EMS WHOLE BODY: MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DOLOROSE NEL RACHIDE




Introduzione
Nella vita di tutti i giorni il nostro sistema nervoso centrale invia costantemente impulsi elettrici per controllare le azioni muscolari.
L’elettrostimolatore usa questo principio fisiologico, ed è in grado di intensificare il processo, per raggiungere gli strati muscolari più profondi che sono difficili da attivare attraverso l’allenamento tradizionale (1).
Il mal di schiena è ormai una costante nella vita privata e lavorativa di milioni di persone. Nello specifico, i dolori muscolo – scheletrici affliggono il 97% della popolazione. L’EMS Whole Body promette risultati nella prevenzione e riduzione del dolore (2).
EMS: applicazioni 
La stimolazione elettrica soprattutto quella a bassa frequenza (a meno di 1 kHz) è utilizzata in numerosi campi, che comprendono sia applicazioni mediche e terapeutiche, sia applicazioni sportive e funzionali.
Altri settori di applicazione sono la riduzione della tensione, il rilassamento muscolare e il massaggio.
L’allenamento full body con EMS è una forma di allenamento molto interessante, poiché tutti i gruppi muscolari possono essere stimolati a vari livelli.
Ciò procura un’elevata flessibilità nel controllo dell’intensità di allenamento per singoli gruppi muscolari, e riduce il tempo di allenamento (da 15 a 20 minuti).
Con l’allenamento full body con EMS a bassa frequenza si possono perseguire vari obiettivi, pertanto questo metodo di allenamento è utile in uguale misura sia per atleti amatoriali sia per quelli agonistici ad alto livello.
Numerosi studi hanno dimostrato che l’elettrostimolazione muscolare, come metodo di allenamento, può essere efficacemente utilizzata anche per aumentare la forza e la resistenza muscolare sia negli individui non allenati sia in quelli orientati al fitness.
Specialmente nell’allenamento della forza, l’EMS potenzia le contrazioni muscolari volontarie, sia statiche (isometriche) in una data posizione, sia dinamiche per una specifica escursione articolare (ROM) (3).


EMS: riduzione aderenze fasciali e trigger point
Le aderenze fasciali e trigger point, sono condizioni dolorose che coinvolgono la fascia ( tessuto connettivo ) e il tessuto muscolare.
Sono stati, descritti per la prima volta dal Dr. Travel nel 1942 presentano determinate caratteristiche: punto dolente nel tessuto muscolare o nella fascia, non causata da un trauma acuto, infiammazione, degenerazione, neoplasia e infezioni; il dolore può essere riferito ad un nodulo o a tutta la bandelletta contratta e può generare una “local twitch response”, ossia una contrazione involontaria provocata dalla stimolazione del punto trigger;  la palpazione del dolore riproduce la sensazione di dolore del paziente, che può essere riferito in alcune zone tipiche di riferimento per ogni trigger point il dolore non può essere spiegato da una valutazione neurologica.

Le cause possono essere molteplici:

-Anomalie posturali
-Sedentarietà
-Debolezza muscolare
-Anomalie scheletriche(ernie, protrusioni, schiacciamenti, sponidiloanterolistesi)
-Cicatrici

Le rotture del reticolo sarcoplasmatico avvengono a causa di sovraccarichi muscolari. Questo genera un’incontrollata liberazione di ioni calcio dal reticolo sarcoplasmatico che porta in un secondo tempo ad una contrazione continua dei sarcomeri.
La contrazione che si genera crea una compressione dei capillari adiacenti, una diminuzione dell’apporto di ossigeno e di energia richiesti. Per questa ragione si forma la cosiddetta crisi energetica con una conseguente e contemporanea diminuzione del riassorbimento di ioni calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico, facendo in modo che il meccanismo responsabile della contrazione si autoalimenti.
Tante di queste contrazioni creano delle bandellette palpabili che si possono palpare e si visualizzano tramite la risonanza magnetica oppure tramite ecografia (4).


Come agisce l’EMS whole body?
L’impulso associato ad una massima contrazione volontaria, richiamerà sangue nella zona interessata, apportando O2, che a sua volta rilascerà molecole di ATP ( adenosina trifosfato ), fondamentali per il rilascio del ‘’ciclo dei ponti trasversi’’ e normerà la crisi energetica data dalla rottura del reticolo sarcoplasmatico.
Il tutto associato ad un’adeguata prescrizione di esercizio fisico, permetterà di eliminare la causa primaria, scatenante i trigger point o aderenze fasciali e migliorerà la forza ed il sistema neuromuscolare.

Referenze
(1)G.Bertocchi, M. Cecchinelli; Manuale Tecnico Fit&Go; pag 26
fonte: https://www.lascienzainpalestra.it/attivita-fisica-elettrostimolazione-muscolare di Gherardo
Bertocchi.
(3)Fritzsche, D. Fruend, A. Horstkotte, D. Kleinöder, H.Mellwig, K.-P; Miha bodytec: medical fitness and healthcare special edition, pag 1-2; fonte:www.miha-bodytec.com.

ATTIVITA' FISICA ADATTATA NEL PAZIENTE CON INSUFFICIENZA RENALE CRONICA IN TRATTAMENTO EMODIALITICO




OBIETTIVO DELLO STUDIO

In sintesi l’esercizio fisico, specie se di tipo aerobico, è uno dei più efficaci interventi non farmacologici in grado di prevenire e/o ridurre il rischio cardiovascolare anche nei pazienti con insufficienza renale in trattamento dialitico, attraverso un effetto positivo su alcuni dei più comuni fattori di rischio cardiovascolare quali ipertensione arteriosa, sovrappeso, tolleranza glucidica, dislipidemia, alterazioni del tono dell’umore. Sebbene siano presenti in letteratura numerose evidenze di studi d’intervento, non è ancora ben chiaro quale sia la relazione tra i livelli di attività fisica svolta durante il periodo dialitico e gli effetti sulla capacità di performance fisica e sulla qualità di vita del soggetto dializzato. Pertanto lo scopo di questa tesi è stato quello di sviluppare un programma di attività fisica adattata che sulla base delle evidenze scientifiche oggi presenti in letteratura sia in grado di migliorare la performance fisica e la qualità di vita del paziente in trattamento emodialitico.

