ALLENAMENTO NELLA SARCOPENIA




L’invecchiamento è un fenomeno complesso che si manifesta in modo diverso in ciascun individuo ed è fortemente legato alle interazioni tra caratteristiche genetiche, ambientali, comportamentali e demografiche.
La SARCOPENIA è una condizione tipica dell’invecchiamento e consiste in una riduzione della massa e della funzione muscolare che porta ad una perdita dei livelli di forza, un aumento della disabilità e della morbilità nelle popolazioni adulte - anziane.

Tra i 20-30 anni si raggiungono i massimi livelli di massa e forza muscolare, dopodiché tendono progressivamente a ridursi con un maggiore decremento dopo i 60 anni, che diventa ancora più marcato dopo gli 80 anni; la perdita di massa muscolare si concentra negli arti inferiori. Questa riduzione dei livelli di forza è attribuibile ad una combinazione di meccanismi, principalmente legati a inattività fisica, sintesi proteica compromessa, infiammazione cronica, ridotto stato nutrizionale, modificazioni del sistema nervoso, atrofia muscolare, ridotto numero di unità motore, modificazioni enzimatiche, alterata contrattilità muscolare, ed altri fattori.
Il Gold Standard per la diagnosi della SARCOPENIA è la DEXA, ma è possibile rilevare una debolezza muscolare anche attraverso semplici test da eseguire. L’hand-grip test, ad esempio, indica che valori < 26 kg negli uomini e < 16 kg nelle donne sono fortemente correlati a limitazioni della mobilità, all’aumento del rischio di disabilità e di mortalità. Ancora di più della riduzione dei livelli di forza, Il declino della potenza muscolare porta a una ridotta capacità di svolgere attività quotidiane; inoltre la debolezza muscolare ha una serie di esiti negativi sulle patologie dell’età correlate, tra cui diabete, disabilità, declino cognitivo, osteoporosi.
Questo andamento può essere rallentato o addirittura invertito tramite l’attività fisica la quale, se ben strutturata, interviene sulla composizione corporea e su altre funzioni che portano a un declino dei livelli di forza.
Gli adulti più anziani che conducono uno stile di vita sano e che svolgono regolarmente esercizio fisico, hanno maggiori probabilità di rimanere in salute, di essere indipendenti, di avere una migliore qualità della vita e di conseguenza gravare meno sul sistema sanitario.   
Gli esercizi aerobici, di forza, di equilibrio, di flessibilità dovrebbero essere inseriti in un programma di  allenamento come prevenzione o trattamento  della fragilità.  Attenzione però a non esagerare con l’allenamento di tipo aerobico che potrebbe portare a una riduzione della sintesi proteica. L’enfasi dell’allenamento dovrebbe essere posta su esercizi di forza ed equilibrio!

ALLENAMENTO DI FORZA
L’allenamento di forza stimola la produzione di ormoni anabolici come il GH, aumentando così la sintesi proteica (che riequilibra lo sbilanciamento tra catabolismo e anabolismo a favore di quest’ultimo), inoltre può rallentare i processi degenerativi legati all’età nella mobilità funzionale, preservare la densità ossea, migliorare la velocità di andatura, dell’equilibrio statico e dinamico e del rischio di cadute. L’allenamento di forza riduce il declino fin oltre i 60 anni e permette prestazioni superiori a quelle di giovani non allenati.
 Il programma di allenamento deve essere “cucito su misura” e per questo sono necessarie 1-2 settimane di condizionamento per familiarizzare con gli esercizi, seguito da una prima valutazione sulla quale verrà impostato il programma di allenamento per le successive settimane. Alla fine di ogni ciclo di lavoro verrà eseguita una valutazione per capire se si sta procedendo nella giusta direzione.  Gli allenamenti pertanto vanno costantemente monitorati, supervisionati e corretti in itinere.
Al fine di promuovere una maggiore forza massima e incremento delle dimensioni dei muscoli, l’allenamento di forza dovrebbe essere eseguito con la frequenza di 3 sedute a settimana con 2-3 serie di esercizi da 8-12 ripetizioni per gruppo muscolare, con un’intensità iniziale del 20-30% che può arrivare fino all’80% di 1RM. Il numero preciso di ripetizioni dipende dal carico utilizzato e deve essere regolato di conseguenza, considerando che le ripetizioni ad esaurimento non sono necessarie per ottimizzare gli adattamenti neuromuscolari. Un esercizio multi articolare dovrebbe essere svolto per i principali gruppi muscolari, si ottengono migliori risultati sugli arti inferiori con 2 esercizi multi articolari.
Alcuni studi hanno osservato come i sollevatori di pesi di 85 anni presentavano una potenza simile a soggetti di 65 sedentari, mostrando un vantaggio di circa 20 anni grazie ad un costante allenamento di forza. E’stato dimostrato che adulti-anziani (media 68 anni), che si allenavano da più tempo con programmi di forza hanno caratteristiche muscolari simili a quelle degli adulti di 40 anni più giovani. Sono stati osservati ottimi risultati anche con un programma di allenamento di forza in anziani precedentemente sedentari: quest’ultimi dopo 7 anni dalla fine del programma di allenamento possedevano ancora valori di forza maggiori rispetto ai coetanei sedentari, nonostante un simile tasso di declino di forza.
In sintesi si può affermare che adulti-anziani che eseguono allenamento di forza a lungo termine, nonostante il declino legato all'età, preservano la forza muscolare, la potenza, la massa e la funzione.
L’ ALLENAMENTO DI FORZA E INFIAMMAZIONE CRONICA
L’ infiammazione cronica spesso accompagna l'invecchiamento e si ritiene che contribuisca meccanicamente alla perdita della massa e della funzione dei muscoli scheletrici. L'allenamento di forza a lungo termine sembra migliorare l'infiammazione; In particolare, allenamento con un numero di esercizi > 8, una frequenza settimanale di 3 volte a settimana e una durata ≥12 settimane, hanno mostrato una riduzione dell'infiammazione. Questo risultato probabilmente è dovuto da un aumento dei livelli di massa muscolare, suggerendo così che l'allenamento di forza può essere una modalità importante di esercizio fisico per contrastare i cambiamenti legati all'età nella funzione neuromuscolare.

