GOAL SETTING PER IL CALCIATORE: COME DEFINIRE GLI OBIETTIVI EFFICACI E PIANIFICARE LA STAGIONE (PARTE 1)







9 componenti fondamentali che devono far parte del tuo obbiettivo

Ti poni obbiettivi specifici?
Pianifichi la tua stagione in base ai risultati che vuoi ottenere?
Ti fermi a valutare i tuoi progressi?

Gli obbiettivi hanno un forte impatto sulla performance.
Sono in grado di stimolare attività, impegno, persistenza e motivazione.
Molti calciatori non si pongono obbiettivi specifici o se li pongono nel modo sbagliato.
La maggior parte degli obbiettivi individuali sono mirati ad un grande risultato finale.
Come guadagnare di più nella stagione successiva, salire di categoria o consolidarsi in un club, senza tenere conto e definire con precisione come raggiungere questi risultati.

Ma è questa la maniera corretta di porsi un obbiettivo?
Forse no.

Focalizzarsi sulla prestazione è molto più efficace nella definizione di un obbiettivo.
Un conto è definire cosa vogliamo ottenere, un altro è come ottenerlo.
Dovremmo definire piccoli risultati intermedi e le azioni da completare per raggiungerli che, sommati, portano al raggiungimento del grande obbiettivo, oltre ad individuare il grande risultato da ottenere.

Obbiettivi di risultato sono importanti per mantenere alte motivazione e concentrazione.
Obbiettivi di prestazione lo sono per rimanere costanti nell’allenamento, per migliorarsi e per monitorare i risultati ottenuti, in quanto sono più a breve termine e sotto il nostro controllo.

La definizione degli obbiettivi ha un’influenza positiva sul miglioramento delle abilità e della fiducia in sé stessi e permette una valutazione precisa delle prestazioni.
Partendo dal presupposto che ci sono molti atleti che riescono ad essere altamente performanti anche ponendosi obbiettivi del tipo “fai-del-tuo-meglio” o senza definirne alcuno, la definizione degli obbiettivi è una strategia che permette a chi vuole migliorare la propria carriera e che non ha mai definito in modo efficace degli obbiettivi, di sperimentare una tecnica che può migliorare e monitorare la propria crescita e le proprie prestazioni.
Il goal setting è una strategia di definizione degli obbiettivi che cerca di delinearne particolari caratteristiche.

In particolare, un obbiettivo deve essere:

1)    Specifico.
La chiarezza è una caratteristica fondamentale di un obbiettivo.
Ti sarà capitato di porti come unico scopo quello di “fare bene”, senza avere un’idea precisa e oggettiva di cosa significhi.
E’ un metro di valutazione troppo generico e soggettivo, che può creare solo confusione nella tua testa.
Quindi, sii molto specifico.
Esempi di obbiettivi specifici sono: fare dieci gol, recuperare cinque palloni, giocare venti partite.

2)    Stimolante.
Un obbiettivo deve creare entusiasmo ed emozionarti.
Ogni volta che pensi al tuo obbiettivo devi essere spinto da una forza interiore che ti sprona a fare più di quello che hai fatto fino a quel momento, ad allenarti di più e a fare sempre meglio.
Tutto ciò che fai, lo fai meglio se sei spinto dalle emozioni, e non solo dalla tua mente razionale.

3)    Positivo.
Il tuo obbiettivo deve essere formulato in termini positivi.
Deve essere orientato a “fare” e non ad evitare qualcosa.
La nostra mente non riconosce la negazione: a cosa pensi se ti chiedessi di non pensare ad un elefantino rosa?
Ecco.
Focalizzarsi su cosa non vuoi raggiungere ti porterà inconsciamente a pensare a ciò che vuoi evitare, invece che concentrarti su cosa vuoi raggiungere.