Proposta di un protocollo A.F.A per il soggetto con insufficienza renale cronica in trattamento dialitico
Numerose ricerche cliniche e sperimentali hanno incontrovertibilmente dimostrato che l’attività fisica adattata è un trattamento efficace per numerose patologie che spaziano da quelle cardiovascolari a quelle endocrino-metaboliche fino ad arrivare ai disturbi cognitivi e psichici.
L’attività fisica “adattata” (alle caratteristiche del singolo individuo, sia esso sano o malato) rappresenta un formidabile e poco costoso “farmaco”, dotato di un profilo di rischio-efficacia molto favorevole, che come precedentemente ricordato si è dimostrato molto efficace anche nel trattamento del soggetto con insufficienza renale cronica in trattamento dialitico.
L’elaborazione di programmi di attività fisica adattata (A.F.A.) è prerogativa del dottore in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate” che ha il compito di adattare la “terapia fisica” alle condizioni, le caratteristiche e le aspettative del soggetto in esame al fine di portarlo a raggiungere uno stato di benessere psico-fisico ottimale.
Partendo da queste considerazioni, ho sviluppato un protocollo di A.F.A. per i soggetti in trattamento dialitico.

Il protocollo ha una durata complessiva di 6 mesi e si basa su un programma di attività fisica combinata (esercizi aerobici + esercizi di resistenza + esercizi di stretching) da svolgere durante le sedute dialitiche.
Il programma prevede 3 sedute settimanali, della durata complessiva di 70 minuti, suddivise in due fasi:
 fase pre-dialitica (durata 40 minuti)
 fase intra-dialitica (durata 30 minuti)
Al termine di ogni seduta di allenamento viene eseguita una valutazione della fatica percepita dal soggetto (mediante la scala di Borg) per poter così regolare i carichi di lavoro per le sedute successive.
Per valutare e quantificare i cambiamenti nei parametri di performance fisica dei soggetti allenati vengono utilizzati tre differenti tipi di test (6 Minute Walking test, Chair Stand Test, Timed get-up and go test) che vengono somministrati prima dell’inizio del programma (tempo 0) e poi con cadenza bimestrale (tempi 2 e 4) fino al termine del protocollo di allenamento (tempo 6).
Per valutare i miglioramenti nella qualità di vita viene utilizzato un questionario validato lo “Short Form-36” che viene fatto compilare ai soggetti all’inizio e al termine del programma di A.F.A.

SEDUTA PRE-DIALITICA
La seduta di allenamento pre-dialitica può essere suddivisa in 3 fasi:
 una fase introduttiva di riscaldamento
 una fase centrale con esercizi di potenziamento muscolare soprattutto a carico di quei distretti muscolari che a causa sia della presenza della fistola di dialisi sia della posizione in cui si trovare il paziente non possono essere allenati durante la seduta intradialitica.
 una fase di defaticamento
Fase Introduttiva di riscaldamento
Lo scopo è l’attivazione e dei vari distretti muscolari del soggetto e dei vari apparati (cardiocircolatorio e respiratorio) che saranno maggiormente sollecitati durante l’esecuzione degli esercizi più intensi della fase centrale.
L’esecuzione di alcuni esercizi richiede l’utilizzo di elastici sia tradizionali sia di ultima generazione (sono elastici che presentano alle loro estremità delle maniglie), palline, manubri.
Tutti gli esercizi sono adattati alla condizione posturale del soggetto dializzato che durante la seduta dialitica si trova in posizione supina o semi-supina.
La seduta ha inizio con 5’ minuti di esercizi di stretching per la muscolatura di collo, schiena, arti superiori e arti inferiori.

Collo
Modalità di esecuzione:
Il soggetto in decubito supino ruota lentamente la testa a destra mantenendo tale posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi. Una volta ritornato alla posizione di partenza esegue lo stesso movimento in direzione opposta.
In tutto il soggetto deve eseguire 2 serie da 5 ripetizioni
Il soggetto in piedi flette il capo in avanti avvicinando il mento allo sterno e mantiene tale posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi.
Successivamente tornato alla posizione di partenza estende la testa all’indietro mantenendo tale posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi.
In tutto il soggetto deve eseguire 2 serie da 5 ripetizioni sia per la flessione sia per l’estensione.

Schiena (zona lombare)
Modalità di esecuzione:
Il soggetto in decubito supino gambe estese, flette la coscia destra sul bacino cercando di ridurre il più possibile lo spazio tra coscia e sterno. Dopo aver mantenuto tale posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi esegue l’esercizio con l’altra gamba.
In totale l’esercizio prevede l’esecuzione di 2 serie da 5 ripetizioni per lato.
Un altro esercizio per la zona lombare prevede che il soggetto in decubito supino con ginocchia flesse e bacino in retroversione stacchi dal suolo in maniera controllata da prima i glutei, poi le vertebre lombari ed infine le ultime dorsali.
Dopo aver mantenuto tale posizione per un periodo di circa 3 secondi ritorna lentamente alla posizione iniziale appoggiando al suolo prima le vertebre dorsali, poi le vertebre lombari e infine i glutei.
In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 5 ripetizioni.

Braccia
Tricipite brachiale
Modalità di esecuzione
Il soggetto seduto mette la mano destra sulla spalla destra e con la mano sinistra cerca di sollevare il gomito destro in alto e indietro mantenendo la posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi.
In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 5 ripetizioni per lato.
Bicipite
Modalità di esecuzione
Il soggetto in piedi afferra con la mano destra un sostegno stabilmente fissato al suolo mantenendo l’arto perpendicolare al fianco.
Da questa posizione si porta in avanti senza lasciare la presa e ruota il tronco verso sinistra mantenendo la posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi.
Successivamente esegue l’esercizio con l’altro arto .
In tutto deve eseguire 2 serie da 10 ripetizioni per lato.

Arti inferiori
Gli esercizi di stretching per gli arti inferiori interessano diversi distretti muscolari, ogni esercizio dovrà essere eseguito per un totale di 10 volte suddivise in 2 serie da 5 ripetizioni per lato.
Muscoli adduttori
Modalità di esecuzione:
Il soggetto in decubito supino con le piante dei piedi a contatto l’una con l’altra spinge lentamente le ginocchia verso il basso mantenendo tale posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi tornando poi lentamente alla posizione di partenza.
Muscoli anteriori della coscia (quadricipite)
Modalità di esecuzione:
Il soggetto in piedi con la mano sinistra appoggiata allo schienale di una sedia afferra con la destra un elastico fatto passare intorno alla caviglia del piede destro.
Tira l’elastico finché la gamba è ad angolo retto rispetto all’anca.
Mantenuta la posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi esegue l’esercizio con l’altro arto.
Muscoli posteriori della coscia
Modalità di esecuzione:
Il soggetto seduto sul bordo della sedia stira in avanti una gamba mentre l’altra è piegata.
Messe le mani sul ginocchio piegato e quindi con la schiena dritta, scende verso il basso fino a sentire un leggero stiramento dietro la coscia.
Mantenuta la posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi esegue l’esercizio con l’altro arto.
Muscoli del polpaccio
Modalità di esecuzione:
Il soggetto seduto mette un elastico intorno alla punta del piede destro e impugnatene le due estremità solleva la gamba destra in avanti mentre tira l’ elastico fino a sentire una leggera tensione al livello del polpaccio.
Dopo aver mantenuto la posizione per un periodo compreso tra i 10 e i 30 secondi esegue l’esercizio con l’altro arto.
Terminati gli esercizi di stretching, vengono eseguiti 5 minuti di attività aerobica alla pedaliera con intensità pari al 60% della frequenza cardiaca massima calcolata per età.
Infine 5 minuti di mobilizzazione articolare che interessano le articolazioni di spalla, anca e caviglia.