ALLENAMENTO DI POTENZA
Per potenza si intende la capacità di spostare un peso il più velocemente possibile, infatti è espressa come il prodotto tra forza e velocità (concentrica). La potenza muscolare diminuisce più rapidamente con l’avanzare dell’età ed è più strettamente legata alle limitazioni funzionali rispetto alla sola forza muscolare. Infatti la capacità di eseguire le attività della vita quotidiana (ADL) dipende dalla capacità di esprime forza in un tempo breve, piuttosto che esercitare la forza massima.  L’allenamento di potenza consiste in esercizi a basse-moderate intensità (dal 30 al 60%1RM) eseguiti alla massima velocità. Per ottimizzare la potenza erogata durante le serie ed evitare l'affaticamento muscolare, le ripetizioni non devono essere eseguite fino a esaurimento concentrico, in quanto l’affaticamento muscolare può comportare rischi per la sicurezza e non è necessario per le risposte adattative. E’ importante considerare che prima di progredire in carico, velocità o intensità, è necessario avere un buono stato di forma fisica e un’adeguata familiarità con il gesto tecnico da eseguire. È controindicato l’allenamento di forza esplosiva a soggetti con grave osteoartrite.
Poiché esiste una discordanza tra l'entità degli adattamenti neuromuscolari indotti dall'allenamento di forza esplosiva a intensità moderata e l'allenamento di forza tradizionale ad alta intensità, entrambi i tipi di allenamento sono raccomandati e dovrebbero essere combinati durante un programma di allenamento di forza per il miglioramento delle capacità funzionali.                                                                      Un programma di allenamento di dodici settimane, nel quale è incluso l'allenamento di forza esplosiva, ha dimostrato di migliorare la potenza muscolare (96-116%), la forza (24-144%), la sezione trasversa del muscolo, nonché i risultati funzionali e la performance (7–58%).

CONCURRENT TRAINING
Un programma di allenamento negli anziani che include esercizi di forza, potenza e resistenza sembra essere la strategia più efficace per contrastare il declino della massa muscolare, della forza, della funzionalità cardiorespiratoria, della funzione neuromuscolare e della capacità funzionale.                                                                I protocolli di concurrent training dovrebbero essere eseguiti 2-3 volte a settimana, una frequenza più bassa, ad esempio 1 sessione alla settimana di forza e 1 sessione alla settimana di allenamento di resistenza come il ciclismo, può promuovere lo stesso marcati cambiamenti neuromuscolari e cardiovascolari negli anziani non allenati. Nel caso in cui sia l'allenamento di forza che quello di resistenza vengano eseguiti nello stesso giorno, si possono ottenere maggiori livelli di forza con l’esecuzione di esercizi di forza prima degli esercizi di resistenza.
Nel concurrent trainining è importante inserire di esercizi di allenamento funzionale per un ulteriore miglioramento nella prestazione delle ADL. L'allenamento funzionale si concentra su movimenti multi articolari complessi e dinamici e incorpora variazioni per far progredire la propria capacità funzionale di eseguire una determinata attività della vita quotidiana, richiedendo negli esercizi schemi di movimento simili a quelli dell'ADL e dei movimenti quotidiani. L'allenamento funzionale può essere eseguito attraverso esercizi di forza dinamica basati sull'equilibrio per migliorare la forza funzionale della parte inferiore del corpo, aggiungendo peso ai movimenti funzionali quotidiani o praticando movimenti funzionali a velocità diverse. È stata inoltre utilizzata una combinazione di attività di equilibrio e coordinamento, come la pratica di un compito ADL in una posizione che sfida l'equilibrio. Come l'allenamento progressivo di forza, anche gli esercizi di allenamento funzionale, l'intensità e scelta degli esercizi dovrebbero essere personalizzati in base alle capacità di una persona

KETTELBELL TRAINING
Un recente studio ha osservato miglioramenti in termini di massa muscolare, d’infiammazione e di picco del flusso espiratorio in donne sarcopeniche di età compresa tra i 65 e i 75 anni con un programma di kettlebell training di 8 settimane, con due sessioni di allenamento da 60’ a settimana; inoltre questi miglioramenti vengono mantenuti nelle seguenti 4 settimane di de training.

RISCHIO CADUTE
Le cadute sono un pericolo comune nella popolazione adulta-anziana e, soprattutto in soggetti fragili, possono causare fratture e lesioni gravi con conseguente dolore cronico e/o disabilità.                                                                     
I maggiori effetti relativi dell'esercizio sui tassi di caduta sono stati osservati in programmi che includevano un maggior volume di esercizi ed esercizi di equilibrio.        Diversi studi hanno dimostrato l'importanza di inserire esercizi di   forza e multi articolari per ridurre la vulnerabilità alle cadute, quindi prevenire disabilità, morbilità e morte. Programmi di allenamento progressivo di forza che includono esercizi sia a corpo libero che con macchinari per tutto il corpo, inclusi esercizi in piedi a catena cinetica chiusa, come squat e split squat, sono efficaci nel migliorare l'equilibrio statico.  Inoltre, i programmi che sfidano l'equilibrio con esercizi che includono stimoli diffenti, come stare in stazione eretta con i piedi uniti, camminare lungo una linea, camminata tandem, esercizi in monopodalica, stepping, trasferimento del peso da una gamba all’altra, hanno dimostrato i maggiori effetti nella prevenzione delle cadute.     È consigliato per gli anziani a rischio cadute, quindi in particolare per soggetti con fragilità, una progressione di allenamento con approccio iniziale su esercizi di forza ed equilibrio.