4)    Deve avere una scadenza precisa.
Non darti una scadenza esatta ti può portare a non raggiungere il tuo obbiettivo per molto tempo.
Così facendo, continuerai a comportarti sempre allo stesso modo, senza modificare il tuo percorso verso il risultato che desideri.
Dare una scadenza precisa all’obbiettivo serve a mantenere alta la motivazione nel percorso per raggiungerlo.
Crea una pressione positiva che ti spinge a non procrastinare e a fare del tuo meglio nel momento presente.
Inoltre, una volta raggiunta la scadenza, in caso di raggiungimento di un risultato indesiderato, ti permette di valutare il lavoro fatto, riproporti subito nuovi obbiettivi e correggere azioni e comportamenti che non ti hanno portato al risultato sperato.
Quindi: stabilisci giorno, mese e anno di scadenza del tuo obbiettivo.

5)    Difficile.
Porti obbiettivi di facile raggiungimento risulterà inutile e poco stimolante.
Obbiettivi di facile riuscita provocano perdita di entusiasmo e motivazione, in quanto non stimolano a sforzarti.
Sai che il risultato da ottenere è alla tua portata con il minimo sforzo.
Obbiettivi sfidanti, invece, hanno un maggior effetto stimolante e per raggiungerli sei costretto a dare il meglio di te e superare i tuoi limiti.

6)    Raggiungibile.
Allo stesso modo, un obbiettivo troppo difficile ti può portare all’esaurimento di energie mentali e fisiche, con conseguenti possibili stati di depressione e perdita di motivazioni.
Quando ti rendi conto che l’obbiettivo è troppo complicato, tiri i remi in barca e tendi a ridurre gli sforzi fatti fino a quel momento.
E’ meglio procedere per step e porsi obbiettivi raggiungibili.
Una volta raggiunti, alza l’asticella.
Punta in alto, ma non troppo.

7)    Misurabile.
L’obbiettivo deve poter essere misurato e monitorato nel tempo.
A questo scopo è molto utile la scomposizione dell’obbiettivo in sotto-obbiettivi a breve termine, che, ad esempio, possono avere scadenza semestrale, trimestrale, mensile, settimanale o quotidiana.
Il raggiungimento di sotto-obbiettivi permette di mantenerti concentrato nel lavoro, avere alte motivazioni e monitorare il tuo percorso.
Inoltre un obbiettivo è misurabile in presenza di feedback, che permettono di valutare il percorso verso il risultato desiderato.
Pianifica step periodici in cui valuti il raggiungimento di sotto-obbiettivi e portare eventuali modifiche al lavoro che stai facendo.

8)    In linea con gli obbiettivi di squadra.
Fai parte di un gruppo e i tuoi risultati dipendono molto anche dalle prestazioni della squadra.
Per questo motivo, il tuo obbiettivo deve essere coerente con gli obbiettivi e le possibilità della squadra in cui giochi.
E’ molto difficile avere l’obbiettivo di segnare 20 gol in una squadra che ne segna al massimo 30 in una stagione.
O fare 10 cross a partita in una squadra che non ha attaccanti bravi nel gioco aereo, ha un gioco che non sfrutta le fasce e predilige le incursioni centrali.
Il tuo obbiettivo deve portare grandi benefici individuali e alla squadra.

9)    Condiviso con l’allenatore.
E’ importante che l’allenatore sia a conoscenza dei tuoi obbiettivi personali e che li condivida.
L’allenatore conosce la condizione in cui ti trovi e ha le competenze tecniche per giudicare se l’obbiettivo che ti sei posto è adatto alle tue qualità e alla situazione che vivrai in quella stagione.
Inoltre, apprezzerà il fatto che tu condivida con lui i tuoi desideri, avrà una maggiore propensione a fornirti feedback utili e può aiutarti nel lavoro che andrai a svolgere per raggiungere il tuo obbiettivo.
A qualsiasi allenatore piace avere giocatori determinati e vogliosi di migliorarsi.
A inizio stagione parla col tuo allenatore e condividi con lui il tuo obbiettivo.
Ecco un esempio di definizione di un obbiettivo efficace:
“Fare 20 presenze da titolare in questa stagione”