Spalla
Il soggetto in piedi esegue movimenti di elevazione e abbassamento delle scapole alternati a esercizi d’intra ed extrarotazione delle spalle.

Anca

Il soggetto in decubito supino alterna esercizi di adduzione a esercizi di abduzione dell’anca.

Caviglia

Il soggetto in decubito supino esegue movimenti di flessione-estensione del piede alternati a movimenti di circonduzione.
Fase centrale
In questa fase si alterna una prima parte aerobica a una seconda parte di rinforzo muscolare generale.
La fase centrale inizia con 10 minuti di attività aerobica alla cyclette (con intensità pari al 60% della frequenza cardiaca massima calcolata per età) a cui segue una fase di potenziamento muscolare della durata di 10 minuti con esercizi eseguiti in “circuit training” partendo da 20” arrivando a 30” di lavoro con 10” – 15” di recupero.

Il potenziamento muscolare generale richiede l’utilizzo di ausili elastici o piccoli sovraccarichi (manubri e/o bottiglie di acqua da 1 litro riempite con sabbia).

Tronco
Dorsali
Modalità di esecuzione:
I. Esercizio: Dopo aver legato un elastico ad un supporto il soggetto seduto su una sedia o su una fit ball con schiena dritta, braccia aperte e leggermente abdotte in modo da formare un angolo di 90° tra braccio e avambraccio, afferra con le mani in pronazione le maniglie dell’elastico eseguendo un movimento dall’alto verso il basso.
Sempre partendo dalla stessa posizione il soggetto impugna l’elastico mantenendo però le braccia quasi totalmente estese.
II. Esercizio: da questa posizione il soggetto tira l’elastico indietro all’altezza dello stomaco mentre allarga il petto al fine di ottenere una forte contrazione dorsale.

Pettorali
Modalità di esecuzione
I. Esercizio: Il soggetto seduto su una sedia con braccia aderenti ai fianchi, gomiti a 90° impugna l’elastico fatto passare tra fianco e braccio, da questa posizione distende le braccia in avanti e leggermente in alto per poi ritornare alla posizione di partenza.
II. Esercizio: Il soggetto in piedi con gambe leggermente divaricate e flesse afferra i manubri o le bottiglie d’acqua.
Alza in maniera alternata le braccia frontalmente per poi ritornare alla posizione di partenza.

Spalle

Deltoide laterale e sovraspinato
Modalità di esecuzione
I. Esercizio: Il soggetto seduto su una sedia braccia in abduzione con gomiti a 90°, un piede sopra l’elastico.
Afferra in pronazione le maniglie dell’elastico e spinge le braccia in alto fino alla loro distensione per poi ritornare alla posizione di partenza.

II. Esercizio: Il soggetto seduto su una sedia afferra le maniglie dell’elastico mantenuto al disotto dei piedi, e alza le braccia portandole in abduzione fino a formare una croce con i gomiti ad altezza delle spalle per poi ritornare alla posizione di partenza.

Braccia
Bicipite
Modalità di esecuzione
Seduti, tronco ben fermo, si afferrano i manubri ai lati del corpo e li si alza in maniera controllata, mentre si esegue la supinazione dell’avambraccio per arrivare col palmo della mano verso la spalla.
Tricipite
Modalità di esecuzione
Il soggetto seduto afferra un manubrio (prima con la mano destra poi con la mano sinistra) portandolo in alto con il braccio disteso al disopra del capo.
Da questa posizione piegando il gomito, il soggetto fa scendere il manubrio dietro la nuca per poi risalire lentamente fino alla posizione di partenza.

Fase di defaticamento
La seduta si conclude con 5 minuti di defaticamento alla cyclette con intensità pari al 40% della Fc Max calcolata per età.

SEDUTA INTRADIALITICA
La seduta di allenamento intradialitica può essere suddivisa in 2 fasi
 una fase iniziale della durata complessiva di 25 minuti caratterizzata da esercizi aerobici e di potenziamento muscolare
 una fase finale di defaticamento della durata di 5 minuti
Fase iniziale dell’attività fisica intradialitica
Si compone inizialmente di una serie di esercizi aerobici seguiti poi da esercizi di rinforzo muscolare soprattutto degli arti inferiori ciò al fine di prevenire la perdita di tono e trofismo muscolare che caratterizza il paziente in dialisi.
L’attività aerobica della durata di 15 minuti è svolta alla pedaliera con un’intensità pari al 60% della frequenza cardiaca massima calcolata per età.

La fase di rinforzo muscolare della durata di 10 minuti interessa i distretti muscolari di addome, coscia e gamba.

Addominali
Modalità di esecuzione:
I. Esercizio: Il soggetto supino con ginocchia flesse e piedi appoggiati al materasso, alza le spalle mediante una contrazione degli addominali con un movimento breve ma controllato mentre arrotonda la schiena per salire (contemporaneamente esegue un’espirazione forzata)
Al termine dell’espirazione il soggetto torna alla posizione di partenza.

In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 8 ripetizioni.
II. Esercizio: il soggetto in decubito supino con ginocchia flesse a 90° e braccia lungo i fianchi, fa rotolare avanti e indietro una pallina posta sulle gambe. Tale movimento deve essere eseguito cercando di mantenere i muscoli retti dell’addome in contrazione.
L’esercizio deve essere eseguito per 8 volte.


Coscia
Muscoli adduttori
Modalità di esecuzione:
Il soggetto in decubito supino gambe estese con un elastico legato al disotto delle ginocchia divarica lentamente una gamba per volta fino a raggiungere la massima tensione dell’elastico.
Dopo aver mantenuto tale posizione per 5 secondi il soggetto torna in posizione di partenza
In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 8 ripetizioni per arto.
Muscolo quadricipite
Modalità di esecuzione:
prima di iniziare l’esercizio è necessario posizionare una cavigliera da 1kg intorno ad ogni caviglia oppure utilizzare un elastico legato al disotto delle caviglie.
Il soggetto in decubito supino, con le ginocchia mantenute leggermente flesse (mediante l’utilizzo di un cuscino o di un tubo di gomma) alza lentamente la gamba destra distendendo il ginocchio fino al raggiungimento della massima tensione dell’elastico mentre la gamba sinistra viene tenuta fissa.
Dopo aver mantenuto la posizione per 5 secondi il soggetto torna alla posizione di partenza ed esegue l’esercizio con l’altro arto.
In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 8 ripetizioni per arto.

