L'EFFETTO DEI SOCIAL NETWORK SULL'IMMAGINE CORPOREA


L’avvento dei social network ha completamente rivoluzionato il nostro modo di comunicare. Un rapporto del 2019 ha stimato che 3.725 miliardi di persone sono socialmente attive e che circa il 48% della popolazione mondiale è un fruitore dei social media (Hootsuite & We Are Social, 2019). 

L'uso dei social nel corso degli anni ha avuto un riscontro positivo, permettendo alle persone di connettersi e di comunicare in tempo reale abbattendo qualsiasi barriera del tempo o distanza. Legami persi e poi ritrovati, continui aggiornamenti, velocità della comunicazione che ha reso più semplice lo scambio di informazioni, contatti, foto, video, messaggi, appuntamenti, sono solo pochi dei più disparati motivi per cui i social network rappresentano un vantaggio per le persone che li utilizzano. Oltre a numerosi e proficui benefici, esistono anche aspetti negativi che, se trascurati, possono essere molto pericolosi.
La ricerca, infatti, ha suggerito che l'uso dei social media può anche avere effetti psicologici indesiderati.
Ad esempio, si riscontrano decremento del livello di autostima (Bessenoff, 2006) e depressione (Orben & Przybylski, 2019). Inoltre, l'esposizione a contenuti relativi all'aspetto fisico è strettamente correlata all'insoddisfazione corporea, alla spinta verso la magrezza e all'interiorizzazione del sottile ideale rappresentato nei media (Tiggemann et al., 2010).

Una varietà di studi ha dimostrato principalmente associazioni positive tra l'uso dei social media e l'insoddisfazione corporea, soprattutto in campioni di giovani donne (de Vries, Vossen, & van der Kolk – van der Boom, 2019). L’immagine corporea è un costrutto multidimensionale caratterizzato dalle percezioni e dalle valutazioni dell’individuo in merito al proprio aspetto fisico (Cash e Pruzinsky, 2002). Già Schilder nel 1935 definiva l’immagine corporea come l’immagine del proprio corpo nella propria mente, ovvero il modo in cui il corpo appare a se stessi. In seguito, nel 1988, Slade la descrive più precisamente come “l’immagine mentale della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle sue singole parti”.

La valutazione personale riguardante la propria immagine corporea è da attribuire a tre componenti: una percettiva, ovvero il grado con cui si percepisce la propria forma corporea; una attitudinale, costituita da tutti quei vissuti elaborati attraverso una valutazione cognitiva; una affettiva, la quale riguarda i sentimenti provati verso il corpo; una comportamentale, come il paragone e il confronto con gli altri.
Anche Cash (2002) mette in risalto come l’immagine corporea sia “l’insieme di percezioni e atteggiamenti di ciascuno collegati al proprio corpo, includendo pensieri, convinzioni, sentimenti e comportamenti”.
L’insoddisfazione per la propria immagine corporea costituisce un aspetto dell’immagine frutto del malcontento soggettivo per la forma del proprio corpo in generale o per le dimensioni di alcune sue parti (Thompson, Heinberg, Altabe e Tantleff-Dunn, 1999). La discrepanza psicologica tra la percezione che una persona ha del proprio corpo e il suo corpo ideale può portare ad un sentimento negativo verso se stessi e a comportamenti nocivi per la propria salute (Cash e Pruzinsky, 2002; Thompson, 2004).
Varie evidenze empiriche hanno sostenuto l’importanza rivestita dalle variabili socioculturali come fattori implicati nello sviluppo della propria immagine corporea. L’interiorizzazione degli ideali di magrezza promossi dai media, indica l’incorporazione o l’accettazione degli standard socioculturali di attraenza al punto da diventare principi interiori in grado di guidare il successivo comportamento (Thompson et al., 1999; Cash, 2005). Secondo vari studi, l’interiorizzazione degli standard socioculturali di bellezza risulta uno dei fattori che maggiormente influenza l’insorgenza di disturbi dell’immagine corporea indipendentemente dalla cultura di appartenenza.

Un secondo quadro teorico che aiuta a spiegare la relazione tra alcuni fattori che sono coinvolti nella genesi dell’insoddisfazione corporea è la Teoria del Confronto sociale di Festinger (1954). Secondo tale teoria esiste una motivazione umana universale che spinge l’individuo a valutare le proprie capacità e caratteristiche attraverso il confronto con altre persone, preferibilmente simili a sé. Il confronto sociale è, quindi, il processo valutativo che implica la ricerca di informazioni e la formulazione di giudizi sul proprio sé messo a confronto con gli altri (Jones, 2004).

