EMS ED OSTEOPENIA




L’osteopenia:




L’osteopenia è una condizione sistemica dello scheletro che comporta una riduzione dei valori di densità minerale ossea, ma non abbastanza grave da essere chiamata osteoporosi.

La densità minerale ossea (BMD) è una misura della quantità di minerali contenuti in 1cm cubo di osso; essa è un indicatore della resistenza alle fratture ossee.

Le cause di questa condizione sono diverse tra cui:
Ø  Età avanzata
Ø  Predisposizione genetica
Ø  Fumo di sigaretta
Ø  Abuso di alcool
Ø  Calo di estrogeni (nella donna) o di testosterone (nell’ uomo)
Ø  Disturbi alimentari
Ø  Scarso esercizio fisico

Osteopenia e EMS




Alcuni studi dimostrano che l’ elettromiostimolazione (EMS) è uno strumento efficace nell’aumento della forza e della massa muscolare. Grazie all’interazione tra muscoli ed ossa si è ipotizzato che questi adattamenti e miglioramenti della forza potrebbero essere correlati a cambiamenti nei parametri ossei. In questo modo l’esercizio fisico aiuta quindi a mantenere la massa ossea influenzandone la densità minerale.

L’allenamento con EMS può aumentare gli effetti dell’ esercizio fisico sul sistema muscolo-scheletrico e quindi potrebbe essere una valida alternativa all’allenamento anche per soggetti che non hanno tempo di effettuare allenamenti convenzionali più lunghi o per soggetti con particolari impedimenti fisici e di salute che non potrebbero svolgere allenamenti classici.

Sebbene la tecnologia EMS si concentri principalmente sul muscolo, attivandone la contrazione, ci sono alcune prove che dimostrano che questa modalità di stimolazione influenzi anche le ossa.

In uno studio (Whole-body electromyostimulation to fight osteopenia in elderly females: the randomized controller training and electrostimulation : S. Stengel, M. Bebenek, K. Engelke e W. Kemmlee) sono state analizzate 76 donne anziane con osteopenia. Queste donne sono state divise in due gruppi:

1.        WB-EMS : eseguiva l’ esercizio fisico con l’ausilio dell’ elettromiostimolazione per 3 sessioni di allenamento ogni 14 giorni per 1 anno.

2.       CG : svolgeva li stessi esercizi, ma senza l’ elettromiostimolazione.

Lo studio analizza:

1)      LS=  la densità minerale ossea alla colonna lombare.

2)      ROI= la densità minerale ossea all’anca.

3)      La massa corporea.

4)      La forza di presa.



WB-EMS ha eseguito sessioni di allenamento di 18-19 minuti con corrente bipolare a frequenza 85 Hz, larghezza di impulso 350 µsec, utilizzando la tecnologia WB-EMS di miha bodytec.
L’elettromiostimolazione attivava simultaneamente 8 gruppi muscolari:


Ø  Quadricipite

Ø  Bicipite femorale

Ø  Addome

Ø  Pettorali

Ø  Lombari

Ø  Dorsali

Ø  Paravertebrali

Ø  Glutei



Gli esercizi previsti erano movimenti dinamici con 6 sec  di impulso, intervallati da 4 sec di riposo statico senza impulso. I movimenti erano facili e non eccessivamente faticosi (es. squat con flessione del tronco, squat con crunch etc. ).

Ogni sessione prevedeva 10-14 sec di esercizi strutturati in 1-2 serie di 8 ripetizioni.

I risultati dello studio hanno dimostrato che la densità minerale ossea alla colonna lombare e la massa magra sono aumentate nel gruppo WB-EMS mentre erano diminuite nel gruppo di controllo (CG).

 

La forza di presa era aumentata in entrambi i gruppi, ma nel gruppo WB-EMS in maniera più significativa.

Diversi studi dimostrano inoltre che un periodo di allenamento più lungo porta a risultati migliori, nello specifico è stato dimostrato che sono necessari 6-12 mesi di allenamento per ottenere un adattamento osseo .



In conclusione questo studio ha dimostrato che l’allenamento con EMS porta a cambiamenti nella densità minerale ossea oltre che a miglioramenti sulla massa e sulla forza muscolare, rendendo questa tipologia di allenamento un’ottima opzione per la prevenzione e il recupero sia muscolare che di densità minerale ossea anche in soggetti anziani o che non sono in grado di svolgere attività fisica convenzionale.



Dott.ssa Melania Leone

LESIONE DEL LCA: RIATLETIZZAZIONE E RECUPERO CON EMS



Il legamento crociato anteriore (LCA) rappresenta una delle strutture più importanti per la stabilità del ginocchio.

La sua funzione  è quella di evitare il movimento di traslazione anteriore della tibia sul femore.

Insieme al legamento crociato posteriore va a formare il cosiddetto “pivot centrale” (centro di rotazione) del ginocchio, struttura fondamentale nel garantire la stabilità dell’articolazione.

Il LCA è fortemente sollecitato durante l’attività sportiva e la sua rottura rappresenta uno degli eventi traumatici più frequenti negli atleti, e non solo.

A seconda del tipo di lesione e delle caratteristiche del paziente possono essere attuate due diverse terapie: conservativa o chirurgica.

Durante la fase post operatoria (in caso di intervento chirurgico) o immediatamente dopo il trauma, il paziente/cliente, che si trova in una fase di dolore acuto, segue un trattamento fisioterapico la cui durata dipende dal singolo caso.

Terminata la fase acuta il paziente è pronto a cominciare un programma di rinforzo muscolare e riatletizzazione.



Dopo una lesione del legamento crociato anteriore gli obiettivi sono: recupero del trofismo muscolare, recupero del completo range of motion e della propriocezione.