Gamba
Muscoli del polpaccio
Modalità di esecuzione
Il soggetto in decubito supino gambe estese esegue contemporaneamente con tutti e due i piedi una flessione plantare spingendo contro la pediera del letto.
Dopo aver mantenuto la posizione per 5 secondi ritorna alla posizione di partenza.
In tutto l’esercizio prevede 2 serie da 8 ripetizioni.
La seduta termina con 5 minuti di defaticamento alla pedaliera con intensità pari al 40% della frequenza cardiaca massima calcolata per età.

Alla fine della seduta di allenamento al soggetto viene somministrata la scala di Borg che ci serve per avere una misura soggettiva dello sforzo da lui percepito durante la seduta di allenamento e quindi modulare i futuri carichi di lavoro.

Valutazione dei parametri di performance fisica
Tre differenti tipi di test:
 6 Minutes Walking test
 Chair stand
 Timed Get- up and Go Test
vengono utilizzati per valutare i cambiamenti dei parametri di performance fisica dei pazienti inclusi nello studio
Tali test verranno eseguiti oltre che all’inizio e al termine del programma di allenamento anche bimestralmente ciò al fine di valutare periodicamente i progressi ottenuti.
 6 Minutes Walking Test
Il test dei 6 minuti (6MWT 6 Minutes Walking Test) è un test pratico e di semplice esecuzione che permette di valutare in maniera funzionale e integrata tutti i sistemi (cardiocircolatorio, respiratorio, metabolico, osteoarticolare e muscolare) coinvolti nell’esecuzione di un esercizio fisico (1).
Tale test fornisce una valutazione globale dell’efficienza fisica del soggetto esaminato senza però dare informazioni specifiche sui singoli apparati poiché il parametro di valutazione è rappresentato dalla distanza percorsa.
La distanza percorsa (in metri) è, infatti, espressione della capacità funzionale del soggetto, maggiore è la distanza percorsa, maggiore è la sua capacità funzionale.
L’esame si esegue chiedendo al soggetto di camminare lungo un corridoio di 30 metri per 6 minuti, ogni minuto il soggetto è informato sul tempo trascorso per poter così adeguare la propria velocità, ogni due minuti deve indicare mediante la scala di Borg il grado di fatica percepito infine trascorsi i 6 minuti, si calcola la distanza percorsa dal soggetto in esame.
Il 6MWT è un test basato sulla modalità self pace ovvero è il paziente che sceglie l’intensità dello sforzo potendo addirittura fermarsi prima dello scadere dei minuti.
Poiché la maggior parte delle attività quotidiane sono svolte a un livello di esercizio sub massimale ecco che il 6MWT riflette il reale stato funzionale per le attività di vita quotidiana (2)
In base a questo test i soggetti con età inferiore ai 70 anni di ambo i sessi presentano una buona capacità funzionale quando la distanza percorsa è compresa tra 400 e 700 metri viceversa al disotto dei 400 metri si parla di scarsa capacità funzionale.
Per i soggetti di età superiore ai 70 anni di ambo i sessi si parla di buona capacità funzionale quando la distanza percorsa in metri è compresa tra 300 metri e 400 metri mentre si parla di scarsa capacità funzionale quando la distanza è inferiore ai 300 metri.

Chair stand test
Il “chair stand test” è uno dei test clinici più importanti per la valutazione funzionale dei soggetti anziani poiché permette di misurare la forza degli arti inferiori che è correlata alla capacità di eseguire compiti di vita quotidiana come ad esempio salire le scale, alzarsi dalla sedia, etc.
Il test consiste nell’alzarsi da una sedia alta 45 cm il maggior numero di volte possibile in 30 secondi senza utilizzare le braccia che devono essere mantenute incrociate al petto.
Nella tabella sottostante vengono riportati i punteggi di riferimento (valori tra il 25 e il 75 percentile) stratificati per età e sesso. È considerato patologico, sia negli uomini sia nelle donne, un valore inferiore a 8 ripetizioni completate.

Età                          Numero ripetizioni donne                      Numero ripetizioni uomini

60-64                                      12-17                                                        14-19

65-69                                      11-16                                                        12-18

70-74                                      10-15                                                        12-17

75-79                                      10-15                                                        11-17

80-84                                       9-14                                                         10-15

85-90                                       8-13                                                          8-14

91-95                                       4-11                                                          7-12

Timed Get-up and Go Test
Il “Timed Get-up and Go Test” elaborato da Podsiadlo e Richardson80 è una versione modificata del Get-up and Go Test (3).
Questo test permette di valutare il grado di autonomia del soggetto in esame negli spostamenti tipici della vita quotidiana (salire le scale, andare in bagno, uscire di casa etc.)
La prova si esegue cronometrando il tempo che il soggetto impiega nell’alzarsi da una sedia fino a tornare alla posizione seduta dopo aver percorso un tragitto della lunghezza complessiva di 3 metri (andata –ritorno).
Chi impiega meno di 20 secondi è di solito autonomo negli spostamenti quotidiani, chi invece impiega più di 30 secondi necessità dell’aiuto altrui per gli spostamenti dentro le mura domestiche e di solito ed è completamente dipendente dagli altri per uscire di casa.
Valutazione della qualità di vita
Il questionario validato Short-Form 36 viene utilizzato per valutare i cambiamenti nella qualità di vita dei soggetti inclusi nello studio prima e dopo l’esecuzione del protocollo A.F.A
Il questionario SF-36 (Short-Form Health Survey) è un questionario sviluppato nel corso del progetto del Medical Outcomes Study (MOS) (4) per valutare i principali “concetti” riguardanti lo stato di salute.
Concepito per l’auto-somministrazione, la somministrazione telefonica o quella condotta attraverso un colloquio faccia a faccia, l'SF-36 è stato validato originariamente negli Stati Uniti e successivamente tradotto e adattato ai diversi contesti linguistici.
I dati raccolti nel Progetto dell'International Quality of Life Assessment (IQUOLA) (5,6) dimostrano che il questionario é valido e affidabile anche nella versione italiana (7).
Attraverso 36 domande a risposta multipla i dati sono aggregati in 8 scale che indagano:
 AF- attività fisica (10 domande)
 RF-limitazioni di ruolo legati a problemi di salute fisica (4 domande)
 RE-limitazioni di ruolo legate a problemi emozionali (3 domande)
 DF- dolore fisico (2 domande)
 SG- percezione dello stato di salute generale (5 domande)
 VT- vitalità (4 domande)
 AS- attività sociali (2 domande)
 SM- salute mentale (5 domande)
più una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute durante l’ultimo anno.
In cinque scale (AF, RF, DF, AS e RE) lo stato di salute è descritto come assenza di limitazioni o di disabilità e il massimo punteggio possibile, pari a 100, è raggiunto quando non viene osservata alcuna limitazione o disabilità.
Tre scale (SG, VT e SM) sono invece “ bipolari ” e misurano una gamma molto più ampia di stati di salute, positivi e negativi.
In esse il punteggio intermedio di 50 significa che i soggetti non riferiscono alcuna limitazione o disabilità.
Un punteggio pari a 100 invece è raggiunto soltanto quando i soggetti riferiscono di aver sperimentato condizioni di salute positive e valutano molto favorevolmente la loro salute.