La ricerca è in continua esplorazione per riconoscere gli elementi specifici dell’attività mediatica che può determinare risultati negativi sull'immagine corporea attraverso processi di confronto sociale che rappresentano un'area chiave di preoccupazione (de Vries, Möller, Wieringa, Eigenraam e Hamelink, 2018).
I feed dei social media tendono ad essere popolati da foto di celebrità o influencer accuratamente filtrate e modificate che offrono ampie opportunità di confronti verso l'altro.
Il risultato finale è un ambiente caratterizzato da aspettative irrealistiche e idealizzate soprattutto per donne e ragazze.  In effetti, la facilità e l'accessibilità dei social media offrono opportunità molto maggiori per confronti sociali frequenti, multipli e rapidi (Tiggemann & Miller, 2010).
Poiché i paragoni basati sull'aspetto fisico possono particolarmente influire sull’aumento del livello di insoddisfazione corporea (Myers & Crowther, 2009), in risposta alla crescente condivisione di foto ritoccate ed irrealistiche, sono sorte nuove forme di attivismo online. In particolare, il "body positive movement" mira a sfidare gli ideali ristretti dominanti della bellezza, a scoraggiare il confronto sociale basato sull'apparenza ed a promuovere l'accettazione e la celebrazione di corpi di qualsiasi forma, dimensione o aspetto (Cwynar-Horta, 2016).

La ricerca emergente ha iniziato ad esaminare il potenziale effetto dei post attraverso la condivisone di contenuti positivi per il corpo sull'immagine corporea delle donne. Un recente studio di Cohen, Fardouly et al. (2019) ha mostrato che una breve esposizione a una serie di post positivi (compresi fotografie e didascalie) ha portato ad una riduzione dell'insoddisfazione corporea. L’accettazione verso il proprio sé è un buon modo di costruire un’immagine corporea positiva, senza rincorrere immagini e stereotipi proposti continuamente dai media. Per riuscire a sviluppare un’ immagine corporea adeguata è necessario credere in se stessi e nelle proprie capacità, avere un buon livello di autostima e soprattutto motivazione al cambiamento.

BIBLIOGRAFIA
Bessenoff, G. R. (2006). Can the media affect us? Social comparison, self-discrepancy, and the thin ideal. Psychology of women quarterly, 30(3), 239-251.
Cash, T. F., & Pruzinsky, T. (2002). Future challenges for body image theory, research, and clinical practice. Body image: A handbook of theory, research, and clinical practice, 509-516.
Cohen, R., Fardouly, J., Newton-John, T., & Slater, A. (2019). # BoPo on Instagram: An experimental investigation of the effects of viewing body positive content on young women’s mood and body image. New Media & Society, 21(7), 1546-1564.
Cwynar-Horta, J. (2016). The commodification of the body positive movement on Instagram. Stream: Interdisciplinary Journal of Communication, 8(2), 36-56.
De Vries, D. A., & Vossen, H. G. (2019). Social media and body dissatisfaction: investigating the attenuating role of positive parent–adolescent relationships. Journal of youth and adolescence, 48(3), 527-536.
De Vries, D. A., Möller, A. M., Wieringa, M. S., Eigenraam, A. W., & Hamelink, K. (2018). Social comparison as the thief of joy: emotional consequences of viewing strangers’ Instagram posts. Media psychology, 21(2), 222-245.
Hootsuite, W. A. S. Y. (2019). Digital in 2019. Essential insights into Internet, Social media, Mobile and Ecommerce use around the world.
Myers, T. A., & Crowther, J. H. (2009). Social comparison as a predictor of body dissatisfaction: A meta-analytic review. Journal of abnormal psychology, 118(4), 683.
Nerini A., Stefanile C., & Mercurio C., (2009). Body Image Disorders (pp 1-13. Milano: McGraw-Hill.
Orben, A., & Przybylski, A. K. (2019). The association between adolescent well-being and digital technology use. Nature Human Behaviour, 3(2), 173-182.
Thompson, J. K., Heinberg, L. J., Altabe, M., & Tantleff-Dunn, S. (1999). Exacting beauty: Theory, assessment, and treatment of body image disturbance. American Psychological Association.
Tiggemann, M., & Miller, J. (2010). The Internet and adolescent girls’ weight satisfaction and drive for thinness. Sex roles, 63(1-2), 79-90.
Tiggemann, M., & Polivy, J. (2010). Upward and downward: Social comparison processing of thin idealized media images. Psychology of Women Quarterly, 34, 356–364.
http://dx.doi.org/10.1111/j.1471-6402.2010.01581.x

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AUTRICE: ILARIA BASTONI



-Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche 

-Laurea Magistrale in Psicologia Clinica: Salute, Relazioni Familiari e Interventi   di Comunità 
-Master in Psicologia dello Sport – Psicosport s.r.l. Master professionalizzante in   psicologia applicata alle attività sportive
-Psicologa e ricercatrice referente dell’Unità Operativa Pneumologia e     Riabilitazione pneumologica 


LEADERSHIP ED APPLICAZIONI NEL MANAGEMENT


 

Al giorno d'oggi l'uso del termine leadership affronta diversi campi applicativi e compone una base fondamentale, in quelle che sono le vision e le mission di qualsiasi azienda.