L’ allenamento con l’EMS rappresenta un metodo molto efficace per raggiungere tali obiettivi, vediamo perché…



Una lesione del LCA  porta ad una diminuzione dell’utilizzo del ginocchio durante gli sforzi e alla diminuzione o all’arresto dell’attività sportiva da parte del paziente/cliente.

Tutto questo causa una perdita del tono muscolare dell’arto colpito, in particolare del muscolo quadricipite (ipotrofia quadricipitale). E’ importante quindi ,durante la fase di recupero funzionale, andare ad eseguire dei piani di allenamento che abbiano come obiettivo primario quello di rinforzare e tonificare il quadricipite femorale.



Perché scegliere un allenamento con EMS rispetto ad un allenamento convenzionale?

- Durante un allenamento con EMS gli impulsi elettrici raggiungono tutti i muscoli del corpo anche quelli più profondi e più difficili da attivare normalmente. Le contrazioni muscolari risultano quindi più intense rispetto a quelle che avvengono durante un allenamento convenzionale.

- L’allenamento con EMS non prevede l’utilizzo di sovraccarichi eccessivi che potrebbero andare a caricare eccessivamente l’articolazione del ginocchio, lesionando ulteriormente il LCA ed aumentando le problematiche relative a tale infortunio

- Grazie all’utilizzo di fasce ed elettrodi posti sui vari muscoli è possibile variare l’intensità dello stimolo, andando a lavorare in modo mirato su un muscolo particolarmente debole rispetto agli altri (in questo caso il quadricipite).



L’allenamento propriocettivo è basato sulla stimolazione del sistema neuro-motorio nella sua totalità.

Prevede una serie di esercizi  che vanno a creare delle situazioni di instabilità, allo scopo di valutare e migliorare l’utilizzazione dei segnali propriocettivi provenienti dalle zone periferiche del corpo in particolare dagli arti inferiori.

L’obiettivo primario di questo tipo di allenamento è quello di rieducare i riflessi propriocettivi al fine di ottenere nuovamente un ottimale controllo della postura e delle articolazioni interessate (in questo caso articolazione del ginocchio).

L’allenamento propriocettivo, svolto con l’ausilio dell’elettrostimolazione, crea un’intensificazione degli stimoli elettrici. Questa azione combinata ad esercizi mirati porta ad un ulteriore aumento della tensione, producendo risultati altamente efficaci.  

Grazie all’allenamento con l’EMS il paziente riesce a raggiungere in meno tempo gli obiettivi prefissati.



Uno studio scientifico, pubblicato sul  Journal of Electromyography and Kinesiology, dimostra l’effetto della stimolazione muscolare elettrica per prevenire atrofia e debolezza muscolare nei pazienti durante la fase di riabilitazione, dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore.

 
Venti pazienti con lesione del LCA sono state divise in due gruppi a caso.
1) Il gruppo di controllo (gruppo CON) ha partecipato solo al solito programma di riabilitazione senza  l’ausilio dell’EMS.
2) Il gruppo di stimolazione muscolare elettrica (gruppo EMS) ha eseguito il programma di riabilitazione con EMS dal secondo giorno post-operatorio fino a 4 settimane dopo l'intervento chirurgico.
 
Risultati:
- Lo spessore muscolare del vasto laterale e del quadricipite femorale è aumentato significativamente quattro settimane dopo l'intervento chirurgico nel gruppo EMS, mentre è diminuito significativamente nel gruppo CON.
- La riduzione della forza di contrazione dei muscoli del ginocchio è significativamente inferiore nel gruppo EMS rispetto al gruppo CON a quattro settimane  dall'intervento. 
- Il gruppo EMS ha mostrato un maggiore recupero dell'estensione del ginocchio a tre mesi  dall'intervento chirurgico.
 
Conclusioni
L'EMS, attuato durante la fase iniziale di riabilitazione e nella fase post riabilitativa, è efficace nel mantenere ed aumentare lo spessore muscolare nonché la forza dell'arto operato.







Dott.ssa Michela Zicchieri

L'ALLENAMENTO CON EMS COME RISPOSTA ALLA SEDENTARIETA'







La sedentarietà è una condizione che sfavorisce il mantenimento di uno stile di vita salutare.

Il fenomeno è sempre più in crescita negli ultimi anni e tra le cause ci sono attività lavorative che richiedono di mantenere per molto tempo una posizione statica, il poco tempo a disposizione per praticare sport, la mancanza di motivazione.

Una soluzione ci viene data dall’EMS training, ovvero una pratica sportiva con l’ausilio dell’elettrostimolazione muscolare, che utilizzata sessioni a durata decisamente breve e permette di ottenere ottimi risultati sulla forma fisica generale.

Degli studi hanno analizzato alcuni soggetti sedentari ed in salute, allenati per un periodo di 6 settimane con metodo principalmente cardiovascolare, con elettrodi applicati agli arti inferiori.

Utilizzando macchinari come tapis roulant e cyclette e sfruttando le contrazioni ritmiche dell’EMS sui grandi gruppi muscolari inferiori, si sono osservati i seguenti risultati: 



·         Un incremento del flusso ematico in quei distretti e un conseguente aumento della circolazione sanguigna in tutto il corpo

·         Un aumento della forza e della massa muscolare

·         Una diminuzione della massa grassa

·         Una maggiore capacità aerobica V̇o2 

·         Un progressivo aumento della resistenza



Lo studio dimostra che questo metodo di allenamento comporta sensibili miglioramenti nella forma fisica in generale, e apre aspettative ancor più grandi verso nuove applicazioni cliniche e sportive dell’EMS per il prossimo futuro.












