivo uso di farmaci

         conflitti coniugali e famigliari

         alto assenteismo

 

Sintomi fisici

         stanchezza

         necessità di dormire

         irritabilità

         dolore alla schiena

         cefalea

         dolori viscerali

         diarrea

         inappetenza

         nausea

         vertigini

         dolori al petto

         alterazioni circadiane

         crisi di affanno

         crisi di pianto

Sintomi psichici

         stato di costante tensione

         irritabilità

         cinismo

         depersonalizzazione

         senso di frustrazione

         senso di fallimento

         ridotta produttività

         ridotto interesse verso il proprio lavoro

         reazioni negative verso familiari e colleghi

         apatia

         demoralizzazione

         disimpegno sul lavoro

         distacco emotivo

L'EFFETTO DEI SOCIAL NETWORK SULL'IMMAGINE CORPOREA


L’avvento dei social network ha completamente rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Un rapporto del 2019 ha stimato che 3.725 miliardi di persone sono socialmente attive e che circa il 48% della popolazione mondiale è un fruitore dei social media (Hootsuite & We Are Social, 2019). 

L'uso dei social nel corso degli anni ha avuto un riscontro positivo, permettendo alle persone di connettersi e di comunicare in tempo reale abbattendo qualsiasi barriera del tempo o distanza. Legami persi e poi ritrovati, continui aggiornamenti, velocità della comunicazione che ha reso più semplice lo scambio di informazioni, contatti, foto, video, messaggi, appuntamenti, sono solo pochi dei più disparati motivi per cui i social network rappresentano un vantaggio per le persone che li utilizzano. Oltre a numerosi e proficui benefici, esistono anche aspetti negativi che, se trascurati, possono essere molto pericolosi.
La ricerca, infatti, ha suggerito che l'uso dei social media può anche avere effetti psicologici indesiderati.
Ad esempio, si riscontrano decremento del livello di autostima (Bessenoff, 2006) e depressione (Orben & Przybylski, 2019). Inoltre, l'esposizione a contenuti relativi all'aspetto fisico è strettamente correlata all'insoddisfazione corporea, alla spinta verso la magrezza e all'interiorizzazione del sottile ideale rappresentato nei media (Tiggemann et al., 2010).

Una varietà di studi ha dimostrato principalmente associazioni positive tra l'uso dei social media e l'insoddisfazione corporea, soprattutto in campioni di giovani donne (de Vries, Vossen, & van der Kolk – van der Boom, 2019). L’immagine corporea è un costrutto multidimensionale caratterizzato dalle percezioni e dalle valutazioni dell’individuo in merito al proprio aspetto fisico (Cash e Pruzinsky, 2002). Già Schilder nel 1935 definiva l’immagine corporea come l’immagine del proprio corpo nella propria mente, ovvero il modo in cui il corpo appare a se stessi. In seguito, nel 1988, Slade la descrive più precisamente come “l’immagine mentale della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle sue singole parti”.

La valutazione personale riguardante la propria immagine corporea è da attribuire a tre componenti: una percettiva, ovvero il grado con cui si percepisce la propria forma corporea; una attitudinale, costituita da tutti quei vissuti elaborati attraverso una valutazione cognitiva; una affettiva, la quale riguarda i sentimenti provati verso il corpo; una comportamentale, come il paragone e il confronto con gli altri.
Anche Cash (2002) mette in risalto come l’immagine corporea sia “l’insieme di percezioni e atteggiamenti di ciascuno collegati al proprio corpo, includendo pensieri, convinzioni, sentimenti e comportamenti”.
L’insoddisfazione per la propria immagine corporea costituisce un aspetto dell’immagine frutto del malcontento soggettivo per la forma del proprio corpo in generale o per le dimensioni di alcune sue parti (Thompson, Heinberg, Altabe e Tantleff-Dunn, 1999). La discrepanza psicologica tra la percezione che una persona ha del proprio corpo e il suo corpo ideale può portare ad un sentimento negativo verso se stessi e a comportamenti nocivi per la propria salute (Cash e Pruzinsky, 2002; Thompson, 2004).
Varie evidenze empiriche hanno sostenuto l’importanza rivestita dalle variabili socioculturali come fattori implicati nello sviluppo della propria immagine corporea. L’interiorizzazione degli ideali di magrezza promossi dai media, indica l’incorporazione o l’accettazione degli standard socioculturali di attraenza al punto da diventare principi interiori in grado di guidare il successivo comportamento (Thompson et al., 1999; Cash, 2005). Secondo vari studi, l’interiorizzazione degli standard socioculturali di bellezza risulta uno dei fattori che maggiormente influenza l’insorgenza di disturbi dell’immagine corporea indipendentemente dalla cultura di appartenenza.