Il termine deriva da ''To lead'', ovvero guidare, condurre, essere di supporto e sopratutto un esempio per il proprio team. Il buon leader deve possedere delle caratteristiche fondamentali come:

  • Empatia.
  • Carisma.
  • Disponibilità.
  • Capacità di valorizzare ogni membro del team. 
  • Umiltà.
  • Spiccate doti comunicative.
  • Problem Solving. 
Oltremodo sono richieste capacità di adattamento e gestione delle criticità con focus fondamentale nella comunicazione efficace (domande potenzianti). 

La leadership può essere definita come la capacità di motivare più individui a raggiungere un determinato obiettivo, comune e condiviso (1).

Di seguito verranno prese in analisi le tipologie coniate dallo psicologo e scrittore Americano Goleman, il quale definisce la leadership in 6 stili principali. Chiaramente ogni leader deve essere in grado di adottarne uno a seconda della propria personalità o di alternare le varie tipologie in base ai contesti in cui opera, ai momenti e agli obiettivi da raggiungere.

“… capacità di influenzare la gente, e aiutarla a lavorare meglio per raggiungere uno scopo finale in comune”

Lo stesso Goleman ha identificato 6 diversi stili di leadership, ognuno dei quali risponde a particolari esigenze aziendali. Chiaramente questi modus operandi, devono essere adattati in base alle circostanze e improntati al raggiungimento di un clima positivo. Di seguito i dettagli: 

  • Stile visionario: Pro; lo stile “visionario” secondo Daniel Goleman entra in gioco quando un'organizzazione ha bisogno di prendere una nuova direzione: l'obiettivo è quello di costruire un “sogno condiviso” per i dipendenti. Funziona molto bene quando il leader aziendale è credibile e carismatico. Il tutto non specifica la direzione da dover prendere ma delega quelle che sono le vision al fine del raggiungimento dello scopo. Contro; questo tipo di gestione è poco credibile dal momento in cui chi dirige non ha le skills o il ruolo adatto per poterlo fare (2)
  • Stile democratico: Pro; questo stile di leadership coinvolge le conoscenze e le competenze dei singoli, con l'obiettivo di creare impegno e consenso. Funziona bene quando la direzione che deve prendere l'organizzazione è poco chiara ma lo staff è esperto e affiatato. Contro; questo tipo di gestione può essere un'arma a doppio taglio dal momento in cui i propri collaboratori sono inesperti o poco responsabili. Anche in questo caso è possibile essere efficaci tramite un ascolto pro attivo, una gestione improntata al trascinamento e condivisione degli obiettivi (2)
  • Stile coach: Pro; l’obiettivo principale di un leader coach è quello di creare una connessione tra la mission dell’azienda e quelli che sono i desideri e i bisogni del lavoratore. Il ''coaching'' è un facilitatore di idee e supporta i propri collaboratori, avendo come obiettivo la massima espressione di performance e crescita (1)Contro; il coach lavora sull'espressione del potenziale e non come ''psicologo'' di gruppo. Questo tipo di gestione non deve sconfinare nella sfera personale dei collaboratori.
  • Stile esigente: Pro; focalizzato sull’obiettivo, esigente e risulta estremamente determinato e pertanto, spesso, poco empatico. Il manager in oggetto è una persona che ama il successo e che di conseguenza esige perfezione e rapidità dai propri collaboratori. Contro; Goleman mette in guardia il leader esigente, il rischio di minare le dinamiche di gruppo e di far sentire il team inadatto è piuttosto concreto.  Il modo migliore per evitare che ciò accada è dare il buon esempio mettendosi in gioco in prima persona (1).
  • Stile armonizzatore/affiliatore: Pro; perfetto per creare armonia in un gruppo di lavoro, lo stile che prederemo in analisi in questo paragrafo si focalizza sulla relazione. Si tratta di un approccio che tende a prevenire e ad evitare i conflitti tra i singoli componenti di un team. Non è difficile intuire che tale tipologia di leadership presuppone ottime capacità relazionali e comunicative, indispensabili lo sviluppo di una connessione tra le persone. Contro; la linea democratica risulta poco efficace in caso di collaboratori poco scolarizzati focalizzati esclusivamente al fine economico(1).
  • Stile autoritario: Solo Contro; quasi non ci sarebbe bisogno di descriverlo. Si tratta, molto semplicemente, di uno stile che tende verso la coercizione. Il capo autoritario impone la propria vision, esige rispetto, non ammette repliche e non accetta fallimenti. Non è difficile comprendere che un approccio così rigido, autorevole e autoritario porta alla creazione di un clima teso e di un’atmosfera di generale infelicità e insoddisfazione; il tutto notoriamente controproducente ai fini di una produttività di qualità. Da utilizzare in casi di profonda crisi e perdita completa dell'identità aziendale. Stile utilizzato nel management ''old school'', ricordando quasi il filone ''Taylorista'' (vedi Scientific Management)(1).