Dott. Daniele Mazzoni



LOMBALGIA ED ELETTROSTIMOLAZIONE: UN BINOMIO POSITIVO




La lombalgia o il più volgare “mal di schiena” è una delle problematiche più ricorrenti nella popolazione odierna. Posture scorrette , stile di vita frenetico, ore di sonno ridotte al minimo  e problematiche articolari dirette, possono essere delle cause effettive per un mal di schiena.

Come si presenta il mal di schiena?

Possiamo avere un dolore a fascia che si ripercuote al risveglio la mattina e poi scema durante la giornata, un dolore sempre a fascia fisso durante i normali movimenti quotidiani o un dolore fisso come un chiodo in una zona specifica tra zona lombare e bacino.

 Dove interviene l’elettrostimolazione?

Con degli esercizi in scarico , non in torsione e mai andando oltre il range di movimento consentito, grazie allo stimolo elettrico, si vengono ad attivare quante più fibre muscolari dei muscoli profondi della schiena , per permettere loro di  stabilizzare la struttura e sorreggerla al meglio.

Si lavora sul quadrato dei lombi, sul multifido, core addominale e psoas.

L’intensità non sarà alta in quanto una contrattura degli stessi provocherebbe uno squilibrio a livello delle faccette articolari delle vertebre lombari dato il loro percorso tra origine e inserzione (vedi muscolo psoas e q.dei lombi).

Degli studi condotti dall’azienda Miha Bodytech ha riscontrato che:

  • L’88% dei soggetti è stato in grado di ridurre significativamente il dolore alla schiena. La frequenza e la durata del dolore si era ridotta circa dell’80%.
  • Oltre il 40% dei partecipanti lamentava dolori costanti alla schiena all’inizio dello studio. Dopo 6 settimane di allenamento era solo il 9%.
  • Il dolore è scomparso completamente nel 44% dei pazienti affetti da dolori cronici.
  • La durata dei tipici dolori di schiena nella vita quotidiana (sollevare carichi pesanti, camminare, chinarsi, sforzi fisici pesanti, sport, guidare o stare seduti per tempi prolungati) si è ridotta fino al 30%.

Ovviamente l’elettrostimolazione è solo un coadiuvante ed uno dei metodi per la risoluzione alle Lombalgie e non l’unica strada.
Si consiglia sempre un consiglio medico ed una visita specialistica da un Fisioterapista , Osteopata, Chiropratico, durante il percorso di recupero del mal di schiena.

Il corpo umano è talmente bello quanto complesso, proprio per questo bisogna rispettarlo e cercare sempre la miglior strada per il suo benessere, mantenerlo in equilibrio ed in movimento rispettando i suoi limiti, aiuta sicuramente lo stile di vita.

“ Il movimento è vita”  [A.T. STILL]

Dott. Alessandro Naspini

NUTRIZIONE SPORTIVA ADATTATA PER ATLETI VEGETARIANI E VEGANI





Esiste una forte relazione tra alimenti/bevande assunte e performance atletica. Affinché l’allenamento e la gara siano supportate massimamente, si è obbligati a programmare minuziosamente anche il piano alimentare dell’atleta, oltre a quello dell’allenamento, con il fine di soddisfare l’elevato fabbisogno calorico giornaliero necessario per il mantenimento delle funzioni vitali, per il ripristino delle riserve energetiche, per il recupero muscolare e per i processi di termoregolazione.
Erroneamente, negli ultimi anni, sono state pubblicizzate diete iperproteiche a basso contenuto di carboidrati con l’ipotesi che potessero essere funzionali alla pratica sportiva e non supportate dal alcun dato scientifico. L’unica certezza che si ha, sulle alimentazioni precedentemente, citate è che aumentano il rischio di cardiopatie ed aterosclerosi.

Dunque, partendo dal presupposto che la dieta di un atleta deve essere costituita prevalentemente da carboidrati, soprattutto complessi, carburante per eccellenza, e secondariamente da proteine, necessarie per il rinnovo e l’accrescimento muscolare (funzione plastica), una dieta priva di carne e pesce non dovrebbe essere controindicata ad un professionista sportivo.
Vista in questo modo, le alimentazioni vegetariane, fornendo grandi quantità di carboidrati, sono compatibili con l’attività fisica e si presume che siano addirittura consigliabili per gli atleti di endurance, date le grandi quantità di sostanze antiossidanti assunte con questi iter alimentari, al fine di contrastare il surplus di radicali liberi legato all’ aumentato stress ossidativo prodotto durante l’esercizio fisico.
L’Accademy of Nutrition and Dietetics afferma quanto appena detto, infatti i piani alimentari vegani e vegetariani, se ben pianificati, rispondono adeguatamente alle richieste nutrizionali correlate alla pratica sportiva e si ipotizza che forniscano il giusto apporto proteico escludendo così la supplementazione esterna dei suddetti macronutrienti mediante gli integratori alimentari.
Si pensa anche che tra le due diete basate sui vegetali, quella vegana sia addirittura migliore di quella vegetariana, in quanto fornisce il giusto apporto di proteine senza aumentare i grassi animali. In tal modo i Vegan salvaguardano la propria salute permettendo all’ atleta di poter praticare l’attività senza ulteriori impedimenti.
A confermare quanto appena detto basti pensare che la dieta vegana esiste già dai tempi dell’Antica Grecia e dell’Antica Roma. È risaputo che gli atleti di Olimpia, i lottatori spartani ma anche i legionari romani erano rigorosamente vegani.
In base agli studi effettuati in passato, non è stato possibile affermare che ci sia un miglioramento prestativo conseguente ad una scelta alimentare di tipo vegetariano, ma invece si è certi che questa non peggiori il risultato sportivo. Cotes negli anni ’70 studiò i parametri di ipertrofia e funzionalità cardiorespiratorie di donne vegetariane e di quelle onnivore, evidenziando l’assenza di differenze tra i dati ottenuti fra le due categorie. Altri studi hanno evidenziato che questi tipi di alimentazione non aumentano e non riducono la resistenza aerobica, in virtù del fatto che la concentrazione di glicogeno muscolare, la forza isometrica e la resistenza aerobica all’esaurimento restano invariate. Inoltre non produce nessun effetto neanche sulla resistenza cardiorespiratoria.
Al fine di beneficiare pienamente degli effetti positivi dei piani alimentari vegetariani, vi è la necessita che questi siano opportunamente pianificati, specialmente quando il soggetto vegetariano è anche un atleta di alto livello. La pratica sportiva aumenta notevolmente il fabbisogno giornaliero, difficilmente raggiungibile con una dieta basata sul consumo di alimenti ipocalorici e ad alto contenuto di fibre, responsabili di una maggiore senso sazietà. Dunque è consigliato: 
  1. aumentare l’assunzione di carboidrati complessi e legumi;
  2. evitare, per aumentare l’apporto calorico, di introdurre eccessive dosi di dolci, integratori alimentari e merendine confezionate, poiché tutti molto calorici ma carenti da dal punto di vista nutrizionale per la mancanza di vitamine e minerali;
  3. elevare il consumo di frutta secca e di semi;
  4. non sovraccaricare il corpo con pasti abbondati, che richiedono tempi di digestione molto lunghi con conseguente senso di disagio in grado di compromettere l’allenamento e la prestazione in gara. Perciò preferire un numero maggiore di pasti attraverso gli spuntini.