BENESSERE PSICOSOCIALE
Con l'invecchiamento, si ritiene che uno stile di vita sedentario e la perdita di massa e forza muscolare, quindi un peggioramento della propria forma fisica, contribuisca alla depressione. È stato dimostrato che la depressione è associata a compromissione del funzionamento, aumento della morbilità, mortalità e demenza.  Allenamenti di forza programmati correttamente portano una varietà di benefici per la salute psicologica degli anziani.  L'allenamento di forza ha dimostrato di offrire un'efficacia antidepressiva simile ai trattamenti farmacoterapici standard per gli adulti- anziani con depressione. Inoltre può mitigare i problemi comportamentali come disturbi sociali, difficoltà di comunicazione, cura di sé e confusione associati a stadi avanzati di demenza.
In sintesi, l'allenamento di forza eseguito 2-3 volte a settimana, ad intensità da moderata ad elevata, porta ad un miglioramento del buon umore, benefici psicosociali, migliore immagine di sé e quindi una migliore qualità della vita

CONCLUSIONE

Sebbene sia stato dimostrato che gli interventi di allenamento di forza promuovano marcati miglioramenti della funzione neuromuscolare, i programmi di allenamento che comprendono esercizi di forza, di potenza di equilibrio e di resistenza (in minore percentuale) sembrano portare maggiori miglioramenti complessivi in soggetti adulti-anziani nella prevenzione e trattamento della SARCOPENIA. Questo tipo di intervento infatti stimola diverse componenti della salute fisica, come l’aumento di massa muscolare, di forza, della fitness cardio-respiratoria, dell’equilibrio, una riduzione del rischio di cadute. La tabella 1 fornisce una sintesi programmi di allenamento per adulti-anziani fragili.



ALLENAMENTO DI FORZA
2-3 VOLTE ALLA SETTIMANA
3 X 8-12 RIPETIZIONI
INTENSITA’ CHE PARTE 20-30%1RM FINO 80%1RM
ALLENAMENTO DI POTENZA
ESERCIZI AD ALTA VELOCITA’ A BASSE-MODERATE INTENSITA’ (30-60%1RM)
ALLENAMENTO FUNZIONALE
ESERCIZI CON SIMULAZIONE DELLE ADL, COME ALZARSI E SEDERSI DALLA SEDIA.

ALLENAMENTO AEROBICO
PUO COMPRENDERE CAMMINATA CON CAMBIAMENTI DI RITMO, STEP UPS, SALIRE LE SCALE E LA BIKE STAZIONARIA.
INTENSITA’ 12-14 SCALA DI BORG
ALLENAMENTO DI EQUILIBRIO
INCLUDE DIVERSI STIMOLI DI ESERCIZI, COME CAMMINARE LUNGO  UNA LINEA, CAMMINATA TANDEM, ESERCIZI IN MONOPODALICA, STEPPING, TRASFERIMENTO DEL PESO DA UNA GAMBA ALL’ALTRA…



Hung-Ting Chen , Huey-June Wu  et al “Effetti dell'allenamento con kettlebell di 8 settimane sulla composizione corporea, la forza muscolare, la funzione polmonare e l'infiammazione cronica di basso grado nelle donne anziane con sarcopenia”


Fragala, Maren S,  Cadore, Eduardo L  et al “Resistance Training for Older Adults” Position Statement From the National Strength and Conditioning Association





NERVO TRIGEMINO, INFIAMMAZIONE, DOLORE DENTALE E MAL DI TESTA: RUOLO ATTIVO DELL’ ESERCIZIO FISICO NELLE CEFALEE


Il 5° paio dei nervi encefalici è rappresentato dal nervo trigemino, il più voluminoso . È così chiamato in quanto la sua distribuzione periferica ha luogo attraverso le 3 branche in cui si divide: nervo oftalmico, nervo mascellare e nervo mandibolare. È un nervo misto costituito da un contingente maggiore di fibre sensitive somatiche e da un minor numero di fibre motrici somatiche. Le due componenti emergono spontaneamente dal nevrasse come radici distinte di cui la radice sensitiva è più voluminosa di quella motrice. Le due radici conservano la loro individualità dal punto di emergenza fino all’origine delle 3 branche.
La componente sensitiva somatica, contenuta nella radice sensitiva del trigemino, ha origine nel voluminoso ganglio semilunare del Gasser.

I protoneuroni pseudounipolari del ganglio inviano il loro prolungamento centrale al nucleo sensitivo principale (pontino) e al nucleo della radice discendente (bulbospinale). 
Il prolungamento periferico, invece, va nelle 3 branche del trigemino; per mezzo di questi ultimi, le fibre raccolgono stimoli sensitivi esterocettivi dalla cute della faccia e dalla mucosa congiuntivale, della bocca e del naso. 

È dubbia, invece, la provenienza di stimoli propriocettivi dai muscoli estrinseci dell’occhio, dai muscoli mimici e dagli alveoli dentali. La sensibilità propriocettiva dei muscoli masticatori e quella proveniente dai muscoli mimici e dai muscoli estrinseci dell’occhio sono raccolte da fibre i cui protoneuroni non sono nel ganglio semilunare ma si trovano annessi al nucleo sensitivo mesencefalico; questi ultimi neuroni hanno il significato di cellule gangliari.
La componente motrice somatica origina dal nucleo masticatorio del trigemino, emerge dal ponte con la piccola radice motrice, supera il ganglio semilunare e passa per intero nella banca mandibolare. 
Si distribuisce ai muscoli masticatori, al muscolo del martello, al muscolo tensore del velo del palato, al muscolo miloioideo e al ventre anteriore del muscolo digastrico. 