Un secondo quadro teorico che aiuta a spiegare la relazione tra alcuni fattori che sono coinvolti nella genesi dell’insoddisfazione corporea è la Teoria del Confronto sociale di Festinger (1954). Secondo tale teoria esiste una motivazione umana universale che spinge l’individuo a valutare le proprie capacità e caratteristiche attraverso il confronto con altre persone, preferibilmente simili a sé. Il confronto sociale è, quindi, il processo valutativo che implica la ricerca di informazioni e la formulazione di giudizi sul proprio sé messo a confronto con gli altri (Jones, 2004).

La ricerca è in continua esplorazione per riconoscere gli elementi specifici dell’attività mediatica che può determinare risultati negativi sull'immagine corporea attraverso processi di confronto sociale che rappresentano un'area chiave di preoccupazione (de Vries, Möller, Wieringa, Eigenraam e Hamelink, 2018).
I feed dei social media tendono ad essere popolati da foto di celebrità o influencer accuratamente filtrate e modificate che offrono ampie opportunità di confronti verso l'altro.
Il risultato finale è un ambiente caratterizzato da aspettative irrealistiche e idealizzate soprattutto per donne e ragazze.  In effetti, la facilità e l'accessibilità dei social media offrono opportunità molto maggiori per confronti sociali frequenti, multipli e rapidi (Tiggemann & Miller, 2010).
Poiché i paragoni basati sull'aspetto fisico possono particolarmente influire sull’aumento del livello di insoddisfazione corporea (Myers & Crowther, 2009), in risposta alla crescente condivisione di foto ritoccate ed irrealistiche, sono sorte nuove forme di attivismo online. In particolare, il "body positive movement" mira a sfidare gli ideali ristretti dominanti della bellezza, a scoraggiare il confronto sociale basato sull'apparenza ed a promuovere l'accettazione e la celebrazione di corpi di qualsiasi forma, dimensione o aspetto (Cwynar-Horta, 2016).

La ricerca emergente ha iniziato ad esaminare il potenziale effetto dei post attraverso la condivisone di contenuti positivi per il corpo sull'immagine corporea delle donne. Un recente studio di Cohen, Fardouly et al. (2019) ha mostrato che una breve esposizione a una serie di post positivi (compresi fotografie e didascalie) ha portato ad una riduzione dell'insoddisfazione corporea. L’accettazione verso il proprio sé è un buon modo di costruire un’immagine corporea positiva, senza rincorrere immagini e stereotipi proposti continuamente dai media. Per riuscire a sviluppare un’ immagine corporea adeguata è necessario credere in se stessi e nelle proprie capacità, avere un buon livello di autostima e soprattutto motivazione al cambiamento.

BIBLIOGRAFIA
Bessenoff, G. R. (2006). Can the media affect us? Social comparison, self-discrepancy, and the thin ideal. Psychology of women quarterly, 30(3), 239-251.
Cash, T. F., & Pruzinsky, T. (2002). Future challenges for body image theory, research, and clinical practice. Body image: A handbook of theory, research, and clinical practice, 509-516.
Cohen, R., Fardouly, J., Newton-John, T., & Slater, A. (2019). # BoPo on Instagram: An experimental investigation of the effects of viewing body positive content on young women’s mood and body image. New Media & Society, 21(7), 1546-1564.
Cwynar-Horta, J. (2016). The commodification of the body positive movement on Instagram. Stream: Interdisciplinary Journal of Communication, 8(2), 36-56.
De Vries, D. A., & Vossen, H. G. (2019). Social media and body dissatisfaction: investigating the attenuating role of positive parent–adolescent relationships. Journal of youth and adolescence, 48(3), 527-536.
De Vries, D. A., Möller, A. M., Wieringa, M. S., Eigenraam, A. W., & Hamelink, K. (2018). Social comparison as the thief of joy: emotional consequences of viewing strangers’ Instagram posts. Media psychology, 21(2), 222-245.
Hootsuite, W. A. S. Y. (2019). Digital in 2019. Essential insights into Internet, Social media, Mobile and Ecommerce use around the world.
Myers, T. A., & Crowther, J. H. (2009). Social comparison as a predictor of body dissatisfaction: A meta-analytic review. Journal of abnormal psychology, 118(4), 683.
Nerini A., Stefanile C., & Mercurio C., (2009). Body Image Disorders (pp 1-13. Milano: McGraw-Hill.
Orben, A., & Przybylski, A. K. (2019). The association between adolescent well-being and digital technology use. Nature Human Behaviour, 3(2), 173-182.
Thompson, J. K., Heinberg, L. J., Altabe, M., & Tantleff-Dunn, S. (1999). Exacting beauty: Theory, assessment, and treatment of body image disturbance. American Psychological Association.
Tiggemann, M., & Miller, J. (2010). The Internet and adolescent girls’ weight satisfaction and drive for thinness. Sex roles, 63(1-2), 79-90.
Tiggemann, M., & Polivy, J. (2010). Upward and downward: Social comparison processing of thin idealized media images. Psychology of Women Quarterly, 34, 356–364.
http://dx.doi.org/10.1111/j.1471-6402.2010.01581.x