Eventuali rischi, compromissioni e carenze della performance

MASSA MUSCOLARE-PROTEINE

Come già precedentemente annunciato, teoricamente è possibile sostituire le proteine animali con quelle vegetali assumendo in pasti vicini, o nell’intero arco della giornata, legumi e cereali. Ma il problema nasce con gli sportivi che hanno come obiettivo l’aumento della massa muscolare, come ad esempio i bodybuilder o i lottatori, in quanto si crede che sia necessaria l’assunzione di proteine animali.
La carenza di proteine, negli sportivi vegetariani, è molto poco frequente, in quanto conseguendo un’alimentazione bene bilanciata, con un aumentato introito di proteine proporzionale all’ incremento di dispendio energetico, sarà difficile incappare in una mancanza di amminoacidi e proteine. Ma c’è sempre l’eccezione che conferma la regola; infatti se associamo ad una quota ridotta di proteine assunte ad un elevato fabbisogno energetico ecco qui che come risultato otteniamo una carenza proteica. A questo si aggiunge un vantaggio per gli sport in cui il fattore “peso”, inteso come ridotta massa grassa in favore di quella magra, è essenziale, per il perseguimento di una performance eccellente. Questi atleti in maniera errata riducono al minimo la dieta giornaliera, a discapito del risultato sportivo poiché il loro fabbisogno proteico è aumentato con l’obiettivo evitare fenomeni catabolici in favore di quelli anabolici.
Per i vegani esistono accorgimenti differenti. A questa categoria è consigliato un elevato consumo di cereali, nonché quelli contenenti una maggiore quota dell’amminoacido essenziale lisina (si presume che aumenti l’anabolismo muscolare), oltre che quello di legumi e derivati.
È obbligatorio sottolineare che esistono una quantità smodata di atleti vegani e vegetariani, anche di livello internazionale, soprattutto praticanti attività di endurance, che hanno conseguito prestazioni ottimali nonostante il loro regime alimentare. Allo stesso modo esistono atleti Vegan e vegetariani praticanti sport di forza, in cui sono richieste grandi masse muscolari, di cui non si può dare la certezza sulla completa efficienza di queste determinate diete, a causa di una diffusione, tra questi sportivi, dell’utilizzo di sostante anabolizzanti associate ad integratori proteici.


INTEGRATORI NUTRIZIONALI E SOSTANZE ERGOGENICHE

Esiste una differenza sostanziale tra integratori dietetici e sostanze ergogeniche. Le prime sono sostanze vendute con lo scopo di sopperire possibili carenze nutrizionali e con funzione energizzante; le seconde, invece, fanno sempre parte della classe degli integratori ma che hanno come obiettivo il miglioramento e/o l’aumento della durata della performance, ovviamente non ritenute sostanze dopanti (le sostanze ergogeniche incrementano l’assunzione di nutrienti, mentre le sostanze dopanti sono ritenute tali per la loro peculiarità di mutare in positivo le capacità sportive del soggetto compromettendo gravemente la sua salute).
In ambito sportivo vi è un abuso di queste sostanze, in assenza di una reale necessità, a causa della convinzione errata che possano far aumentare i livelli prestativi del soggetto che gli assume. Ma non bisogna dimenticare che sono sostanze non del tutto innocue. A tal proposito si è esposta anche la Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, SSNV, assolutamente contraria all’uso di queste sostanze, che se assunte in quantità smodata comprometterebbero la salute della persona a causa di una incapacità del corpo di difendersi come l’eliminazione sotto forma di scorie. Non si avrebbero gli stessi effetti se ciò avvenisse mediante un elevato introito di alimenti mediante la dieta.
Dunque, in caso di carenze, prima di affidarsi all’uso di integratori nutrizionali è opportuno:
  1. effettuare un’analisi accurata del piano alimentare seguito;
  2. verificare che vi sia una carenza o un rischio di carenza sia a livello di alimenti assunti sia a livello energetico;
Inoltre nessuno studio scientifico ha dimostrato un’effettiva efficacia degli integratori, a differenza degli accertati effetti nocivi ed avversi che potrebbero causare.