CONCLUSIONI
La cosa più semplice che una persona può fare per mantenersi in buona salute è quella di non rinunciare mai ad essere fisicamente attivo. Questo è vero specialmente per le persone avanti negli anni e in coloro che sono affetti da patologie croniche. Tutti gli esperti sono, infatti, d’accordo su un punto: l’inattività fisica è un comportamento a rischio per la salute e una causa importante d’impoverimento della qualità della vita; mentre l’attività fisica contribuisce in modo determinante al rallentamento dell’invecchiamento e al miglioramento della forza muscolare, della resistenza, dell’equilibrio e dell’agilità. Questo significa poter svolgere con maggiore facilità, tranquillità e sicurezza le attività quotidiane.
Sebbene siano presenti in letteratura numerose evidenze di studi d’intervento che dimostrano il gran numero di effetti benefici dell’attività fisica anche nel soggetto con insufficienza renale cronica in trattamento dialitico, sono ancora troppo pochi i soggetti nefropatici che ricevono una corretta “prescrizione” dell’attività fisica da svolgere. In effetti, nella gestione del paziente dializzato la prevalenza del momento diagnostico-terapeutico non depone a favore dell’efficacia di un approccio sanitario assistenziale modernamente inteso, dal quale ci si deve invece attendere che il momento preventivo e quello riabilitativo rappresentino un cardine fondamentale dell’assistenza alle persone.
Per ottenere questo cambiamento del modello assistenziale è pertanto necessaria la creazione di una rete di alleanze tra i vari operatori, sanitari e non, volta a sensibilizzare e convincere i propri interlocutori a modificare il proprio stile di vita adottando comportamenti sempre più salutari. In quest’ottica l’attività fisica dovrà essere sempre di più considerata come un vero e proprio presidio terapeutico, soprattutto per i soggetti affetti da patologie croniche. In questo contesto compito del laureato in “Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate” sarà quello di collaborare con i clinici per stabilire la “giusta posologia” di attività fisica, adatta alle particolari condizioni cliniche del soggetto in esame. Al clinico quindi il compito di valutare le possibili controindicazioni, i rischi e i benefici dell’attività fisica, al laureato in scienze motorie adattate quello di adattare l’intensità, la durata, la frequenza e il tipo di attività da svolgere alle condizioni, le caratteristiche e le aspettative della persona che si trova davanti.
Partendo da queste considerazioni, ho cercato di creare un programma di attività fisica adatto al soggetto in trattamento dialitico e in grado di influire positivamente sulle sue performance fisiche e sulla sua qualità di vita. Ho pertanto indicato durata, frequenza, intensità e tipo di esercizi da svolgere considerando anche le difficoltà logistiche che la seduta dialitica comporta. Questo è, però soltanto l’inizio, il futuro sviluppo di questo lavoro sarà, infatti, l’applicazione sul campo del protocollo A.F.A. da me elaborato per poterne così testare l’effettiva efficacia e migliorarlo in base alle criticità che di volta in volta potranno emergere.

REFERENZE

UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Direttore Prof. Marco Petrini
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive ed Adattate
L’attività motoria adattata nel paziente con insufficienza renale cronica in trattamento emodialitico
RELATORE
Chiar.mo Prof.
Ferdinando FRANZONI
Candidato
Dott. Francesco BANDUCCI


  1.  ATS statement : guidelines for the six-minutes walk test ATS Committee on Proficiency Standards for Clinical Pulmonary Function Laboratories. Am J Respir Crit Care Med 2002 ;166(1):111-117.
  2. Reybrouck T, Clinical usefulness and limitations of the 6 minute walking test in patients with cardiovascular or pulmonary disease. Chest 2003;123:325-327.
  3. Mathias S, Nayak US, Isaac B Balance in elderly patients: the “ get-up and go “ test. Arch Phys Med Rehabil 1986 Jun; 67 (6) :387-9.
  4. Ware JE Jr, Sherbourne CD, The MOS 36-item short form healthy survey ( SF-356)1. Conceptual frame-work and item selection. Med Care 1992;30:473-81.
  5. Ware JE, Gandek B and the IQOLA project group The SF-36 Healthy Survey : development and use in mental research and the IQOLA Project. Int J Mental Health 1994;23:49-73.
  6. McHorney CA, Ware JE, Lu JFR The MOS 36-item short-form health status survey ( SF-36) 3 Test of data quality scaling assumptions and reliability across diverse patients groups. Med Care 1994;32:40-66.
  7. Apolone G, Mosconi P Come usare il questionario sullo stato di salute SF-36 ( versione italiana). Progetto IQOLA Istituto di ricerche Farmacologiche “ Mario Negri”.
