Oltre Goleman è interessante osservare la teoria di Carol Dweck, dove viene posto l'accento in quello che viene definito un mindset statico oppure dinamico. Nel primo caso avremo un soggetto convinto che le proprie capacità e talento siano innate e che per arrivare ad un obiettivo bisogna effettuare il minor sforzo con il massimo risultato. Questo tipo di soggetto non accetta la sconfitta e si pone sul piedistallo in caso di successo rispetto ai propri collaboratori, dandosi i meriti per il raggiungimento di qualsiasi tipo di KPI. Nel secondo caso, è possibile osservare una forma mentis che si fonda sul impegno, la valorizzazione delle qualità di base, leadership dinamica adattata, empatia e spiccate soft skills. Il soggetto con mindset dinamico predilige le sfide complesse è da il 150% delle sue energie per raggiungere il massimo risultato col il massimo sforzo. L'esempio perfetto con questo tipo di mentalità è Micheal Jordan. Di seguito una delle sue più importanti citazioni che rispecchiano quanto descritto da Dweck:

“Ho sbagliato più di 9000 tiri nella mia carriera. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte, mi hanno dato la fiducia per fare il tiro vincente dell’ultimo secondo e ho sbagliato. Ho fallito più e più e più volte nella mia vita. È per questo che ho avuto successo.” – Michael Jordoan

Altri studi (Dweck et.all), dimostrano che questi mindset possono essere riscontrabili perfino dalle onde cerebrali. Lo studio effettuato nel laboratorio della Columbia, poneva l'accento su domande complesse con feedback positivi o negativi annessi. I soggetti con forma mentis statica mostravano interesse soltanto quando il feedback rispecchiava le loro capacità. Le onde cerebrali dimostravano che essi prestavano grande attenzione quando veniva detto loro se le risposte erano giuste o sbagliate. Quando invece venivano presentate informazioni che li avrebbero potuti aiutare a imparare, non appariva alcun segno di interesse. Perfino quando avevano dato una risposta errata non mostravano interesse a conoscere quale fosse quella giusta (3-10). 

Le persone con forma mentis dinamica prestavano grande attenzione a quelle informazioni che avrebbero potuto ampliare la loro conoscenza. Per esse l'apprendimento costituiva una priorità. 

Altro studio che prende in analisi manager di multinazionali effettuando due paragoni opposti:

  • Albert Dunlap; manager per sua stessa ammissione con un mindset statico, venne chiamato a risanare la Sunbeam. Scelse la strategia a breve termine per apparire come un eroe a Wall Street. Le azioni salirono alle stelle ma l'azienda crollò (mindset statico)(5-6-10).
  • Lou Gerstner, molto più propenso a un approccio mentale di tipo evolutivo, venne invece chiamato a risanare l'IBM. Inizialmente, il suo lavoro, finalizzato a riformare la cultura e politiche aziendali, non ebbe un effetto positivo sul valore azionario della società e Wall Street ironizzò sull'efficacia della sua azione, che molti definirono un vero e proprio fallimento. Pochi anni dopo, però, IBM era tornata ad essere nuovamente prima nel settore(4-6-10)

Da prendere in considerazione è il modello di Vroom e Yetton, i quali gettarono le basi per la leadership situazionale. 

Il modello decisionale di Vroom-Yetton è una teoria di leadership situazionale della psicologia industriale ed organizzativa, sviluppata da Victor Vroom, in collaborazione con Phillip Yetton (1973) e successivamente con Arthur Jago (1988). La teoria situazionale afferma che il miglior stile di leadership è contingente alla situazione. Questo modello suggerisce la selezione di uno stile di leadership per il decision making di gruppo.

Il Modello di Normativa Decisonale Vroom-Yetton-Jago identifica cinque diversi stili (dall'autocratico al consultativo alle decisioni group-based) sulla situazione e sul livello di coinvolgimento.