Integratori proteici

Gli integratori di proteine, in genere, sono i più utilizzati, soprattutto nelle sale pesi dei centri fitness, per incrementare le masse muscolari.
Sono generalmente prodotti a partire dall’albumina che è possibile ritrovare nell’uovo, dalla caseina proteina del latte ma anche dalle proteine della soglia.
È risaputo che l’attività aumenta il fabbisogno proteico, che spesso l’atleta dilettante riesce a compensare piccole modificazioni all’alimentazione, la quale deve essere ben pianificata e corretta. In genere l’introito proteico da 0,75 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo deve essere aumentato a circa 1,4- 1,7 g per chilogrammo di peso corporeo al die. In alcuni casi, specialmente quando l’atleta in questione è un agonista e per di più praticante sport in cui le masse muscolari hanno un ruolo primario, intake proteico può ulteriormente aumentare fino a raggiungere 2 g di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Un introito così elevato può comunque essere raggiunto mediante una dieta appropriata, ma se, a causa dello stile di vita condotto, il soggetto non riesca con la sola alimentazione a raggiungere la quota proteica necessaria, è opportuno che questo utilizzi i suddetti integratori sotto forma di barrette o proteine in polvere.
Gli integratori proteici sono controindicati nei casi di patologia renale e/o epatica, in gravidanza e in fase adolescenziale (al di sotto dei 14 anni). Inoltre, è opportuno richiedere il parere di un medico quando l’utilizzo di queste sostanze avviene per periodi maggiori alle 6/8 settimane.
Nello specifico possiamo affermare che l’atleta vegetariano, in quanto consuma sia latte sia uova, non ha il bisogno impellente di utilizzare determinate sostanze; ma anche l’atleta Vegan non è costretto all’uso di integratori se aumenta opportunamente, nella sua dieta, la quantità di cereali contenenti proteine con un più alto valore biologico, di legumi e derivati ed inoltre, se necessario, di complementari alimentari come germogli di grano e lievito di birra.



Amminoacidi ramificati (BCAA)

Gli amminoacidi a catena ramificata rientrano tra quelli essenziali non sintetizzabili dal nostro organismo. Questi sono Lisina, Isoleucina e valina che si trovano in maggiore quantità nei cibi di origine animale, ma anche nei legumi e cereali in quantità inferiori.
Il loro uso in ambito sportivo è incoraggiato per la loro capacità di promuovere la sintesi proteica, con effetti anabolizzanti, e di favorire i tempi di recupero post attività. Alla base di questa ipotesi vi sono alcuni studi scientifici, che hanno rilevato un aumento della prestazione dovuto ad un adeguato uso di questi prodotti.
Durante le attività di lunga durata l’amminoacido più usato è la leucina; dall’ossidazione di questi precursori proteici si otterranno delle sostanze agoniste del corpo umano, nonché l’ammoniaca tossica formatasi durante il metabolismo proteico.
Il consumo di alte dosi e per lunghi periodi di BCAA potrebbe causare danni renali; infatti, è sempre più salutare per l’atleta sopperire l’aumentato fabbisogno proteico con un piano alimentare adeguato, dato che gli alimenti contengono ampiamente gli amminoacidi a catena ramificata.
La supplementazione è necessaria solo in alcuni casi:
  • durante la fase di recupero dopo uno sforzo prolungato ed intenso, come quello di una maratona, che abbia indotto l’organismo a degradare le proteine strutturali a scopo energetico; e per cui l’alimentazione da sola non è in grado di reintegrare sufficientemente la quota proteica necessaria. 
NB: quanto appena detto non sta a significare che l’uso di amminoacidi deve sostituire i pasti, bensì è un supplemento che deve essere aggiunto alla dieta. Inoltre l’uso di queste sostanze non è necessario se tra allenamenti, di durata maggiore a 90 minuti, intercorre 1 giorno di recupero.
  • A causa di una carenza estrema con pazienti non sani come soggetti con patologie e sedentari ma anche anziani. Ovviamente l’integrazione ha ragione di esistere fino a quando vi è l’emergenza, dopo è necessario sospendere la somministrazione.
La dose giornaliera non deve superare i 5g, sommando l’introito di Leucina, Isoleucina e Valina con un rapporto rispettivamente di 2:1:1. È consigliato anche assumere vitamina B6, o eventualmente altre vitamine del gruppo B, per favorire il metabolismo delle proteine, dei carboidrati e dei grassi.
In conclusione è possibile affermare che la supplementazione di BCAA con l’obiettivo di migliorare la prestazione non è necessaria, anche quando gli atleti in questione sono vegani o vegetariani, poiché gli amminoacidi essenziali si trovano ampiamente nelle diete vegetariane ma anche in quelle vegetaline, (anche se l’apporto è inferiore) a patto che siano ben bilanciate.