Alle 3 branche del nervo trigemino si trovano annessi diversi gangli parasimpatici: il ganglio ciliare, il g. sfenopalatino, i gg. sottomandibolare e sottolinguale e il g. otico, ai quali giungono fibre pregangliari da altri nervi encefalici. Le fibre postgangliari che nascono dai suddetti gangli raggiungono i relativi distretti di innervazione unendosi ai rami delle 3 branche del nervo trigemino. Il nervo trigemino emerge dalla superficie ventrale del ponte, al limite con il peduncolo cerebellare medio. All’emergenza sono chiaramente distinguibili la radice sensitiva, voluminosa e un poco appiattita e quella motrice, piccola e cilindrica. 
Le due radici del nervo si dirigono insieme in avanti e in alto e, superato l’apice della rocca petrosa del temporale, perforano la dura madre e penetrano nel cavo del Meckel, una cavità delimitata da uno sdoppiamento della dura madre encefalica che appoggia sull’apice della rocca petrosa del temporale e, in avanti, sulla lamina fibrocartilaginea che chiude il foro lacero anteriore.

Nella cavità del Meckel è accolto il ganglio semilunare, una formazione appiattita con il margine concavo volto in alto e in dietro e il margine convesso che guarda in basso e in avanti. Al margine concavo, posteriore, giungono la radice sensitiva e quella motrice del trigemino; la radice sensitiva continua direttamente nel ganglio, quella motrice passa sotto al ganglio, senza penetrarvi, e prosegue quindi nella branca mandibolare.
Dal margine convesso, anteriore, del ganglio si staccano le 3 branche del trigemino: in alto e medialmente il nervo oftalmico, al centro il nervo mascellare, in basso e in fuori il nervo mandibolare.

Il dolore dentale è il dolore acuto più comune che si presenta nella regione orofacciale; tuttavia, anche le condizioni di dolore cronico sono frequenti e comprendono: disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare (ATM), mal di testa primario (dolore neurovascolare), neuropatia trigeminale post-traumatica dolorosa (PPTTN) e dolore meno comunemente riferito e condizioni di dolore idiopatico o centralizzato. 

Tutte queste condizioni possono imitare il mal di denti e viceversa. Molte di queste condizioni sono comorbide con alti livelli di tensione mal di testa ed emicrania segnalati in pazienti con ATM; 
A causa della presentazione variabile del mal di denti, che può imitare molti diversi dolori cronici tra cui: dolore lancinante episodico di emicrania, dolore sordo continuo di ATM miofasciali e artrogeni o dolore facciale centralizzato, la diagnosi può essere complessa.

 Il dolore nevralgico si verifica nella dentatura in salute e con la malattia, imitando condizioni come PPTTN, nevralgia del trigemino e cefalalgie autonome del trigemino.

Il dolore neuropatico trigemino è una condizione di dolore cronico causata da danni o infiammazione del nervo trigemino o dei suoi rami, con disfunzione del sistema nervoso periferico e centrale che contribuisce al disturbo. Le condizioni del dolore trigemino presentano sfide diagnostiche e terapeutiche per gli operatori sanitari e spesso richiedono approcci terapeutici multipli per la riduzione del dolore.

Vediamo la relazione fra infiammazione con nevralgia del trigemino


La nevralgia del trigemino (TN) è una malattia nervosa cranica comune. L'infiammazione è suggerita in molti studi recenti di essere coinvolta nel dolore neuropatico, ma il suo ruolo nel TN rimane finora poco chiaro. 
Pertanto, l'attuale studio mirava a esplorare il rapporto di infiammazione con TN.

Metodi:
I livelli di marker infiammatori, come globuli bianchi (WBC), neutrofili (NE), linfociti (LY), monociti (MO), piastrine (PLT) e albumina (ALB), nonché il rapporto neutrofili / linfociti ( NLR), NLR derivato (dNLR), rapporto piastrinico / linfocitario (PLR), rapporto monocita / linfocita (MLR) e indice nutrizionale prognostico (PNI) sono stati confrontati tra pazienti TN e controlli sani mediante test non parametrici. Inoltre, sono stati impiegati molteplici modelli di regressione logistica per valutare le associazioni di marcatori infiammatori con TN. Inoltre, è stata tracciata la curva delle caratteristiche operative del ricevitore (ROC) per analizzare i valori di questi creatori infiammatori, nonché le loro combinazioni corrispondenti nella diagnosi di TN.

Risultati:
I livelli di WBC, NE, MO, NLR, dNLR e MLR nei pazienti con TN erano evidentemente aumentati in combinazione con quelli nei soggetti normali. Inoltre, i modelli di regressione logistica multivariata hanno dimostrato che l'infiammazione aveva una stretta correlazione con TN. Nel frattempo, i valori dell'area sotto la curva (AUC) per NE, NLR e dNLR, nonché quelli per le combinazioni corrispondenti di NLR + PLR, NLR + PNI, dNLR + NLR e dNLR + PLR in TN erano> 0,7, che potrebbe avere un valore predittivo per TN rispetto a quelli per soggetti normali.

Conclusioni:
I risultati di questo studio rivelano che l'infiammazione avrebbe potuto svolgere un ruolo vicino e importante nella progressione e nell'eziologia del TN.
Possiamo dire in conclusione che spesso riscontriamo dolori dentali o forti mal di testa e non sappiamo a cosa sono dovuti, molte volte è proprio il nervo trigemino a determinare tale situazione.
Se sottoposto ad un’ infiammazione e tale viene sottovalutata si insorge a complicazioni come la nevralgia del trigemino, che a sua volta provoca ulteriori problematiche.