  • Autocratico 1 (Autocratic Type 1, AI) il leader prende la propria decisione utilizzando le informazioni immediatamente accessibili a lui in quel momento. Questo tipo è completamente autocratico.
  • Autocratico 2 (Autocratic Type 2, AII) il leader raccoglie le informazioni necessarie dai colleghi, poi prende la decisione autonomamente. Il problema o la decisione potrebbe o non potrebbe essere stata riferita ai membri del gruppo. In questo caso, il coinvolgimento dei membri è esclusivamente quello di fornire informazioni.
  • Consultativo 1 (Consultative Type 1, CI) il leader condivide il problema con i membri rilevanti come gruppo e ascolta le loro idee e i suggerimenti, poi prende la decisione autonomamente. I membri non si incontrano contemporaneamente e la decisione finale potrebbe o non potrebbe riflettere la loro influenza. In questo caso, il coinvolgimento dei membri è quello di fornire alternative individualmente.
  • Consultativo 2 (Consultative Type 2, CII) il leader condivide il problema ai membri del gruppo rilevanti e ascolta le loro idee ed i suggerimenti, poi prende la decisione autonomamente. In questo caso, i membri si incontrano, e attraverso le discussioni accettano le alternative degli altri. Anche in questo caso, la decisione del leader potrebbe non riflettere quella degli altri membri. Il livello di coinvolgimento è quello di aiutare come un gruppo nel processo decisionale.
  • Gruppo 2 (Group-based Type 2, GII) il gruppo discute il problema e la situazione con i membri del gruppo e successivamente ascolta le loro idee e suggerimenti tramite brainstorming. Il leader accetta ogni decisione e cerca di non imporsi sopra gli altri. La decisione viene presa in base alla scelta finale del gruppo.

Vroom & Yetton formulano inoltre sette domande sulla qualità della decisione, sul commitment, sull'accettazione della decisione, con la quale i leader possono determinare il livello del coinvolgimento nella decisione. Le risposte delle seguenti domande devono essere 'sì' o 'no' in base allo scenario analizzato.

  1. Esistono dei requisiti di qualità? La natura della soluzione è critica? Esistono basi tecniche o razionali per selezionare la migliore delle possibili soluzioni?
  2. Sono in possesso di informazioni a sufficienza per prendere una decisione valida al problema?
  3. Il problema è ben strutturato? Esistono sono metodi di valutazione alternativi per la sua valutazione?
  4. L'accettazione della decisione dai subordinati è critica ai fini della sua implementazione?
  5. Se stessi prendendo la decisione autonomamente, sono sicuro che sarebbe accettata dai miei subordinati?
  6. I subordinati condividono gli obiettivi dell'organizzazione nella soluzione del problema?
  7. È probabile che si verifichi un conflitto tra i subordinati nell'ottenimento della soluzione desiderata?

In base alle risposte date si può identificare lo stile di leader dal grafico in basso (6-7-8)(ulteriore fonte Modello Vroom/Yetton).





Dopo aver analizzato alcuni modelli di leadership è fondamentale unire lo studio riguardante la strutturazione delle emozioni. Perchè questo aspetto è importante ?
Non è esisterebbe leadership senza un aspetto emotivo. 
Di seguito verrà presa in analisi la distinzione tra le emozioni ALFA ed emozioni BETA:
  • Nel primo caso (ALFA) abbiamo le emozioni di tipo viscerale, improntate verso un traguardo sentito nel profondo del nostro io end state; ovvero quanto sento mio un obiettivo ? Lo sento come qualcosa che mi tocca davvero ? Provo passione per un certo obiettivo o lo vivo come uno dei tanti momenti ? Lo sento importante per i miei valori ?(9)
  • Nel secondo caso (BETA) abbiamo le emozioni che si provano per le azioni necessarie al raggiungimento dell'obiettivo operation. Quindi le attività e i singoli step necessari al fine; ovvero mi annoiano le operazioni intermedie e vorrei vedere solo il risultato finale raggiunto ? Provo invece piacere nell'azione, gusto del fare o dell'agire ?(9)

Entriamo nel mondo del lavoro effettuando un esempio pratico, analizzando le performance di un consulente o venditore: le emozioni alfa si attivano nel volere fortemente un risultato finale (vendita conclusa), le emozioni beta si attivano quando il venditore è emotivamente e positivamente coinvolto nella trattativa di vendita, nella strategia di preparazione, vede le trattative in sé come attività comunicativa e persuasiva interessante, come relazione di aiuto, o come sforzo di condivisione, o come esercizio di tattica e strategia, come sfida con te stesso, o come palestra del proprio stato o condizione mentale (attivazione emozioni beta)(9).
Per questo motivo ogni manager ha la responsabilità di dover far apprezzare tutto il percorso svolto dal proprio collaboratore al fine di creare la giusta attivazione delle due sfere emotive.