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AUTRICE: ILARIA BASTONI



-Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche 

-Laurea Magistrale in Psicologia Clinica: Salute, Relazioni Familiari e Interventi   di Comunità 
-Master in Psicologia dello Sport – Psicosport s.r.l. Master professionalizzante in   psicologia applicata alle attività sportive
-Psicologa e ricercatrice referente dell’Unità Operativa Pneumologia e     Riabilitazione pneumologica 


LEADERSHIP ED APPLICAZIONI NEL MANAGEMENT


 

Al giorno d'oggi l'uso del termine leadership affronta diversi campi applicativi e compone una base fondamentale, in quelle che sono le vision e le mission di qualsiasi azienda.

Il termine deriva da ''To lead'', ovvero guidare, condurre, essere di supporto e sopratutto un esempio per il proprio team. Il buon leader deve possedere delle caratteristiche fondamentali come:

  • Empatia.
  • Carisma.
  • Disponibilità.
  • Capacità di valorizzare ogni membro del team. 
  • Umiltà.
  • Spiccate doti comunicative.
  • Problem Solving. 
Oltremodo sono richieste capacità di adattamento e gestione delle criticità con focus fondamentale nella comunicazione efficace (domande potenzianti). 

La leadership può essere definita come la capacità di motivare più individui a raggiungere un determinato obiettivo, comune e condiviso (1).

Di seguito verranno prese in analisi le tipologie coniate dallo psicologo e scrittore Americano Goleman, il quale definisce la leadership in 6 stili principali. Chiaramente ogni leader deve essere in grado di adottarne uno a seconda della propria personalità o di alternare le varie tipologie in base ai contesti in cui opera, ai momenti e agli obiettivi da raggiungere.

“… capacità di influenzare la gente, e aiutarla a lavorare meglio per raggiungere uno scopo finale in comune”

Lo stesso Goleman ha identificato 6 diversi stili di leadership, ognuno dei quali risponde a particolari esigenze aziendali. Chiaramente questi modus operandi, devono essere adattati in base alle circostanze e improntati al raggiungimento di un clima positivo. Di seguito i dettagli: 