Creatina 

La creatina è una sostanza endogena, prodotta dal metabolismo degli amminoacidi arginina, metionina ed glicina. Si trova esclusivamente nel muscolo come riserva energetica di pronto utilizzo, tanto che è usata ancor prima dei carboidrati. 
Il nostro corpo giornalmente consuma circa 2 g di creatina, quota che viene rimpiazzata con l’ingestione degli alimenti contenenti i suoi precursori, che vengono degradati per sintetizzare endogenamente questa sostanza.
Questa sostanza non è presente in tutti gli alimenti, ma è possibile sintetizzarla solo a partire da quelli di origine animale. Ciò non comporta grossi problemi, essa non è essenziale dato che il nostro corpo riesce a produrla da sé. La sintesi endogena di creatina è regolata da un meccanismo a feedback negativo: tanto maggiore è la quantità di sostanza assunta esogenamente, tanto minore sarà la quota prodotta dal corpo, in quanto quest’ultimo rileva alti livelli di creatina al suo interno. 
Alcuni studi confermano che l’aumento di creatina muscolare favorirebbe la performance muscolare, specialmente se si praticano sport di breve durata ma ad alta intensità (sport prevalentemente anaerobici); mentre quelli aerobici di lunga durata sarebbero sfavoriti da tale incremento a causa di un aumento di peso dell’atleta, imputabile ad una maggiore ritenzione all’acqua dovuta alla creatina.
Oltre che per gli atleti di endurance, l’assunzione di tale sostanza è sconsigliata anche per le donne in gravidanza, per i bambini al di sotto dei 14 anni e per i soggetti con patologie renali.
Gli effetti collaterali legati alla creatina sono più frequenti nei casi in cui l’assunzione avviene per periodi di tempo lunghi e con alte dosi. Il più comune è la sopravvenuta incapacità dell’organismo di produrre creatina endogena, perciò in assenza di assunzione della sostanza il fabbisogno giornaliero di creatina non è soddisfatto. 
L’integrazione di creatina potrebbe rappresentare un primo passo verso il doping.
È noto che i soggetti vegetariani hanno un livello di creatina muscolare inferiore rispetti agli onnivori. Questo potrebbe limitare le potenzialità di un atleta vegetariano che pratichi attività di potenza in cui i parametri di forza e forza esplosiva sono di primaria importanza. È facilmente deducibile, quindi, che questa categoria di atleti necessiti di un’integrazione esogena di creatina sintetica, sotto forma di creatina monoidrato o di creatina etil-estere. La supplementazione è pari a 2,5-3 g al giorno per circa 15 die.

Acido linoleico coniugato

L’ acido linoleico coniugato, CLA, deriva dall’acido grasso essenziale omega-6, contenuto nel latte e latticini ma anche nella carne. Ha azione positiva nella prevenzione dei tumori, malattie cardiovascolari e diabete di secondo tipo. 
È necessario assumere questi grassi essenziali dalla nutrizione a causa di una incapacità del nostro corpo di sintetizzarli autonomamente. L’acido linoleico è presente in natura, in molti vegetali che nascono spontaneamente nei prati. I capi di bestiame, nutrendosi di determinate sostanze, assumono di conseguenza la suddetta sostanza, trasformata in un secondo momento in acido linoleico coniugato durante la digestione.
Assumere CLA sotto forma di integratore potrebbe essere d’aiuto per gli atleti ovo-vegetariani, i quali non consumano latte e derivati, e per gli atleti Vegan che hanno lo scopo di migliorare, per obiettivi atletico-sportivi, la composizione corporea.
Si presume che possa favorire la perdita di peso: blocca gli ormoni catabolici così che vi sia un aumento di massa muscolare, inoltre stimola la lipolisi e lo stoccaggio dei trigliceridi nelle cellule adipose in modo che vi sia una riduzione di massa grassa. Si presume anche che possa migliorare l’attività della carnitina. 
Ovviamente anche con questa sostanza il rischio che si manifestino effetti collaterali non è da sottovalutare, specialmente con un introito di carboidrati ridotto, il quale favorirebbe il catabolismo muscolare.

Carnitina 

Questa sostanza la ritroviamo soprattutto nei cibi di origine animale, in particolar modo nei formaggi e nelle carni rosse, ma non è essenziale in quando il corpo umano è capace di sintetizzarla autonomamente. La sua produzione origina dagli amminoacidi metionina e lisina. Infatti è possibile trovarla nei muscoli scheletrici e in quello cardiaco, ed ha un ruolo primario nel trasporto degli acidi grassi a livello mitocondriale. Proprio per questa proprietà, si pensa che la sua supplementazione comporti un uso maggiore di grassi come substrato energetico così che si abbia un consumo minore di glicogeno muscolare, e di conseguenza si diminuisce il rischio di un calo prestativo negli sport di endurance, dovuto ad un esaurimento delle riserve di glicogeno.
Gli integratori di carnitina sono controindicati al di sotto dei 14 anni e in stato di dolce attesa.