LESIONI NERVOSE ED ELETTROSIMOLAZIONE



La struttura del nervo
Il nervo è costituito da delle fibre nervose raccolte a loro volta in una ‘entità gerarchica’, separate dal tessuto connettivo. Tutti i nervi presentano un analogo piano costruttivo: questi nascono dalla associazione di più entità fascicolari chiamate fascetti secondari, raggruppati insieme dal tessuto connettivo, ricco di fibre elastiche e vasi che circonda l’intero organo prendendo il nome di epinevrio; sul contorno del nervo l’epinevrio trapassa e si fonde con il connettivo ambiente, mentre all’interno separa e connette i singoli fascetti secondari. In alcuni casi i fascetti secondari possono essere raggruppati in insiemi denominati fascetti terziari, questo avviene con i nervi più grossi. I fascetti secondari possono quindi essere definiti le entità costruttive fondamentali, questi hanno sezione rotondeggiante e sono fasciati da una membrana connettivale lamellare molto netta, che prende il nome di perinevrio. Da precisare che nel perinevrio, a differenza dell’epinevrio, non si trovano fibre elastiche. Alla faccia esterna del perinevrio si attacca il connettivo epinevriale, mentre dalla faccia profonda originano delle pareti lamellari che suddividono il fascio secondario in gruppi di fibre nervose di forma irregolare chiamati fascetti primari. Il connettivo che forma i setti divisori dei fascetti primari prende il nome di endonevrio, esso si prolunga in pareti lamellari sempre più sottili sino ad avvolgere la singola fibra nervosa venendo quindi a contatto con lo strato cellulare delle cellule di Schwann. L’involucro che ne nasce sul contorno della fibra mielinica prende il nome di guaina endonevrale. Quando il nervo emette dei rami collaterali, questo cede al complesso dei fascetti secondari un numero variabile, i quali contengono la quantità di fibre necessarie per un determinato territorio al quale il ramo collaterale si distribuisce. Quando il fascetto secondario si scompone e si ramifica, i fascetti che ne derivano hanno il carattere di fascicoli primari; su di essi si prolunga il perinevrio con una struttura simile al perinevrio del fascicolo secondario primitivo. I nervolini che ne derivano hanno l’aspetto di piccoli fascetti secondari di struttura anche microscopica; con la ramificazione delle singole fibre nervose il perinevrio si trasforma in una sottile lamina connettivale che prende il nome di guaina di Henle sotto la quale c’è ancora la guaina endonevrale primitiva (guaina endonevrale sussidiaria di Ruffini). Da questa schematizzazione appare evidente che sulla singola fibra nervosa periferica si trovano almeno due membrane connettivali differenti in quanto una rappresenta l’ambiente connettivale dell’endonevrio e l’altra il prolungamento del perinevrio. Un problema biologico importante è collegato con le modalità di origine dei fascetti secondari; si è studiato se tali fascetti si costituiscono fin dall’inizio del nervo mantenendo la propria individualità lungo tutto il nervo o se i fascetti secondari raccolgono diversi contingenti di fibre progressivamente dopo la costituzione del tronco principale. Da questo studio si è compreso che i fascetti secondari non sono individualità continue dall’origine alla terminazione ma si costituiscono progressivamente per scambio di fasci che passano da un fascetto all’altro, formando il cosiddetto plesso interno del nervo. Ne consegue che un fascetto secondario che penetra in un organo non porta soltanto fibre presenti al momento della costituzione del tronco del nervo, ma anche fibre che provengono da fascetti secondari differenti, raccolte durante il percorso del nervo. Per quanto riguarda la composizione delle fibre di un nervo, essa esprime non solo la situazione anatomica ma anche un dato funzionale in quanto il significato delle fibre presenti in un determinato nervo è in relazione sia con il territorio periferico, sia con i nuclei di origine delle fibre, quindi i nervi possono essere motori somatici e viscerali, sensitivi somatici e sensitivi viscerali. Quando contengono un solo tipo di fibre sono detti nervi puri, mentre i nervi misti contengono sia fibre motrici, sia fibre sensitive. Si tenga presente che il nome dei nervi ed il loro significato funzionale non si applica solamente ai grandi tronchi di origine dal nevrasse ma anche a quei rami collaterali e terminali che assumono particolare importanza primariamente in relazione agli organi innervati.



La Classificazione di Sunderland (Nerves and nerves injuries)

-I grado: blocco di conduzione e strutture nervose integre (corrispondente alla Neuroaprassia)

-II grado: sezione dell’assone (corrispondente all’ Assonotmesi)

-III grado: sezione dell’assone e dell’endonervio

-IV grado: sia del l’endonervio che del perinervio. Sono sezionati i singoli fascicoli nervosi e la continuità del nervo è mantenuta solo dall’epinervio.

-V grado: sezione dell’intero tronco nervosa (corrispondente alla Neurotmesi)


LESIONI DEI NERVI E RECUPERO FUNZIONALE

I nervi trasmettono impulsi elettrici ai distretti anatomici cui sono collegati.
I muscoli, senza gli impulsi elettrici trasmessi dai nervi, si paralizzano e i vari segmenti corporei divengono immobili e insensibili. Semplificando, la spiegazione anatomica dei sintomi e dei segni clinici conseguenti alla lesione nervosa è dovuta al fatto che ogni singolo nervo è suddiviso in vari fascicoli più piccoli, alcuni responsabili del movimento muscolare, altri delle sensibilità cutanee.

Il recupero muscolare dopo la lesione del nervo periferico è correlato al tipo di lesione del nervo e può avvenire in quattro modi diversi.

Il primo è quello rappresentato da un recupero spontaneo e veloce del nervo con ripristino della connessione con il cervello. Un tipico esempio e la compressione limitata nel tempo del nervo ulnare quando ci appoggiamo sulla parte interna del gomito il quale è appoggiato su una superficie rigida. Vi è un blocco temporaneo della trasmissione dell’impulso elettrico con incapacità a muovere la mano e con perdita di sensibilità al tatto. Quando la compressione è rimossa, il nervo recupera, e riprende la sensibilità e la forza.

Una seconda modalità di recupero muscolare è correlata al danno del nervo caratterizzato da lesione della guaina mielica che circonda il nervo ma con il nervo integro (neuroparassia: blocco di conduzione nervosa). Questo danno avviene per compressioni prolungate del nervo. I tempi di recupero del nervo e quindi della funzione muscolare di questa tipologia di danno vanno dalle quattro alle dodici settimane.

Se le cellule del muscolo non ricevono il segnale elettrico dal nervo per un periodo di tempo creano ed emettono delle richieste di aiuto mediante segnali chimici. Qualunque fibra nervosa integra, vicina alla zona muscolare che non è più innervata, crea quindi delle nuove branche dirette verso le fibre muscolari rimaste prive del segnale nervoso, questa crescita di nuove terminazioni nervose contigue richiede dalle dieci alle sedici settimane. Quando le nuove terminazioni nervose si connettono alle cellule muscolari può riprendere la contrazione del muscolo. Gli assoni integri possono creare tre o quattro nuove terminazioni nervose. Ogni singolo nervo può quindi quadruplicare le cellule muscolari cui normalmente è connesso.

Nel terzo tipo di recupero muscolare la lesione del nervo è dovuta a un danno non totale (assonotmesi: perdita di continuità della solo componente assonale del nervo), e si può assistere alla ricrescita lungo la stessa vecchia via di passaggio delle fibre nervose, guaina mielinica, e una riconnessione al muscolo originariamente collegato al nervo stesso. Questo è possibile se la guaina esterna del nervo, composta dalla mielina, è integra.

Questo tipo di lesione del nervo è determinata da compressione o trazione, che determinano una degenerazione delle parti distali dell'assone. Il quadro anatomopatologico-chirurgico è quello del neuroma, in pratica una cicatrice dentro il nervo. Gli effetti sono rappresentati dalla perdita totale delle relative funzioni motorie, sensitive e trofiche.