  • Stile visionario: Pro; lo stile “visionario” secondo Daniel Goleman entra in gioco quando un'organizzazione ha bisogno di prendere una nuova direzione: l'obiettivo è quello di costruire un “sogno condiviso” per i dipendenti. Funziona molto bene quando il leader aziendale è credibile e carismatico. Il tutto non specifica la direzione da dover prendere ma delega quelle che sono le vision al fine del raggiungimento dello scopo. Contro; questo tipo di gestione è poco credibile dal momento in cui chi dirige non ha le skills o il ruolo adatto per poterlo fare (2)
  • Stile democratico: Pro; questo stile di leadership coinvolge le conoscenze e le competenze dei singoli, con l'obiettivo di creare impegno e consenso. Funziona bene quando la direzione che deve prendere l'organizzazione è poco chiara ma lo staff è esperto e affiatato. Contro; questo tipo di gestione può essere un'arma a doppio taglio dal momento in cui i propri collaboratori sono inesperti o poco responsabili. Anche in questo caso è possibile essere efficaci tramite un ascolto pro attivo, una gestione improntata al trascinamento e condivisione degli obiettivi (2)
  • Stile coach: Pro; l’obiettivo principale di un leader coach è quello di creare una connessione tra la mission dell’azienda e quelli che sono i desideri e i bisogni del lavoratore. Il ''coaching'' è un facilitatore di idee e supporta i propri collaboratori, avendo come obiettivo la massima espressione di performance e crescita (1)Contro; il coach lavora sull'espressione del potenziale e non come ''psicologo'' di gruppo. Questo tipo di gestione non deve sconfinare nella sfera personale dei collaboratori.
  • Stile esigente: Pro; focalizzato sull’obiettivo, esigente e risulta estremamente determinato e pertanto, spesso, poco empatico. Il manager in oggetto è una persona che ama il successo e che di conseguenza esige perfezione e rapidità dai propri collaboratori. Contro; Goleman mette in guardia il leader esigente, il rischio di minare le dinamiche di gruppo e di far sentire il team inadatto è piuttosto concreto.  Il modo migliore per evitare che ciò accada è dare il buon esempio mettendosi in gioco in prima persona (1).
  • Stile armonizzatore/affiliatore: Pro; perfetto per creare armonia in un gruppo di lavoro, lo stile che prederemo in analisi in questo paragrafo si focalizza sulla relazione. Si tratta di un approccio che tende a prevenire e ad evitare i conflitti tra i singoli componenti di un team. Non è difficile intuire che tale tipologia di leadership presuppone ottime capacità relazionali e comunicative, indispensabili lo sviluppo di una connessione tra le persone. Contro; la linea democratica risulta poco efficace in caso di collaboratori poco scolarizzati focalizzati esclusivamente al fine economico(1).
  • Stile autoritario: Solo Contro; quasi non ci sarebbe bisogno di descriverlo. Si tratta, molto semplicemente, di uno stile che tende verso la coercizione. Il capo autoritario impone la propria vision, esige rispetto, non ammette repliche e non accetta fallimenti. Non è difficile comprendere che un approccio così rigido, autorevole e autoritario porta alla creazione di un clima teso e di un’atmosfera di generale infelicità e insoddisfazione; il tutto notoriamente controproducente ai fini di una produttività di qualità. Da utilizzare in casi di profonda crisi e perdita completa dell'identità aziendale. Stile utilizzato nel management ''old school'', ricordando quasi il filone ''Taylorista'' (vedi Scientific Management)(1).

Oltre Goleman è interessante osservare la teoria di Carol Dweck, dove viene posto l'accento in quello che viene definito un mindset statico oppure dinamico. Nel primo caso avremo un soggetto convinto che le proprie capacità e talento siano innate e che per arrivare ad un obiettivo bisogna effettuare il minor sforzo con il massimo risultato. Questo tipo di soggetto non accetta la sconfitta e si pone sul piedistallo in caso di successo rispetto ai propri collaboratori, dandosi i meriti per il raggiungimento di qualsiasi tipo di KPI. Nel secondo caso, è possibile osservare una forma mentis che si fonda sul impegno, la valorizzazione delle qualità di base, leadership dinamica adattata, empatia e spiccate soft skills. Il soggetto con mindset dinamico predilige le sfide complesse è da il 150% delle sue energie per raggiungere il massimo risultato col il massimo sforzo. L'esempio perfetto con questo tipo di mentalità è Micheal Jordan. Di seguito una delle sue più importanti citazioni che rispecchiano quanto descritto da Dweck:

“Ho sbagliato più di 9000 tiri nella mia carriera. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, mi hanno dato la fiducia per fare il tiro vincente dell’ultimo secondo e ho sbagliato. Ho fallito più e più e più volte nella mia vita. È per questo che ho avuto successo.” – Michael Jordoan

Altri studi (Dweck et.all), dimostrano che questi mindset possono essere riscontrabili perfino dalle onde cerebrali. Lo studio effettuato nel laboratorio della Columbia, poneva l'accento su domande complesse con feedback positivi o negativi annessi. I soggetti con forma mentis statica mostravano interesse soltanto quando il feedback rispecchiava le loro capacità. Le onde cerebrali dimostravano che essi prestavano grande attenzione quando veniva detto loro se le risposte erano giuste o sbagliate. Quando invece venivano presentate informazioni che li avrebbero potuti aiutare a imparare, non appariva alcun segno di interesse. Perfino quando avevano dato una risposta errata non mostravano interesse a conoscere quale fosse quella giusta (3-10). 