Alimentazioni vegetariane adattate agli sport di resistenza 
Il miglioramento della performance negli sport di endurance è legato a due aspetti fondamentali:
  • miglioramento della capacità di ossigenazione muscolare in attività, correlata all’aumento della funzionalità cardio-respiratoria;
  • efficienza delle reazioni biochimiche di trasformazione dei substrati energetici in energia muscolare.
  In virtù di quanto appena detto le modificazioni funzionali devono avvenire maggiormente a livello degli apparati locomotore (muscolo-scheletrico) e cardiovascolare, ma anche dei sistemi antiossidante e metabolico. La conseguenza di questi adattamenti negli atleti di resistenza si esplica in un incremento della VO2max (massimo consumo d’ossigeno), dell’attività antiossidante in risposta ad un’aumentata produzione di radicali liberi (legata agli sport aerobici), della mobilizzazione degli acidi grassi come fonte energetica.
L’obiettivo a lungo termine degli allenamenti di endurance è quello di aumentare la capacità dell’atleta, per protrarre l’attività per periodi di tempo sempre maggiori riducendo sempre di più il calo prestativo, derivante dalla fatica. Perciò è opportuno pianificare e programmare minuziosamente gli allenamenti, ma ciò non è sufficiente in quanto di fondamentale importanza sono anche la costanza e la motivazione dell’atleta, ed anche una dieta strettamente personalizzata ma anche complementare all’esercizio fisico.
Gli obiettivi nel corso dell’anno di uno sportivo variano in funzione al periodo della stagione in cui si trova; ciò corrisponde anche ad allenamenti con carichi ed intensità differenti che richiedono anche degli adattamenti e modifiche del piano alimentare. 
Per gli sport di resistenza una ridotta massa grassa in favore di quella magra è un prerequisito funzionale alla prestazione. Affinché si ottengano dei miglioramenti, l’atleta deve ottimizzare la qualità degli allenamenti, quindi introdurre il giusto fabbisogno energetico e favorire i processi di recupero per evitare fenomeni di overtraining.
Il risultato sportivo di un atleta praticante attività di resistenza è fortemente influenzato dai livelli di carboidrati e grassi assunti. Questi macronutrienti non solo devono essere introdotti prima dell’allenamento/gara, ma anche durante e soprattutto dopo per ricostruire le scorte di glicogeno muscolare in primis, ed inoltre per favorire il processo di reidratazione, di recupero muscolare e di sintesi proteica delle proteine muscolari lesionate.
Per questa grossa influenza che hanno i carboidrati sulla condizione fisica dell’atleta di endurance, nei periodi di preparazione specifica, in cui il carico di lavoro è intenso oltre che specifico, il fabbisogno di carboidrati può aumentare fino anche ad arrivare al 70% dell’energia totale. 
Da ciò si evince che durante le competizioni, gli atleti devono essere attenti a reintegrare scorte di zuccheri semplici, per evitare una completa deplezione delle scorte di glicogeno muscolare che condurrebbe ad una maggiore sensibilizzazione alla fatica, e quindi ad un calo prestativo. Ma è opportuno tener presente che l’allenamento induce l’organismo a mettere in atto degli adattamenti, i quali:
  • migliorano lo stato delle riserve di glicogeno, perciò uno stesso esercizio, se eseguito da uno sportivo, può aumentare di quasi il doppio i livelli di glicogeno muscolare rispetto ad un soggetto non allenato;
  • ottimizzano il metabolismo dei substrati energetici lipidici e glicidici non solo in attività ma anche al riposo, il che si concretizza in un uso maggiore delle riserve risparmiando le scorte di glicogeno.
Sulla base di ciò che è stato precedentemente esposto, e poiché una peculiarità indiscussa delle alimentazioni di tipo vegetariano è il grosso intake di carboidrati, sarebbe addirittura ipotizzabile un miglioramento prestativo degli atleti vegetariani-vegani, per via della massimizzazione delle riserve di glicogeno indotta da tali diete.
Quanto appena detto non è assolutamente scontato, bisogna fare i conti con i rischi che potrebbero essere causati da determinate diete, soprattutto se non ben bilanciate.
Primo fra tutti il ferro. Una sua carenza sarebbe altamente dannosa in questi sport. Questo è dovuto al fatto che il ferro è associato all’emoglobina, questa è deputata al trasporto di ossigeno nei vari distretti corporei, perciò anche a livello muscolare. Inoltre, gli atleti di endurance sono più esposti a tale rischio a causa dei microtraumi, e delle piccolissime emorragie gastrointestinali indotte dalla pratica di attività, ma soprattutto se sono di lunga durata.
Come già precedentemente esposto, per evitare che si verifichino certi eventi spiacevoli: 
  • bisogna seguire una dieta ben bilanciata e pianificata che garantisca il giusto apporto energetico. Ciò è garantito da un’assunzione importante di cibi vegetali ipercalorici come le patate, la frutta secca ed i cereali in aggiunta delle normali quote di frutta e verdura, nutrienti ricchi di fibre ma ipocalorici;
  • si potrebbe ricorrere all’assunzione di cibi fortificati e integratori di tale micronutriente o di vitamina C;
  • maggiore attenzione deve essere posta dalle giovani atlete vegane e vegetariane, poiché queste diete favoriscono la perdita di massa grassa, che potrebbe scendere al di sotto del 12% (quota necessaria per una buona attività ormonale) e perciò causare amenorrea.
Sono stati condotti vari studi per valutare gli effetti che diete di questo tipo possono avere sulla performance di resistenza. Il Runner Studio ha effettuato test su atleti di mezza maratona, maratoneti ed ultra-maratoneti vegetariani e non, con lo scopo di rilevare gli effetti dell’alimentazione sulla performance di endurance; evidenziando anche che il numero di atleti vegetalini e vegetariani nell’ultima categoria sono in forte aumento. Questo può essere imputato non solo a ragioni etiche ed ambientali, ma anche al successo di Scott Jurek, un ultra-maratoneta vincitore di numerose gare e sostenitore della dieta vegana. Da questo studio si evince che gli sportivi di endurance devono consumare importanti quantità di alimenti vegetali, ma anche di fonti di zinco, ferro, calcio, vitamina D, iodio ed omega-3, che potrebbero risultare carenti nelle diete vegetariane, soprattutto in quelle vegane. Per evitare eventuali carenze, sia atleti vegetariani sia non vegetariani, devono seguire una dieta ottimale pianificata da un professionista, ed essere incoraggiati a soddisfare i fabbisogni nutrizionale con lo scopo di migliorare la qualità della dieta che potrebbe apportare anche dei benefici prestativi.
Un altro studio molto noto è l’High Mileage Study (NURMI). Il suo obiettivo fu quello di comparare le possibili differenze prestative tra atleti vegani, vegetariani ed onnivori. Questo studio sostiene che se la dieta vegetariana è ben pianificata potrebbe addirittura migliorare i parametri che influenzano il risultato sportivo, nonché il recupero, i requisiti nutrizionali e la resistenza alle malattie (dovuta ad un’attività antiossidante migliore). I dati ottenuti dai test eseguiti confermano il fatto che regimi alimentari vegani e vegetariani consentono il raggiungimento di prestazioni atletiche di alto livello;
perciò queste diete sono perfettamente compatibili con gli sport di endurance ed ultra-endurance.
Analizzando quanto è stato detto, è possibile concludere ritenendo idonee le alimentazioni vegetariane per gli sportivi praticanti attività di lunga durata, ma che queste non migliorino i parametri prestativi. 