Ruolo dell’attività fisica nel mal di testa:

Quando lo sport è causa di mal di testa?
I mal di testa possono essere frequenti per chi fa sport e, in particolare, per:
giocatori di calcio, rugby e football americano: nei casi peggiori, possono capitare traumi alla testa che possono causare la perdita di coscienza ma tendono a risolversi nel giro di poche ore;
nuotatori: il rischio è di compressione del cranio, per esempio a causa della cinghia degli occhiali;
sub: l’aumento della pressione sotto a una certa profondità può portare a un aumento della concentrazione di anidride carbonica e, quindi, mal di testa;
scalatori: la cefalea si presenta di solito quando si raggiungono altezze dai 1200 ai 1800 metri;
sollevatori di pesi: in questo caso il mal di testa è causato dallo sforzo, durante il quale aumenta la pressione sanguigna che porta più sangue verso la testa. Il dolore può essere molto lancinante e può durare da pochi minuti a 24 ore.

Cosa accade? L’esercizio fisico può scatenare l’attacco di emicrania quando comporta un aumento brusco ed elevato di citochine infiammatorie, ossia di sostanze che aumentano il microincendio biologico sia a livello tissutale, causando dolenzia o franco dolore muscolare e/o articolare, sia a livello cerebrale, aumentando la neuroinfiammazione, che sottende anche l’attacco emicranico. L’aumento brusco ed elevato delle citochine si verifica più frequentemente:
- quando il soggetto fa sport al di sopra del proprio livello di allenamento per intensità e/o durata (per esempio, la persona non fa attività fisica durante la settimana e fa sport ad alta richiesta di prestazione la domenica);
- quando lo fa in condizioni ambientali stressanti: perché la temperatura è troppo fredda o troppo elevata, o in contesti troppo affollati o ansiogeni;
- quando lo fa durante le mestruazioni, perché in tal caso l’infiammazione associata all’attività fisica eccessiva si somma a quella provocata dalla caduta premestruale degli estrogeni e del progesterone (responsabile dei molti e diversi sintomi mestruali);
- quando fa sport con esercizi (in particolare saltelli, pesi o trazioni sulle braccia) che aumentino il rischio di microtraumi e/o di contrattura dei muscoli paravertebrali nella regione cervicale, e/o del cingolo scapolare.


Quando lo sport aiuta a combattere il mal di testa?
Lo sport, però, non solo può causare mal di testa ma può anche aiutare a contrastarlo.
Non tutti, sia chiaro. Infatti, meglio evitare attività pesanti che richiedono sforzi eccessivi e prolungati (sollevamento pesi, body building, boxe e competizioni agonistiche).
È indicata, invece, una vasta gamma di attività fisiche che possono aiutare a prevenire la cefalea:
aerobica: pilates e yoga possono alleviare i primi sintomi del mal di testa. Agiscono sul sistema nervoso vegetativo, grazie al lavoro su postura e respirazione, togliendo sensibilità al dolore nel sistema nervoso;
corsa: non solo quest’attività allena il corpo ma allenta lo stress e la tensione muscolare, rilasciando endocrine che agiscono da antidolorifico naturale;
nuoto: irrobustisce i muscoli dorsali e cervicali e aiuta una postura corretta che può prevenire mal di testa muscolo - tensivo;
andare in bicicletta: si tratta di un mezzo che mette in circolo una serie di sostanze che possono essere paragonati ad antidolorifici naturali.




Referenze:

- medicinapertutti.it “anatomia, sistema nervoso, sistema nervoso periferico” Nervo Trigemino 12/03/2020

- Department of Physiology & Monash Biomedicine Discovery Institute, Monash University, Melbourne, VIC 3800, Australia

-Tooth-Related Pain or Not?
Renton T. Headache. 2019.
© 2019 American Headache Society.

- Yao, Yuzhi MD*; Chang, Bowen MD, PhD; Li, Shiting MD, PhD
doi: 10.1097/SCS.0000000000005879

  • www.paginemediche.it





Author : Riccardo Di Paola Writing Articles & Social Media Marketing Scienze Salute Benessere

MALATTIA DI OSGOOD - SCHLATTER E ATTIVITA' SPORTIVA IN ETA' ADOLESCENZIALE







L’apofisite tibiale anteriore conosciuta anche come malattia di Osgood-Schlatter, è una delle più comuni cause di dolore al ginocchio in età adolescenziale. L’insorgenza del dolore avviene durante l’accelerazione della crescita, tra i 10-15 anni per il sesso maschile e tra gli 8-13 anni per il sesso femminile, e colpisce più frequentemente soggetti che praticano sport in cui prevalgono le azioni di salto, come la corsa, il calcio, la pallacanestro, la pallavolo, la ginnastica, ecc.

L’insorgenza di questa malattia è molto più frequente nel sesso maschile e generalmente colpisce un solo arto, ma può a sua volta colpire entrambe le ginocchia. Ci sono altri fattori che favoriscono l’insorgenza di questo morbo, tra cui il peso corporeo, la tensione muscolare, la debolezza muscolare durante l'estensione del ginocchio e la flessibilità dei muscoli posteriori della coscia.
Il dolore provocato ha origine nella zona rotulea dell’arto, causato da uno stiramento del tendine rotuleo nel punto i cui si inserisce sulla tibia; tutto questo avviene poiché la crescita ossea dell’adolescente supera la capacità del muscolo e dei suoi tendini di sviluppare forza e di stirarsi il più possibile, causando un’eccessiva tensione sull’estremità della tibia (zona rotulea) provocando l’insorgenza del dolore. Il dolore si presenta quando si ha una contrazione del muscolo quadricipite o una pressione su di esso; in casi più gravi, il dolore è presente anche a riposo ed aumenta con l’attività fisica; i sintomi tendono a scomparire intorno ai 15-16 anni con la maturazione scheletrica.