Le persone con forma mentis dinamica prestavano grande attenzione a quelle informazioni che avrebbero potuto ampliare la loro conoscenza. Per esse l'apprendimento costituiva una priorità. 

Altro studio che prende in analisi manager di multinazionali effettuando due paragoni opposti:

  • Albert Dunlap; manager per sua stessa ammissione con un mindset statico, venne chiamato a risanare la Sunbeam. Scelse la strategia a breve termine per apparire come un eroe a Wall Street. Le azioni salirono alle stelle ma l'azienda crollò (mindset statico)(5-6-10).
  • Lou Gerstner, molto più propenso a un approccio mentale di tipo evolutivo, venne invece chiamato a risanare l'IBM. Inizialmente, il suo lavoro, finalizzato a riformare la cultura e politiche aziendali, non ebbe un effetto positivo sul valore azionario della società e Wall Street ironizzò sull'efficacia della sua azione, che molti definirono un vero e proprio fallimento. Pochi anni dopo, però, IBM era tornata ad essere nuovamente prima nel settore(4-6-10)

Da prendere in considerazione è il modello di Vroom e Yetton, i quali gettarono le basi per la leadership situazionale. 

Il modello decisionale di Vroom-Yetton è una teoria di leadership situazionale della psicologia industriale ed organizzativa, sviluppata da Victor Vroom, in collaborazione con Phillip Yetton (1973) e successivamente con Arthur Jago (1988). La teoria situazionale afferma che il miglior stile di leadership è contingente alla situazione. Questo modello suggerisce la selezione di uno stile di leadership per il decision making di gruppo.

Il Modello di Normativa Decisonale Vroom-Yetton-Jago identifica cinque diversi stili (dall'autocratico al consultativo alle decisioni group-based) sulla situazione e sul livello di coinvolgimento.

  • Autocratico 1 (Autocratic Type 1, AI) il leader prende la propria decisione utilizzando le informazioni immediatamente accessibili a lui in quel momento. Questo tipo è completamente autocratico.
  • Autocratico 2 (Autocratic Type 2, AII) il leader raccoglie le informazioni necessarie dai colleghi, poi prende la decisione autonomamente. Il problema o la decisione potrebbe o non potrebbe essere stata riferita ai membri del gruppo. In questo caso, il coinvolgimento dei membri è esclusivamente quello di fornire informazioni.
  • Consultativo 1 (Consultative Type 1, CI) il leader condivide il problema con i membri rilevanti come gruppo e ascolta le loro idee e i suggerimenti, poi prende la decisione autonomamente. I membri non si incontrano contemporaneamente e la decisione finale potrebbe o non potrebbe riflettere la loro influenza. In questo caso, il coinvolgimento dei membri è quello di fornire alternative individualmente.
  • Consultativo 2 (Consultative Type 2, CII) il leader condivide il problema ai membri del gruppo rilevanti e ascolta le loro idee ed i suggerimenti, poi prende la decisione autonomamente. In questo caso, i membri si incontrano, e attraverso le discussioni accettano le alternative degli altri. Anche in questo caso, la decisione del leader potrebbe non riflettere quella degli altri membri. Il livello di coinvolgimento è quello di aiutare come un gruppo nel processo decisionale.
  • Gruppo 2 (Group-based Type 2, GII) il gruppo discute il problema e la situazione con i membri del gruppo e successivamente ascolta le loro idee e suggerimenti tramite brainstorming. Il leader accetta ogni decisione e cerca di non imporsi sopra gli altri. La decisione viene presa in base alla scelta finale del gruppo.

Vroom & Yetton formulano inoltre sette domande sulla qualità della decisione, sul commitment, sull'accettazione della decisione, con la quale i leader possono determinare il livello del coinvolgimento nella decisione. Le risposte delle seguenti domande devono essere 'sì' o 'no' in base allo scenario analizzato.

  1. Esistono dei requisiti di qualità? La natura della soluzione è critica? Esistono basi tecniche o razionali per selezionare la migliore delle possibili soluzioni?
  2. Sono in possesso di informazioni a sufficienza per prendere una decisione valida al problema?
  3. Il problema è ben strutturato? Esistono sono metodi di valutazione alternativi per la sua valutazione?
  4. L'accettazione della decisione dai subordinati è critica ai fini della sua implementazione?
  5. Se stessi prendendo la decisione autonomamente, sono sicuro che sarebbe accettata dai miei subordinati?
  6. I subordinati condividono gli obiettivi dell'organizzazione nella soluzione del problema?
  7. È probabile che si verifichi un conflitto tra i subordinati nell'ottenimento della soluzione desiderata?