In conclusione avendo effettuato una breve analisi sulla letteratura presente, è possibile dedurre che la migliore strategia per poter mantenere un gruppo di lavoro emotivamente sano e positivamente orientato agli obiettivi è quello di adattare la leadership in base:
  • Alle situazioni ambientali.
  • Coinvolgimento, interesse, motivazione intrinseca, skills hard e soft del collaboratore. 
  • Creare un clima dove la crescita ed il raggiungimento degli obiettivi condivisi sia il primo step. 
Il leader o un motivatore che riesce a far visualizzare ed apprezzare il risultato finale atteso potrà generare motivazione autonoma.

Bibliografia 

  1. https://www.unicusano.it/blog/didattica/master/tipi-di-leadership/
  2. https://st.ilsole24ore.com/art/management/2016-06-21/sei-stili-leadership-visionario-183657.shtml?uuid=AD8qDWg
  3. https://www.nais.org/magazine/independent-school/winter-2008/brainology/
  4. A.J.Dunlap, B.Edelman, Mean Business: How I save Bad Companies and Make Good Companies great, Fireside/Simon & Schuster, New York, 1996; J.A. Byrne, ''How al Dunlap Self-Destructed, Business Week, july 6, 1998
  5. L.Gerstner, Who Say Elefants Can't dance ? inside IBM's Historics Turnaround, H.Collins, New York, 2002.
  6. Vroom, Victor H. ; Yetton, Phillip W. (1973). Leadership e processo decisionale . Pittsburgh: University of Pittsburgh Press. ISBN  0-8229-32660.
  7. Vroom, Victor H. ; Jago, Arthur G. (1988). La nuova leadership: Gestione partecipazione nelle organizzazioni . Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall. ISBN  0-13-615030-6.
  8. Vroom, Victor ; Sternberg, Robert J. (2002). "Lettere teorici: La persona contro la situazione nella leadership". La trimestrale Leadership . 13 :301323. 
  9. D.Trevisani, Self Power, psicologia della motivazione e della performance, Franco Angeli/trend pag 22-25.
  10. C.Dweck, Mindset: the new phsychology of success, Franco Angeli editore, pag 32-33
Author: Dott. Gherardo Bertocchi, CEO/Founder di Scienze Salute Benessere


CORE STABILITY: QUANTO E' IMPORTANTE E A COSA SERVE?


Core Stability” è un termine utilizzato in ambito sportivo da diversi anni, che viene spesso associato al miglioramento della performance e alla prevenzione degli infortuni, ma ultimamente è entrato a far parte anche del linguaggio comune, in relazione a problematiche di salute della colonna vertebrale,  quali mal di schiena e sciatalgia (infiammazione del nervo sciatico).


Il “Core” è il complesso muscolare pelvi-schiena-anche, una zona fondamentale per lo svolgimento delle attività sportive, ma anche di molte attività del vivere quotidiano.


Per core stability si intende la capacità da parte del diaframma, del pavimento pelvico e della parete addominale di stabilizzare la colonna vertebrale durante lo svolgimento di un qualsiasi movimento volontario per evitare l’insorgenza di dolore e infortuni alla schiena.


Negli ultimi due decenni, l'esercizio dei muscoli del core ha guadagnato un grande interesse per gli sport professionistici. La ricerca si è concentrata sulla prevenzione degli infortuni e sul miglioramento delle prestazioni atletiche.


Stabilizzazione core e lombo-pelvica nei corridori

I muscoli del core forniscono stabilità che consente la generazione di forza e movimento negli arti inferiori, oltre a distribuire forze di impatto e consentire movimenti del corpo controllati ed efficienti. Squilibri o carenze nei muscoli del core possono comportare un aumento della fatica, una riduzione della resistenza e lesioni nei corridori. 

Il rafforzamento del “core” dovrebbe comprendere le esigenze intrinseche del “core” in termini di flessibilità, forza, equilibrio e resistenza e la sua funzione in relazione al suo ruolo nella funzione e nella disfunzione degli arti. 


Effetti degli esercizi di stabilità di base sui muscoli multifido in donne sane e donne con lombalgia cronica

Il dolore lombare cronico (LBP) può essere correlato alla riduzione della sezione trasversale del muscolo multifido lombare (CSA).


Obiettivo: in questo studio, sono stati progettati esercizi di stabilizzazione del “core” per migliorare il controllo neuro-muscolare e correggere la disfunzione del multifido.


Metodi: i soggetti erano donne sane (n = 11) e donne con LBP cronico (n = 17). I CSA del muscolo lombare multifidus sono stati misurati mediante ecografia. I test sono stati effettuati prima degli esercizi di allenamento per la stabilità lombare e di nuovo 4 mesi e 8 mesi dopo l'allenamento.