La velocità di ricrescita del nervo dipende dall’età del paziente e in media e di 1 mm al giorno. Una lesione del nervo S1, responsabile delle funzioni sensitive e motorie più distali dell’arto inferiore, comporta una ricrescita lungo tutto l’arto inferiore che durerà in media non meno ventiquattro mesi.

Il problema è che il muscolo, senza la stimolazione nervosa diventa fibrotico, e quindi non più utilizzabile, in un periodo che va dai dodici ai diciotto mesi. I muscoli che sono a mezzo metro o meno di distanza dalla lesione del nervo, se hanno la guaina mielinica integra, hanno ottime possibilità di riavere la connessione con il nervo danneggiato.

Il quarto tipo di recupero muscolare avviene a certe condizioni. Naturalmente, anche se parte delle cellule muscolari sono perse per la difettosa connessione nervosa o per la mancanza della rigenerazione delle fibre nervose contigue, le cellule muscolari rimanenti si ipetrofizzano, cioè diventano più grosse e più forti, per compensare le cellule perdute.

Nel caso il nervo presenti una lesione completa, con perdita di continuità anatomica (neurotmesi), la rigenerazione spontanea non avviene e ovviamente neppure il recupero muscolare. Clinicamente vi è perdita totale della funzione motoria, sensitiva e trofica. La rigenerazione nervosa è possibile solo dopo revisione chirurgica e sutura dei capi nervosi sezionati.

Il merito della microchirurgia è stato la possibilità di ricollegare i monconi di questi singoli elementi nervosi, aventi diametri di circa 1 mm, l’uno con l’altro con estrema precisione creando una situazione anatomica che rende possibile la ripresa del movimento e della sensibilità.

Nonostante i progressi della microchirurgia la percentuale di successo nel trattamento delle lesioni dei nervi periferici non ha ancora raggiunto valori ottimali. La causa è correlata alle numerose variabili possibili tra cui le più importanti sono l’età, il tipo di lesione, il ritardo della diagnosi e del conseguente trattamento. Negli anziani la percentuale d’insuccesso è maggiore.

Le lesioni del nervo da taglio netto e senza perdita di sostanza presentano una prognosi, dopo trattamento chirurgico, migliore rispetto a quelle da strappamento. La frequente concomitanza di lesioni dell’apparato osteo-muscolare e vascolare, che hanno spesso una priorità di trattamento, può portare a una sottovalutazione o a un ritardo nelle diagnosi e nel trattamento delle lesioni dei nervi periferici. Tutto questo porta a danni permanenti rilevanti e a un elevato costo sociale.

Il trattamento chirurgico standard delle lesioni nervose con perdita di sostanza è l’innesto nervoso autologo (autotrapianto). Si preleva un nervo poco importante dal punto di vista funzionale, in genere il nervo surale che è un nervo puramente sensitivo responsabile della sensibilità di una piccola zona cutanea della gamba, per innestarlo dove vi è la lesione del nervo periferico 




Nelle metodiche di recupero funzionale dei nervi periferici quando sono interrotti o alterati è presenta la STIMOLAZIONE ELETTRICA: in determinati studi scientifici sperimentali si è visto che ha un ruolo preciso; infatti se utilizzata in moto corretto permette:
  • l’aumento della crescita dei neuriti
  • migliora la rigenerazione assonale
  • stimola le cellule staminali del midollo osseo che possono favorire degli elementi per la rigenerazione.
L'efficacia sta nel fatto che l'Elettrostimolazione si va praticamente a sostituire al Sistema Nervoso riuscendo a contrarre tutte le fibre dall'esterno, anche quelle che hanno perso la conduzione  per un determinato muscolo che non riuscirebbe "normalmente" ed autonomamente a muoversi perchè paralizzato.

Anche se ancora abbastanza sperimentale, l’elettrostimolazione associata a dei movimenti adeguati e funzionali della zona colpita dalla lesione nervosa può permettere un miglioramento nel recuperare le funzioni perse.





Bibliografia:
DR EZIO RITTÀ DO DHOM
DR VANNI VERONESI (neurochirurgo)





Author: Dott. Eugenio Isidoro Scibetta Co-Founder & Admin Scienze Salute e Benessere


STUDIO: "ESERCIZIO E FATICA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO SOTTOPOSTO A CHEMIOTERAPIA"

 
Introduzione:
In ambito oncologico si stima che la fatica abbia un’incidenza compresa tra 70-90%, con un coinvolgimento del sesso femminile quasi doppio rispetto a quello maschile. 
La fatica associata al cancro non è solo il sintomo più spesso lamentato dai pazienti, ma è anche quello che ha il maggior impatto sulle attività della vita quotidiana, influendo su aspetti fisici, psicosociali, economici e occupazionali1. Considerata la rilevanza del fenomeno, negli ultimi anni sono comparsi in letteratura diversi studi con l’obiettivo di identificare un valido criterio di valutazione ed un trattamento efficace. 
Il termine “fatica” è stato usato per descrivere uno stato di malessere generale che va dall’astenia all’ esaurimento muscolare. Fisiologicamente viene considerata un’inabilità nel mantenere i normali livelli di rendimento, dovuta ad una maggiore percezione dello sforzo. 
Sebbene non sia ancora conosciuto l’esatto meccanismo che promuove l’insorgenza della fatica nei pazienti affetti da tumore, molteplici sono i meccanismi d’azione: abnorme accumulo di metaboliti a livello muscolare, produzione di citochine (TNF in particolare), alterazioni neuromuscolari, anomala sintesi di ATP, disregolazione della serotonina, attivazione vagale. Anche le cause possono essere diverse: dolore, comorbidità, alterazioni dell’umore, disturbi del sonno, anemia, squilibri nutrizionali, riduzione del- l’attività fisica, farmaci, trattamento oncologico (chirurgico-radioterapico-chemioterapico). 
Quella che insorge in seguito a trattamento chemioterapico si manifesta in quanto le sostanze tossiche presenti nei farmaci utilizza- ti contribuiscono alla sua insorgenza attraverso meccanismi cellulari (pancitopenia e immunosoppressione), meccanismi fisiopatologici (deficit del volume di liquidi, squilibrio idroelettrolitico, deficit nutrizionale) e fattori psicologici come situazioni di stress generalizzato2
Per una completa comprensione della fatica e per quantificarne l’impatto sulla qualità di vita del paziente prima e dopo il trattamento, è utile procedere ad una valutazione sia soggettiva che oggettiva. Per la valutazione soggettiva si ricorre a scale unidimensionali (Scala Analogica Visiva) e multidimensionali (Piper Fatigue Scale, FACT-F, SF-36, MFI-20, FAQ) da somministrare al paziente. Per quanto riguarda la valutazione oggettiva, gli studi presenti in letteratura utilizzano perlopiù test quali il 6-Minute-Walking-Test e la misurazione delle concentrazioni di Ossigeno e CO2 nell’aria espirata durante una pro- va massimale o sub-massimale su cicloergometro o treadmill; altre possibili misure oggettive della fatica sono i test di forza con dinamometro, come il Grip e il Pinch endurance test. 
Lo studio della evoluzione della fatica nel tempo è fondamentale per verificare l’efficacia di un trattamento. Una recente review ha analizzato l’esercizio fisico nella fatica in oncologia, e il training riabilitativo più frequentemente utilizzato ( esercizi aerobici come camminata, cyclette per 15-30 minuti al giorno)3
Il nostro studio ha come obiettivo quello di misurare quantitativa- mente e qualitativamente la fatica in pazienti oncologici sottoposti a trattamento chemioterapico e mettere a confronto l’effetto di una generica attività fisica aerobica con quello di un protocollo di esercizi mirati. 