A volte possono essere utili alcuni esami strumentali come RM, che può rilevare il rigonfiamento dei tessuti molli, e la radiografia, per rilevare se vi è un distacco osseo o un evento traumatico a carico del ginocchio.
Il trattamento per il morbo di Osgood -Schlatter è di tipo conservativo, di solito guarisce spontaneamente; il riposo, la riduzione o l’assoluta assenza di attività sportiva è il principale tipo di trattamento, così da evitare l’acutizzazione del dolore. L'allungamento dei tendini del ginocchio e gli esercizi di stretching della catena muscolare posteriore e di rinforzo del quadricipite possono essere un utile complemento. In rari casi l'escissione chirurgica, dei frammenti ossei, o per rimediare ad un distacco osseo, può dare buoni risultati nei pazienti scheletrici maturi che rimangono sintomatici nonostante le misure conservative.
Può essere utile indossare un tutore protettivo per il ginocchio per proteggerlo da un eventuale trauma. L’attività sportiva può riprendere gradualmente dopo almeno 3 mesi dalla diagnosi, evitando, in fase iniziale, i salti. Attraverso uno studio effettuato su giovani calciatori di alcune accademie russe affetti dal morbo di OS, si è notato come un trattamento conservativo attraverso fisioterapia e kinesioterapia (senza immobilizzazione) ha consentito di riprendere l’attività sportiva per la maggior parte dei ragazzi. Un totale del 35,7% dei giocatori ha riferito di avere disagio dopo aver ripreso l'allenamento regolare, il che ha causato alcune restrizioni nell' esercizio; i sintomi però, si sono risolti spontaneamente con il tempo.

REFERENZE
Zeppilli, P., Manuale di medicina dello sport, s.l., Casa Editrice Scientifica Internazionale, 2016. Cloe Curri,
http://www.ospedalebambinogesu.it/morbo-di-osgoodschlatter#.XsHFqUQzbIV 16 ottobre 2018
Bezuglov, EN., Tikhonova, АА., Chubarovskiy, PV., Repetyuk, АD., Khaitin, VY., Lazarev, AM., Usmanova, EM. (2020), “Conservative treatment of Osgood-Schlatter disease among young professional soccer players”, Pubmed, DOI: 10.1007/s00264- 020-04572-3.

DIABETE E SPORT





Una delle malattie più comuni che colpisce il sistema metabolico e pancreatico è il diabete mellito.
Il diabete si esprime tramite una concentrazione plasmatica di glucosio elevate dovuta ad una mancata risposta e azione dell’ormone insulina (ormone ipoglicemizzante) e dell’annessa cellula bersaglio.
Una condizione cronica di iperglicemia può sfociare in complicanze multiorgano colpendo ad esempio: reni, retina e sistema nervoso.
Nel 2016 sono oltre 3 milioni 200 mila in Italia le persone che dichiarano di essere affette da diabete, il 5,3% dell’intera popolazione (16,5% fra le persone di 65 anni e oltre)”,  sono queste le parole dell’istituto nazione di statistica (ISTAT), dati sicuramente allarmanti per numero di casi ma che si rifugiano in una riduzione della mortalità del  20%  in tutte le classi d’età.
Del diabete mellito esistono due varianti: diabete mellito di tipo 1 e diabete mellito di tipo 2

Diabete mellito di tipo 1

Il diabete mellito di tipo 1 è una patologia caratterizzata da una insufficienza insulinica dovuta all’auto distruzione delle cellule beta pancreatiche, in quanto generalmente malattia autoimmune lo stesso organismo attacca con i suoi sistemi di difesa le medesime cellule.
La maggior parte dei diabetici affetti da tale tipologia la sviluppano durante l’infanzia e circa il 10% dei diabetici ne soffre.
La caratteristica principale di tale patologia è come detto in precedenza la mancata produzione di insulina, la quale permette al glucosio rimanendo in circolo, determina una condizione di iperglicemia.  Il fegato, non riuscendo più a metabolizzare tutto il glucosio in circolo si serve delle vie della glicogenolisi e della gluconeogenesi, che si traducono con una ulteriore produzione di glucosio che peggiore la condizione già esistente di iperglicemia. A livello renale invece, precisamente nel tubulo prossimale del nefrone, il sistema di riassorbimento del glucosio viene saturato, venendo poi escreto tramite l’urina determinando una condizione di glicosuria. L’attività in tutti i tessuti non insulino-dipendenti si svolge rispettando le regole della fisiologia, come ad esempio per la maggior parte dei neuroni. Discorso diverso per i neuroni presenti nel centro della sazietà cerebrale i quali regolati da una insulino-dipendenza, non captandola rispondono come se esistesse una situazione di ipoglicemia, aumentando così il senso di fame e istaurando una situazione di polifagia.
Attualmente come trattamento possibile vi è la somministrazione tramite iniezione dell’ormone mancante, tuttavia la bioingegneria sta lavorando per semplificare tale problema.

Diabete mellito di tipo 2

Il diabete mellito di tipo 2 è un’altra variante di tale patologia, noto anche come diabete insulino-resistente.
Questa variante rappresenta il 90% dei casi di diabete, con importante predisposizione genetica per certi gruppi etnici.
Patologia che colpisce prevalentemente in età adulta e in condizione di obesità è caratterizzata dalla resistenza all’insulina, e da una sovraespressione di glucagone, ormone iperglicemizzante, in quanto in questa variante le cellule alfa non riescono a captare il glucosio, di conseguenza si ha una risposta con aumento di secrezione del glucagone sopracitato, contribuendo all’iperglicemia, glicogenolisi e gluconeogenesi.

DIABETE E SVOLGIMENTO DI ATTIVITA’ SPORTIVA

Durante lo svolgimento dell’esercizio fisico avvengono nel nostro organismo delle risposte, se un soggetto è poco allenato saranno maggiori, come l’aumento della secrezione di glucagone ed ormoni controinsulari e la riduzione di insulina senza azzerarsi. Il muscolo diviene quindi sensibile all’insulina per il rispristino delle scorte di glucosio utilizzate nell’esercizio, l’allenamento constante può migliorare tale condizione permettendo una migliore sensibilità all’insulina da parte dei suoi organi bersaglio.
Nel diabetico queste risposte sono differenti e quindi dev’essere differente il suo approccio all’esercizio.