Risultati: nelle donne con LBP, il CSA medio del muscolo multifido è aumentato del 22% sul lato destro e del 23% sul lato sinistro dopo 8 mesi di allenamento di stabilizzazione lombare, rispetto alle misurazioni di base. Nelle donne in buona salute, il CSA medio del muscolo multifido è aumentato del 24% sul lato destro e del 23% sul lato sinistro, rispetto ai valori basali.


Conclusioni: un programma di esercizi di stabilizzazione di base ha aumentato significativamente le CSA muscolari multifido sia nelle donne sane che nelle donne con LBP cronico.



Esercizi per la Core Stability: perché?

Lo scopo degli esercizi di Core Stability è quello di consentire al soggetto un adeguato controllo motorio e, conseguentemente, mantenere una corretta postura .

Il complesso “Core” riveste una notevole importanza sia ai fini dell’equilibrio statico sia ai fini di quello dinamico (si pensi, tanto per fare un esempio, ai ripetuti cambi di direzione che caratterizzano moltissime attività sportive) operando in sinergia con i muscoli degli arti inferiori.

Gli autori ritengono che la debolezza del Core possa essere alla base di molti infortuni. 


Alcuni esempi:

Secondo Kibler (2000) una muscolatura delle anche debole può essere causa di un’alterazione della posizione anche/tronco con conseguente rischio di infortunio alle ginocchia.

Un’alterazione nelle attività dei muscoli del bacino è associata a un incremento del varismo dell’anca con conseguente incremento del valgismo del ginocchio nel corso delle ricadute da un salto o durante le manovre di squat.

Un basso livello di Core Stability aumenta i rischi di lesione al legamento crociato anteriore (LCA); una debolezza dei muscoli abduttori delle anche e i flessori contratti possono essere all’origine di dolori al ginocchio e di condromalacia rotulea.


La debolezza dei muscoli rotatori esterni delle anche viene associata a un incremento del rischio di traumi alle ginocchia (Lloyd Ireland, 2004).

Secondo molti autori quindi, un inadeguato livello di Core Stability, può condurre con il tempo a infortuni a vari livelli lombalgie,pubalgie,problemi alle ginocchia, sindrome della bandelletta ileo-tibiale, etc.).


È facile capire quindi che molti allenatori guardino alla stabilità del “core” con un certo interesse, ritenendolo non solo un metodo per migliorare la performance sportiva, ma anche, e soprattutto, per prevenire, nei limiti del possibile, gli infortuni associati inevitabilmente a ogni pratica sportiva.


Allenare la stabilità del core dunque dovrà essere il punto di avvio, il centro da cui partire focalizzando il nostro lavoro sulla qualità del movimento. Il sistema della stabilizzazione è quindi il primo passo verso la generazione di un movimento corretto. Un’instabilità di questo punto centrale porterà conseguente instabilità nella trasmissione della forza lungo la catena cinetica.

Parlando in particolare di sport di prestazione, un intervento adeguato sui muscoli del core quindi porterà il nostro atleta ad avere una solida base su cui poter rendere più efficaci e sicuri tutti gli altri mezzi di allenamento coinvolti più direttamente nella prestazione sportiva.


Il core training in generale non è in grado da solo di poter migliorare la prestazione sport specifica dell’atleta, ma se opportunamente integrato in un programma di allenamento, può risultare un mezzo facilitante per la corretta esecuzione delle esercitazioni specifiche e, senza dubbio, utile nella prevenzione degli infortuni.




REFERENZE

Dr. Christian Tonanzi

Osteopata, Fisioterapista e Docente.

Sports Med. 2017v

Klaus Wirth 1Hagen Hartmann 2Christoph Mickel 3Elena Szilvas 3Michael Keiner 4Andre Sander 5

Affiliations expand

Core muscles; Core rehabilitation; Core stability; Core strengthening; Lumbopelvic control; Runners.

Copyright © 2016 Elsevier Inc. All rights reserved.

Lumbar stability; low-back pain; multifidus muscle.

Irina Kliziene 1Saule Sipaviciene 2Sarunas Klizas 3Daiva Imbrasiene 2

Albanesi.it


 Author : Riccardo Di Paola Writing Articles & Social Media Marketing Scienze Salute Benessere


SINDROME DI TOURETTE E SPORT






La sindrome di Tourette (ST), è un disturbo neurologico comportamentale, spesso con esordio infantile, caratterizzato dalla presenza di tic motori e/o fonici che variano per intensità, complessità, durata e quindi gravità.
Tale sindrome prende il nome dal neurologo, Gilles de la Tourette, che compilò il primo rapporto completo sul disturbo analizzando il comportamento di nove pazienti con comportamenti comuni.
La ST può presentarsi in compresenza con altri disturbi neuropsichiatrici come col disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) o con la sindrome di deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD).