Materiali e metodi 
Nello studio sono state reclutate 11 pazienti di sesso femminile, affette da tumore della mammella, sottoposte a trattamento chirurgico e chemioterapia adiuvante. 
Sono state escluse pazienti affette da significative patologie internistiche, neurologiche e muscoloscheletriche che potevano alterare i risultati dei test funzionali. 
Le pazienti sono state valutate in tre tempi: prima dell’inizio della chemioterapia (T0), a fine del ciclo chemioterapico (T1) e a distanza di 3 mesi (T2). 
Sono stati utilizzati i seguenti indici di outcome: Scala Analogica Visiva (VAS), Questionario FACT-F, Six-Minute-Walking Test, Power Grip endurance con dinamometro. 
La scala FACT-F è formata da 40 items suddivisi in 5 sezioni; quella adottata da noi è composta da 13 items e riguarda la valutazione della fatica e della sua influenza sulla vita quotidiana. Le pazienti dovevano rispondere al questionario relativamente alla loro situazione degli ultimi 7 giorni con un numero compreso tra 0 (corrispondente al termine “per niente”) e 4 (corrispondente al termine “moltissimo”). Il punteggio, corrispondente risulta compreso tra 0 e 52; a maggiore punteggio corrisponde un minore livello di affatica- mento. 
Per quanto riguarda il Six-Minute-Walking Test, abbiamo rilevato a riposo la saturazione di Ossigeno (SaO2) e la Frequenza Cardiaca (Fc) delle pazienti e abbiamo valutato il livello di fatica con la scala di Borg (Tab. I). Quindi è stato chiesto alle pazienti di camminare più rapidamente possibile lungo un corridoio di 30 metri per 6 minuti. Alla fine dei 6 minuti abbiamo misurato la distanza percorsa in metri e abbiamo nuovamente rilevato SaO2, Fc e livello di fatica con la scala di Borg.







Infine abbiamo effettuato il Power Grip test per indagare la presa di forza e il decadimento della stessa. Durante il test le pazienti dovevano mantenere il gomito flesso e la mano chiusa su di un dinamometro cilindrico collegato ad un computer che raccoglieva i dati. 
Le pazienti dovevano effettuare tre contrazioni: 2 istantanee con massima forza e una Endurance per 20 secondi. Dopo una valutazione iniziale coi test sopra descritti, le pazienti sono state suddivise random in due gruppi, A e B, che hanno effettuato un protocollo riabilitativo mirato in concomitanza al trattamento chemioterapico. Il gruppo A comprendente 5 pazienti, ha effettua- to esercizi aerobici, di resistenza e di stretching a domicilio per 3 volte a settimana, per 30 minuti; previa istruzione formale per 2 vol- te con il fisioterapista. Al gruppo B comprendente 6 pazienti, è stata consigliata un’attività fisica aerobica generica (camminata o cyclette) da eseguire per 30 minuti al giorno, 3 giorni a settimana. 
Tutte le pazienti sono inoltre state contattate a metà del ciclo chemioterapico-riabilitativo, per valutare il livello di aderenza al pro- gramma. A tale scopo abbiamo utilizzato una scala con punteggio da 0 a 10: 0-3 scarsa aderenza, 4-6 media, 7-10 massima (Tab. II). 

Risultati 
Solo 2 pazienti (una in ogni gruppo) hanno per ora terminato il ciclo di chemioterapia e sono state rivalutate in T1; in entrambe abbiamo riscontrato un lieve peggioramento dei parametri oggettivi (6MWT e Grip test), ma una soggettiva sensazione di benessere (miglioramento delle scale VAS e Fact-F). Quando le pazienti sono state contattate a metà circa della CT per conoscere il livello di aderenza agli esercizi assegnati abbiamo riscontrato una differenza tra i due gruppi. Su 5 pazienti del gruppo A: 1 ha avuto una modesta aderenza al programma, 4 hanno avuto un’aderenza elevata; delle 6 pazienti del gruppo B: 1 ha avuto una scarsa aderenza, 3 hanno avuto un’aderenza media e 2 un’aderenza elevata. Per quanto riguarda i restanti risultati, 9 pazienti non hanno ancora terminato il ciclo di CT e verranno quindi successivamente valutate. 

Conclusioni 
Anche se i risultati di questo lavoro sono da considerarsi preliminari vista l’esiguità del campione fino ad ora esaminato, emergono due dati importanti:
– la compliance del paziente sembra essere superiore nell’esercizio home-based con iniziale addestramento;
– la seduta di richiamo al termine della CT evita l’errata convinzione che l’esercizio fisico sia legato solo alla durata della CT. 
Il nostro lavoro è comunque finalizzato al perfezionamento di un percorso riabilitativo home-based con il supporto di materiale educativo ( cartaceo e/o elettronico) in pazienti prevalentemente in CT adiuvante. 
Parallelamente il nostro secondo obiettivo sarà di creare un per- corso individuale e personalizzato in ambiente protetto per malati oncologici particolarmente decondizionati in seguito a CT e/o progressione di malattia. 



1U.O. Medicina Riabilitativa;
 2Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione, Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma 


Bibliografia 
1. Stasi R, Abriani L, Beccaglia P, Terzoli E, Amadori S. Cancer-related fati- gue.Evolving concept in evaluation and treatement. American Cancer Society. 2003. 
2. Iop A, Manfredi AM, Bonura S. Fatigue in cancer patients, receiving che- motherapy: an analysis of published studies. Annals of Oncology 2004;15:712-20. 
3. Knols R, Aaronson NK, Uebelhart D, Fransen J, Aufdemkampe G. Physi- cal exercise in cancer patients during and after medical treatment: a systematic review of randomized and controlled clinical trials. Journal of clinical oncology. 2005;3. 
4. ATS Statement: guidelines for the six-minute walk test. March 2002. 

Autori
Cosimo Costantino: University of Parma, Parma Italy 

Romina Galvani: Centro Cardinal Ferrari 

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