Diabete mellito di tipo 1 e sport

Il soggetto affetto da diabete di tipo 1 non ha la capacità di produrre insulina per cui necessita di una terapia sostitutiva (insulina esogena), quando si sottopone ad un esercizio fisico va in contro ad una delle seguenti situazioni:
-ipoglicemia da sforzo, dove i valori di glucosio nel sangue scendono oltre ai 50mg/dl.
-ipoglicemia tardiva, può avvenire anche diverse ore dopo l’attività svolta.
-iperglicemia da sforzo, durante l’attività che si sta svolgendo, l’assenza dell’ormone necessario in tal       momento per i muscoli nell’utilizzo del glucosio, fa si che si vada incontro ad una rapida iperglicemia.

Per la prevenzione di tali rischi è preferibile che il soggetto non pratichi attività nelle 2-3 ore dopo l’iniezione di insulina, preferendo i momenti ove l’insulinemia è in valori più bassi, ovvero valori che mimano la risposta fisiologica dell’ormone all’esercizio.
L’esercizio fisico comporta una diminuzione della insulino-resistenza, da questo si raccomanda la diminuzione del 30-50% dell’insulina inettabile.
E’ fondamentale monitorare la glicemia prima, durante e dopo l’esercizio fisico, qualora la glicemia fosse tra 80-100mg/dl è indicato l’assunzione di carboidrati complessi (frutta), se invece i valori si aggirano intorno ai 60mg/dl, quindi più bassi, meglio assumere carboidrati complessi. Nel momento in cui l’atleta deve affrontare uno sforzo prolungato è necessario che assuma uno spuntino ogni 30-60min.
Le pratiche sportive per chi soffre si tale variante consigliate sono quelle in cui lo sforzo è progressivo e dove l’intensità può essere calcolata, sport come podismo, nuoto, sci di fondo, senza negare ovviamente lo sport per la quale prova passione.

Diabete mellito di tipo 2 e sport

Il soggetto affetto da diabete di tipo 2, inizialmente presenta una insulino-resistenza dei tessuti periferici.
La risposta meno efficiente delle cellule bersaglio all’insulina comporta una ridotta utilizzazione del glucosio, inducendo una maggiore espressione di glucosio epatico che conducono una iperglicemia.
Nel diabetico di tipo 2 durante l’esercizio l’utilizzazione del glucosio aumenta ma il livello di insulina non si riduce.
Ancora una volta è l’ipoglicemia la complicanza più comune anche in questa variante, da considerare insieme ad una maggiore attività dell’enzima lattico-deidrogenasi, questo induce ad una minore tolleranza allo sforzo con un rischio di acidosi lattica.
L’effetto benefico dell’attività motoria nel soggetto diabetico di tipo 2 è maggiore se si allena con regolarità, l’utilizzo del glucosio aumenta del 30-35% collegabile ad un aumento della potenza aerobica.
Le attività ad impatto aerobico e costanti sono le più indicate per tale variante di diabete. L’American Diabetes Association raccomanda 30’ al giorno di intensità lieve-moderata al 50-70% del VO2max o FC, parliamo di attività come marcia, ciclismo in pianura e nuoto.

In tutti i pazienti diabetici tuttavia sono sconsigliate le attività che :  
-in caso di ipoglicemia metterebbero a rischio la propria incolumità e quella di terzi
-le attività con sforzi isometrici importanti.

REFERENZE:
 -P. Zeppilli, M. Bianco, V. Palmieri, V. Santoriello – Manuale di medicina dello sport--2011.
- D. U. Silverthorn fisiologia umana 2013
- Dati ISTAT DATA DI PUBBLICAZIONE: 20 LUGLIO 2017.

LA CRESCITA NEI GIOVANI ATLETI




Lo sviluppo dell’organismo nei giovani non avviene in maniera lineare ed allo stesso modo per tutti. Il processo di maturazione è individuale ed ogni individuo, in questa fase, è soggetto a continui cambiamenti a livello fisico, emotivo, psichico e cognitivo. I bambini manifestano uno sviluppo di crescita costante ed equilibrato fino all’inizio della pubertà, quando poi si verifica un picco nella crescita.
Per pubertà si intende il
 periodo di transizione dall’infanzia all’età adulta in cui si attuano numerose trasformazioni fisiche e psicologiche, che si svolgono sequenzialmente fino al conseguimento della maturazione sessuale e della capacità di procreare. Per i maschi questo periodo inizia tra i 12 e i 14 anni, per le femmine invece tra i 10 e i 14 anni. Prima della pubertà sia i maschi che le femmine possono aumentare in altezza di circa 4-8 cm l’anno. Dopo questa fase, si verifica una notevole crescita staturale (8-15 cm l’anno), che coincide appunto con l’inizio della pubertà.