Analizziamone le caratteristiche:
E’ specifico, perché non è generico, ma indica precisamente il numero di presenze che vogliamo fare e che queste devono essere da titolare.
E’ stimolante, perché genera entusiasmo in quanto sai che, una volta giocate le 20 presenze da titolare, sarai soddisfatto di te stesso e avrai raggiunto un gran risultato.
E’ positivo, perché è orientato a raggiungere un risultato e non a evitare qualcosa.
E’ difficile, se l’anno precedente non hai raggiunto questa meta, ma ad esempio hai giocato tante partite di cui solo una parte da titolare o non hai fatto 20 presenze da titolare.
Oppure, se hai raggiunto questo risultato anche in precedenza e il fatto di ripeterti lo reputi un gran risultato.
E’ raggiungibile se le condizioni in cui ti trovi ti permettono di poter arrivare a giocare 20 presenze da titolare.
Se sei in concorrenza con un giocatore ritenuto molto importante dall’allenatore e a cui difficilmente riuscirai a prendere il posto, sarà molto difficile che tu raggiunga il tuo obbiettivo (ma non impossibile!).
Così come il tuo obiettivo sarà irraggiungibile se sei fuori rosa o ti infortuni e sei costretto a saltare diverse partite.
E’ misurabile perché il percorso intermedio e il raggiungimento del risultato finale sono valutabili periodicamente.
Durante la stagione sei in grado di valutare quante presenze da titolare stai facendo e, ad esempio a fine girone di andata, puoi valutare il tuo percorso ed eventualmente modificare l’obbiettivo.
Se a metà campionato hai giocato solo 5 partite da titolare, sarà difficile riuscire a farne 20.
Meglio correggere il tiro e puntare ad esempio a 15.
Se invece sei arrivato a farne 15, puoi alzare l’asticella e puntare a farne 25.
E’ in linea con gli obiettivi di squadra, perché giocare 20 partite da titolare significa avere un alto rendimento ed essere funzionale alle prestazioni della squadra.
Più giochi titolare più l’allenatore ti reputa utile al raggiungimento degli obiettivi collettivi.
E’ condiviso con l’allenatore se ne hai parlato con lui ad inizio campionato e questo ritiene che sia coerente con le tue qualità e la situazione.

Ecco altri esempi di obiettivi ben definiti:
“Fare 5 gol nelle prossime 10 gare”
“Recuperare 5 palloni a partita”
“Fare 30 presenze in questa stagione”
“Guadagnare più soldi nella prossima stagione”
“Salire di categoria entro due anni da oggi”
“Esordire in nazionale entro 5 anni da oggi”
Gli argomenti qui trattati, sono frutto di esperienze personali, divulgati per amore della scienza nello sport e della condivisione con gli utenti

PSICOLOGIA AMBIENTALE: I DETTAGLI FANNO LA DIFFERENZA





I dettagli fanno la differenza”: al giorno d’oggi, questo modo di dire viene sottovalutato, può essere definito quasi una “frase fatta” che spesso viene decontestualizzata ed utilizzata nelle caption delle belle foto. 

Invece, l’obiettivo di questo articolo sarà proprio dimostrarvi il contrario e ridare giustizia a quest’affermazione in quanto i dettagli, a volte, possono davvero fare la differenza tra un’esperienza memorabile o un brutto ricordo. Questo accade perchè l’ambiente ha su di noi degli effetti potentissimi ed è in grado di influenzare i nostri pensieri, le nostre emozioni, persino i nostri comportamenti. Se, ad esempio, vi è mai capitato di sentirvi stanchi, spossati, col mal di testa e la nausea in un determinato studio o edificio, sappiate che avete sofferto della sindrome dell’edificio malato! Essa è una condizione di malessere fisico e psicologico caratterizzata da uno stato di stanchezza generale, causato da una serie di fattori presenti negli spazi fisici nei quali trascorriamo la maggior parte del nostro tempo che inconsapevolmente incidono sul nostro benessere.