Alimentazioni vegetariane adattate agli sport di forza

Le attività di forza richiedono sforzi molto intensi ma di breve durata che si ripetono durante le competizioni. Basti pensare a sport come il sollevamento peso, i lanci e le corse di velocità, così come i salti in atletica leggera, la lotta e la ginnastica artistica. Perciò la qualità della prestazione è legata a due peculiarità impellenti:
  • la capacità dell’atleta di recuperare nel minor tempo possibile;
  • la capacità dello sportivo di produrre, anche se per un periodo breve, la sua forza massimale.
Ad ogni macro-ciclo della programmazione annuale, gli obiettivi cambiano, anche in base al periodo della stagione in cui ci si trova, diventando sempre più specifici tanto più ci si avvicina al periodo agonistico.
Questi sport sono stati definiti anche come attività prettamente anaerobiche. Ciò è imputabile al fatto che la pratica di determinati esercizi avviene con un uso prettamente maggiore dei sistemi energetici anaerobici lattacido e alattacido, a causa delle elevate richieste energetiche ed intensità dettate dall’esecuzione delle suddette tecniche sportive.
A differenza degli sport di resistenza, queste attività necessitano obbligatoriamente di un aumento della massa muscolare, al fine di aumentare la sezione trasversa del muscolo, e perciò la possibilità di migliorare i livelli di potenza esprimibili, quindi la performance. Ma il miglioramento prestativo non è legato solo ad un incremento quantitativo di massa muscolare, infatti l’aumento deve avvenire anche in maniera qualitativa, a fronte del fatto che la capacità dominante nella pratica di sport anaerobici è la madre delle capacità condizionali.
Il rapporto tra aumento di massa muscolare e miglioramenti prestativi non è così diretto ed ovvio. Ma per incrementare i livelli prestativi, è necessaria l’acquisizione di un basso rapporto tra peso della massa muscolare e potenza sviluppata dalla stessa.
Raggiungere il peso ideale è un prerequisito essenziale, ma ancor più sostanziale è l’approdo ad una giusta composizione corporea dell’atleta, che è differente in relazione alla fase di allenamento in cui si trova. Nella fase iniziale è fondamentale la riduzione del grasso corporeo, mentre durante la preparazione specifica lo è l’aumento della massa magra-muscolare.
Sulla base di quanto appena detto, si può affermare che non solo cambieranno le peculiarità specifiche dell’allenamento, ma anche la qualità della dieta seguita dall’atleta, in base al periodo della programmazione che si sta affrontando.
Gli studi effettuati sugli effetti delle alimentazioni vegana e vegetariana sulle performance di forza, sono inferiori rispetto a quelli condotti per gli sport di resistenza. Ma comunque anche per queste attività, è valida la regola della diretta proporzionalità esistente tra qualità dell’alimentazione adottata e qualità dei risultati atletici.
Seguendo diete ben pianificate e appropriate alle richieste dettate dagli sport di potenza, si cerca di favorire l’aumento della massa muscolare (ipertrofia muscolare), durante la fase di preparazione, volgarmente definita di “fase di carico”, mentre lo sviluppo della potenza nel periodo di preparazione specifica in competizione. In funzione di quanto detto è deleterio sottolineare la necessità di aumentare, tramite l’alimentazione, l’apporto di proteine, la quale deve oscillare tra 1,4-1,8 g per kg di peso corporeo. Si può accettare fino ad un introito massimo di 2g/kg, ma assunzioni maggiori, oltre a non aver dimostrato nessun miglioramento prestativo, possono essere davvero nocive per lo stato di salute degli atleti.
Tale fabbisogno proteico è ampiamente garantito da diete onnivore, ma anche da quelle latto-ovo-vegetariane. Ciò non esclude quelle vegane, le quali se ben pianificate garantiscono tale intake proteico. Ovviamente adottando delle strategie alimentari, come l’aumento del consumo di alimenti vegetali ricchi di proteine, quali legumi, alcuni cereali (amaranto, grano saraceno, quinoa), soia, frutta secca e semi.
La pianificazione della dieta è strettamente individuale come singolari sono le caratteristiche fisiche di ogni soggetto.  Il fabbisogno energetico, come quello proteico è differente da atleta ad atleta, a seconda del soggetto, della tipologia di fibre costituenti il muscolo e alle esigenze legate all’allenamento.

Sara Tricarico








Bibliografia 

  • Francesca Bicocca-Matteo Vandoni, ALIMENTAZIONE VEGETARIANA E VEGANA PER SPORTIVI salute benessere e performance, Calzetti-Mariucci, 2015
  • Iacopo Bertini-Michelangelo Giampietro, Diete vegetariane, esercizio fisico e salute, Il Pensiero Scientifico Editore, 2006 
  • Pierluigi De Pascalis, A scuola di fitness, Calzetti-Mariucci, 2015
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  • Katharina Wirhltzer et al, Prevalence in running events and running performance of endurance runners following a vegetarian or vegan diet compared to non-vegetarian endurance runners:  the NURMI Study, SpringerPlus
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  • Jannequin Bennett, Very Vegetarian, Thomas Nelson Since 1798

Sitografia 

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