Questo particolare periodo prende il nome di “impennata di crescita” e, l’età in cui la velocità di crescita raggiunge l’apice, viene definita “Peak Height Velocity” (PHV), ovvero Picco di Crescita. Successivamente, la crescita staturale diminuisce via via fino a fermarsi intorno ai 16 anni per le ragazze e ai 18 anni per i ragazzi.
In base al PHV è possibile evidenziare delle fasi sensibili definite “windows of opportunity” per lo sviluppo di determinate capacità motorie che contribuiscono alla formazione dell’atleta (Balyi 2003). In particolare, il periodo per picco di crescita (PHV) è caratterizzato da:
  • completamento del processo di mielinizzazione delle fibre nervose che determinano un aumento della coordinazione intermuscolare e intramuscolare e controllo motorio (Viru et al 1999)
  • incremento della concentrazione di androgeni, dalla differenziazione delle fibre muscolari e dalla stabilizzazione dei livelli di fosfocreatina (Meyer et al 2011)
  • sviluppo della massa muscolare sotto spinta ormonale.
L’inizio del PHV ci può fornire delle informazioni utili sullo stato di sviluppo: prima si verifica, più il bambino è maturo. Inoltre, per definire questo processo di maturazione, viene utilizzata come espressione “età biologica” anziché età cronologica.  Ovviamente, come già detto in precedenza, la fase appena descritta, varia da individuo a individuo. Infatti, la massima crescita dell’adolescente può verificarsi precocemente a dieci anni per alcuni, mentre per altri non prima dei sedici. In media però, le ragazze maturano il proprio sviluppo due anni prima rispetto ai ragazzi.
Nel periodo di forte accelerazione nell’aumento della statura, il giovane può avere delle difficoltà nella coordinazione dei movimenti in considerazione del fatto che le sue dimensioni corporee cambiano velocemente. Può succedere che si presentino delle difficoltà a svolgere delle attività che prima non si avevano e ciò colpisce maggiormente i ragazzi, visto che l’aumento delle dimensioni corporee è maggiore rispetto alle ragazze. Nei maschi la pubertà inizia con l’aumento del volume testicolare, mentre nelle ragazze con il manifestarsi del menarca e con la crescita del seno. La fase successiva dello sviluppo è caratterizzato dalla comparsa dei peli pubici.
Sia per i ragazzi che per le ragazze la massa corporea aumenta parallelamente alla crescita in altezza prima della pubertà e per i ragazzi questo aumento continua anche durante la pubertà. In questo periodo le ragazze producono degli ormoni (estrogeni) che provocano un aumento di adipe e un conseguente aumento del peso corporeo che risulta così maggiore in proporzione dell’altezza. Dopo la pubertà, infatti, le ragazze hanno circa il doppio di tessuto adiposo rispetto ai maschi.
L’infanzia e l’adolescenza sono periodi fondamentali per la formazione dello scheletro, sono le fasi in cui le ossa crescono di più sia in dimensione che in resistenza e, normalmente, lo scheletro rispetto alla crescita staturale, non raggiunge la sua piena maturazione prima dei venti anni. Il bagaglio genetico influisce per il 60-80% sulle potenziali dimensioni e sulla forza del nostro scheletro, ma lo stile di vita ha un impatto cruciale, e può determinare una differenza significativa di massa ossea tra una persona e l’altra. Nei bambini i periodi più importanti per la crescita ossea vanno dalla nascita fino ai due anni, poi attorno alla pubertà, al momento dello sviluppo sessuale.
Subito dopo la nascita e durante la prima infanzia, circa il 20% della massa corporea è costituita da muscoli. La massa muscolare, man mano che il bambino cresce, continua ad aumentare in maniera identica sia per i maschi che per le femmine fino alla pubertà. Durante la pubertà difatti, l’aumento di massa muscolare è maggiore nei maschi a causa della produzione di testosterone. Dopo il raggiungimento della maturazione sessuale, nei ragazzi la massa muscolare continua a crescere fino a raggiungere circa il 40% della massa corporea in età adulta. Nelle femmine la massa dei muscoli raggiunta si stabilizza nella fase puberale.
Prima della pubertà il massimo consumo di ossigeno aumenta parallelamente all’età in maniera simile tra ragazzi e ragazze. Nel periodo puberale nei ragazzi questo valore aumenta in maniera significativa, a causa dell’aumento di emoglobina, una proteina specifica che trasporta l’ossigeno nel sangue.
La prestazione anaerobica invece, indipendentemente dal sesso, è strettamente legata alla massa muscolare e sia la potenza che la capacità anaerobica aumentano progressivamente durante il periodo di maturazione fino a raggiungere i livelli di un adulto solo dopo l’adolescenza.

Lo sviluppo della velocità di corsa passa attraverso due fasi di crescita:

• la prima è legata alla maturazione del sistema nervoso e ad una maggiore coordinazione degli arti inferiori e superiori e ciò si verifica intorno agli 8 anni in entrambi i sessi;
   
• la seconda fase si verifica intorno ai 12 anni per le ragazze e tra i 12 e i 15 anni per i ragazzi.


Per quanto riguarda lo sviluppo della forza muscolare, sia nei ragazzi e sia nelle ragazze il suo sviluppo è identico fino al periodo puberale. A partire dai 6-7 anni, i ragazzi sviluppano una forza maggiore nella parte superiore del corpo. Questo perché, tra gli altri motivi, i maschi svolgono più attività che coinvolgono la parte superiore del corpo rispetto alle femmine.
Inoltre, bisogna sapere che nel bambino la capacità di coordinare i movimenti dipende da una combinazione di elementi: lo stadio di maturazione, l’allenamento, i fattori genetici ed ambientali. La maggior parte dei bambini al di sotto dei dieci anni non è in grado di eseguire movimenti complessi poiché il loro sistema nervoso non è ancora sviluppato completamente.
Da quanto si evince, risulta essenziale conoscere lo stadio di sviluppo fisico-psicologico per coloro che si apprestano ad allenare giovani in questa delicata fase di crescita ed organizzare i vari allenamenti in un ambiente che sia divertente ma costruttivo, dedicandosi in maniera specifica al corretto sviluppo del giovane atleta. Molto spesso però il bambino viene trattato come un “adulto in miniatura”, andando a compromettere sia dal punto di vista fisico che psicologico, quelle che sono le varie e graduali fasi di crescita del bambino stesso.

REFERENZE:

SITOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

PREPARAZIONE FISICO-ATLETICA DEL CALCIATORE (ALLENAMENTO AEROBICO E ANAEROBICO NEL CALCIO), di JENS BANGSBO, EDITORI CALZETTI MARIUCCI.

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