Ma, partiamo dall’inizio. La psicologia ambientale nacque, in Italia, all’incirca negli anni Sessanta del Novecento (Bonaiuto, 2017). Questa branca della psicologia viene definita “ambientale” in quanto esamina le relazioni tra le persone ed il loro ambiente fisico, fin nei minimi dettagli.
Per spiegare i punti salienti della disciplina utilizzerò una classificazione creata dal Dtt. Luca Mazzucchelli e dal suo team di esperti psicologi nel settore: un elenco di macro-aree semplici e chiare che comprendono tutte le sfumature applicabili alla propria postazione studio o alla propria attività lavorativa.
Esse sono:
    Architettura e struttura del locale
    Design
    Affordance (funzionalità dell’oggetto)
    Posizionamento dei prodotti
    Risorse umane

ARCHITETTURA E STRUTTURA DEL LOCALE
Per combattere la sindrome dell’edificio malato a livello architettonico, lo spazio nel quale studiamo/lavoriamo dovrebbe essere ampio ed avere dei soffitti alti, per evitare la sensazione di soffocamento ed oppressione; inoltre dovrebbe possedere un affaccio esterno, possibilmente verso un parco o una zona verde, così da mantenere il contatto con la natura, permettendo anche l’entrata della luce solare.
Per quanto riguarda, invece, la propria attività commerciale, fondamentale è la posizione dell’edificio e la disponibilità di parcheggio, le dimensioni delle stanze e dei corridoi, ed infine la presenza di un’insegna e/o di una vetrina invitanti. Questo ultimo punto, in particolare, risulta molto importante in quanto si tratta di una sorta di biglietto da visita della propria attività, quindi l’insegna per essere efficace, piacevole ed attraente, dovrebbe essere di medie dimensioni, con parole essenziali e dirette, due tonalità di colori non eccessivamente accese, ed elevata coerenza, cioè minimo contrasto con l’ambiente circostante; la vetrina dovrebbe porre il prodotto al centro dell’attenzione del passante, evitando di soffocarlo o di distrarre da esso lo sguardo con decorazioni ed arredamenti inutili, ma al contrario cercando di farlo risaltare con una luce intensa e di colorazione neutra (Bilotta e Bonaiuto, 2007)

DESIGN
In questa macro-area sono compresi gli arredi, la musica, la profumazione ed i colori: piccoli accorgimenti che, se usati correttamente, possono smorzare gli effetti negativi dell’ambiente ed aiutarvi a
creare una bella atmosfera.
L’ambiente naturalistico ha un potere rigenerativo sulla nostra mente ed è per noi fonte di grande benessere, anche se spesso non ne siamo consapevoli. Per questo motivo è importante ricercare la natura attraverso gli arredamenti: una piantina sulla scrivania o sul comodino, un quadro che ritrae un bel panorama naturale, o giocare con gli elementi, quindi dettagli in legno o superficie lucide che richiamano l’effetto dell’acqua.
Per quanto riguarda la musica, vari studi concordano sul fatto che le persone trascorrano più tempo in un negozio quando il ritmo della musica è lento, il volume basso e se si tratta di un genere a loro familiare e conosciuto. Al contrario, l’esperienza sarà breve e spiacevole!
Se avete la possibilità di aggiungere una profumazione all’ambiente lavorativo o nel vostro negozio, fatelo! L’olfatto è il senso maggiormente connesso alle reazioni emotive; quindi un particolare profumo come ad esempio il geranio, l’eucalipto, la lavanda o il rosmarino (fragranze floreali preferite dalle persone) può influenzare in maniera positiva la valutazione dei prodotti, le intenzioni d’acquisto e la disponibilità ad una spesa maggiore (Bilotta e Bonaiuto, 2007).
Il discorso dei colori è un pò più complesso. All’interno della casa è consigliato utilizzare tonalità rilassanti nella zona notte (giallo, verde e blu stimolano il sonno) e tinte più accese ed attivanti nella zona giorno. Attenzione però a non esagerare, in quanto l’effetto potrebbe risultare sovvertito, provocando stanchezza e spossatezza nel primo caso e senso di oppressione nel secondo.
Per quanto riguarda un’attività lavorativa, il colore si presenta con due dimensioni d’impatto: una più attivante ed una più affettiva, piacevole e riflessiva. Quindi, è consigliabile usare colori attivanti nei reparti del punto vendita in cui si vuole incentivare l’acquisto d’impulso, e colori più tenui nelle zone d’attesa, come le casse o i banconi, dove è solito fare la fila, quindi sono necessarie calma e pazienza (Crowley, 1993). Al contrario, in uno studio medico, saranno presenti quasi esclusivamente tinte fredde e soft per stimolare l’accoglienza e la riflessività.