Tabella 1. Criteri diagnostici della ST e differenze con altri disturbi da tic secondo il DSM-IV


Come descritto in precedenza, la caratteristica della ST sono gli improvvisi, rapidi e intermittenti movimenti ripetitivi o suoni, denominati come tic motori o fonici, governati dalla componente di involontarietà o semivolontarietà, divisibili a loro volta in semplici e complessi.
I tic motori semplici coinvolgono un muscolo o un solo gruppo di muscoli e possono dividersi in: tic clonici e tic distonici. I tic fonici invece possono essere divisibili anch’essi in semplici e complessi.


Tabella 2. Tic che possono manifestarsi nella ST.


Eziologia ed epidemiologia
 Fattori neurobiologici
Neurobiologicamente sono coinvolte disfunzioni fisiologiche e anomalie strutturali nei gangli della base, nel corpo striato, nel globo pallido (GP) e nel caudato. Più recenti hanno individuato anomalie a livello nella corteccia frontale, nel talamo e nei tratti dopaminergici e serotoninergici che attraversano queste aree cerebrali. Sono state registrate anche delle attività fuori da valori normali nel cervelletto, nell’insula e nel putamen. Ritenere responsabile dei tic il circuito cortico-striato-talamo-corticale (CSTC) sembra essere una delle cause più attendibili; in particolare si riscontra un’incapacità da parte dei gangli della base di inibire programmi corticali motori indesiderati Inoltre si è dimostrato che le basi neurobiologiche della ST e del DOC sono parzialmente sovrapponibili.

Tourette e impatto sociale
L’impatto psicosociale della ST è legato non solo ai vari tic ma anche alle conseguenze relative alle sociali, affettive-relazionali e alla difficoltà di apprendimento a scuola. Tutti questi fatto vanno a compromettere in toto il funzionamento sociale. Queste condizioni a loro volta causano aumento dello stress e dell’ansia e di conseguenza un aumento dei tic alimentando un circolo vizioso a volte invalidante che può portare, in casi estremi, all’isolamento sociale.

Sport e Tourette: il portiere Howard
Il portiere classe ’79 che ha difeso i pali di Everton e Manchester United è famoso per aver “sconfitto” la sindrome di Tourette attraverso il gioco del calcio.
In una sua intervista rilasciata al Spiegel Online lo statunitense afferma “Di fronte a una situazione del genere non ho tic. I miei muscoli mi obbediscono. Non ho idea di come io riesca a farlo e nessun medico è riuscito a spiegarmelo. Io penso che, probabilmente, in quel momento, la mia concentrazione sul gioco è molto più forte della Sindrome di Tourette.

Ma come un simile disturbo può essere “limitato” dalla pratica di una attività sportiva?

Nel 2011 viene effettuato il primo studio tramite un programma di allenamento svolto una volta a settimana per tre mesi ha permesso la riduzione dei tic in un bambino di 12 anni con una severità di tic moderata (Liu, et al., 2011).
Recentemente effettuato il primo tentativo di valutazione, seppur ancora sperimentale dell’effetto dell’esercizio aerobico acuto sulla severità dei tic in un gruppo di 18 giovani individui con TS: mediante l’utilizzo di un exergame, ossia un videogioco che espleta la funzione di esercizio fisico, il gruppo di ricerca è riuscito a ottenere una riduzione della frequenza dei tic.
Nel 2016 L’università degli Studi di Bari “Aldo Moro” ha condotto uno studio preliminare per verificare l’efficacia, sul profilo motorio e psicofisiologico, di un programma di attività caratterizzato da giochi di movimento ad alto impegno coordinativo e cognitivo.
Un periodo di allenamento pari a tre mesi e con la partecipazione di cinque soggetti con diagnosi di TS secondo i criteri del DSM-V (età media: 12.5 anni), inclusi nel progetto di ricerca internazionale. Studiando come varia la frequenza cardiaca, tecnica molto utilizzata negli studi di psicofisiologia, è emerso che quattro casi su cinque, prima dell’inizio delle attività, presentavano un’iperattivazione ortosimpatica. Nel restante caso, invece, è stata rilevata una prevalenza parasimpatica.

Seppur mediante processi differenti, gli effetti dell’esercizio sul SNA potrebbero essere paragonabili a quelli degli inibitori dell’ortosimpatico, migliorando la sinergia tra il sistema simpatico e quello vagale, e riduzione di una condizione di iperattivazione ortosimpatica. Questa è una delle motivazioni per cui, l’esercizio fisico, per un paziente TS, potrebbe rappresenterebbe uno strumento utile a ridurre la sintomatologia della sindrome.

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