In base alle risposte date si può identificare lo stile di leader dal grafico in basso (6-7-8)(ulteriore fonte Modello Vroom/Yetton).





Dopo aver analizzato alcuni modelli di leadership è fondamentale unire lo studio riguardante la strutturazione delle emozioni. Perchè questo aspetto è importante ?
Non è esisterebbe leadership senza un aspetto emotivo. 
Di seguito verrà presa in analisi la distinzione tra le emozioni ALFA ed emozioni BETA:
  • Nel primo caso (ALFA) abbiamo le emozioni di tipo viscerale, improntate verso un traguardo sentito nel profondo del nostro io end state; ovvero quanto sento mio un obiettivo ? Lo sento come qualcosa che mi tocca davvero ? Provo passione per un certo obiettivo o lo vivo come uno dei tanti momenti ? Lo sento importante per i miei valori ?(9)
  • Nel secondo caso (BETA) abbiamo le emozioni che si provano per le azioni necessarie al raggiungimento dell'obiettivo operation. Quindi le attività e i singoli step necessari al fine; ovvero mi annoiano le operazioni intermedie e vorrei vedere solo il risultato finale raggiunto ? Provo invece piacere nell'azione, gusto del fare o dell'agire ?(9)

Entriamo nel mondo del lavoro effettuando un esempio pratico, analizzando le performance di un consulente o venditore: le emozioni alfa si attivano nel volere fortemente un risultato finale (vendita conclusa), le emozioni beta si attivano quando il venditore è emotivamente e positivamente coinvolto nella trattativa di vendita, nella strategia di preparazione, vede le trattative in sé come attività comunicativa e persuasiva interessante, come relazione di aiuto, o come sforzo di condivisione, o come esercizio di tattica e strategia, come sfida con te stesso, o come palestra del proprio stato o condizione mentale (attivazione emozioni beta)(9).
Per questo motivo ogni manager ha la responsabilità di dover far apprezzare tutto il percorso svolto dal proprio collaboratore al fine di creare la giusta attivazione delle due sfere emotive.

In conclusione avendo effettuato una breve analisi sulla letteratura presente, è possibile dedurre che la migliore strategia per poter mantenere un gruppo di lavoro emotivamente sano e positivamente orientato agli obiettivi è quello di adattare la leadership in base:
  • Alle situazioni ambientali.
  • Coinvolgimento, interesse, motivazione intrinseca, skills hard e soft del collaboratore. 
  • Creare un clima dove la crescita ed il raggiungimento degli obiettivi condivisi sia il primo step. 
Il leader o un motivatore che riesce a far visualizzare ed apprezzare il risultato finale atteso potrà generare motivazione autonoma.

Bibliografia 

  1. https://www.unicusano.it/blog/didattica/master/tipi-di-leadership/
  2. https://st.ilsole24ore.com/art/management/2016-06-21/sei-stili-leadership-visionario-183657.shtml?uuid=AD8qDWg
  3. https://www.nais.org/magazine/independent-school/winter-2008/brainology/
  4. A.J.Dunlap, B.Edelman, Mean Business: How I save Bad Companies and Make Good Companies great, Fireside/Simon & Schuster, New York, 1996; J.A. Byrne, ''How al Dunlap Self-Destructed, Business Week, july 6, 1998
  5. L.Gerstner, Who Say Elefants Can't dance ? inside IBM's Historics Turnaround, H.Collins, New York, 2002.
  6. Vroom, Victor H. ; Yetton, Phillip W. (1973). Leadership e processo decisionale . Pittsburgh: University of Pittsburgh Press. ISBN  0-8229-32660.
  7. Vroom, Victor H. ; Jago, Arthur G. (1988). La nuova leadership: Gestione partecipazione nelle organizzazioni . Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. ISBN  0-13-615030-6.
  8. Vroom, Victor ; Sternberg, Robert J. (2002). "Lettere teorici: La persona contro la situazione nella leadership". La trimestrale Leadership . 13 :301323. 
  9. D.Trevisani, Self Power, psicologia della motivazione e della performance, Franco Angeli/trend pag 22-25.
  10. C.Dweck, Mindset: the new phsychology of success, Franco Angeli editore, pag 32-33
Author: Dott. Gherardo Bertocchi, CEO/Founder di Scienze Salute Benessere


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