AFFORDANCE
Vi è mai capitato di provare a spingere una porta, per poi provare a tiare ed infine scoprire che era scorrevole? Oppure di non capire come aprire il rubinetto del bagno o di non riuscire ad azionare il contenitore con la carta per asciugarsi le mani? Ora è il momento di svelarvi un segreto: non era colpa vostra! Probabilmente vi sarete sentiti incapaci, ingenui o confusi, ma sappiate che la causa di tutto era la cattiva affordance degli oggetti presenti.
L’affordance è la funzione per la quale quell’oggetto è stato programmato, strutturato e creato. Ad esempio, tutti sappiamo che una brocca va afferrata per il manico e l’acqua va versata attraverso il beccuccio sull’altro lato. Ogni oggetto ed ogni ambiente possiede la propria affordance! Più questa è alta, più sarà immediato, facile, intuitivo e naturale l’utilizzo di quello spazio o quello strumento; al contrario, più è bassa, maggiormente il cliente si sentirà incapace e confuso nel non saper utilizzare l’oggetto in questione. Se nel nostro locale o studio sono presenti molti elementi con bassa affordance, il cliente vivrà tante piccole esperienze traumatiche che andranno a costruire un brutto ricordo della tua attività. Inoltre, oggetti o spazi con bassa funzionalità possono anche rallentare i vostri collaboratori o il vostro staff! (Bilotta e Bonaiuto, 2007)

POSIZIONAMENTO DEI PRODOTTI
Ovviamente, in un negozio, i prodotti che si vogliono vendere maggiormente vengono posti all’altezza degli occhi, mentre quelli più difficili da far comprare si trovano nei ripiani in basso. Ma questo deve essere adattato al pubblico che si ha, quindi ad esempio le caramelle o i giocattoli vengono sempre posti in basso, all’altezza degli occhi dei bambini, che poi inizieranno ad attuare tutta una serie di capricci per cui spesso i genitori sono infine convinti a comprare loro ciò che desiderano. Questo trucchetto può essere utilizzato anche nella vita privata: nel momento in cui avete bisogno di ricordarvi di qualcosa, scrivete un post-it dai colori sgargianti e ponetelo all’altezza del vostro sguardo, in un punto che siete sicuri guarderete spesso nell’arco della giornata (ad esempio sul frigorifero)!
Anche il percorso che si fa all’interno del supermercato viene studiato con molta attenzione, infatti i beni di prima necessità come ad esempio la farina, il sale, lo zucchero, vengono sparpagliati in angoli remoti e spesso non all’altezza degli occhi ma nei ripiani superiori. Il trucco sta nel fatto che, essendo prodotti di cui abbiamo bisogno, li cercheremmo comunque, e mettendoli in reparti separati, saremo obbligati a percorrere molte corsie prima di trovarli tutti, quindi viene sfruttata la nostra ricerca per farci saltare all’occhio più prodotti possibili invogliandoci a comprarli anche se non ne abbiamo necessità (stesso metodo utilizzato negli autogrill).

RISORSE UMANE
Lo sapevate che impieghiamo circa 6 mesi per dimenticare le cose che ci sono state dette? E si, è questo l’arco di tempo necessario, ma c’è una cosa che riesce a combattere la memoria e rimanere impressa anche per tutta la vita: l’esperienza che si è vissuto. Le esperienze sono quell’elemento capace di dare un valore aggiunto ad un prodotto o un servizio. Tutto quello che è stato descritto nei paragrafi precedenti contribuisce a creare una bellissima esperienza per il cliente, ma rimane un elemento da aggiungere: il fattore umano. Esso è necessario per dare valore alle interazioni dei clienti rendendole il più positive ed indimenticabili possibile.
Due trucchetti per accrescere l’esperienza del cliente sono la coccola e la personalizzazione. Nel primo caso si tratta di un’attenzione esclusiva, inaspettata e gratuita che viene fornita al cliente; deve essere qualcosa di imprevisto, che i clienti non hanno chiesto e che quindi non si aspettano di ricevere. Per esempio un bicchiere d’acqua col caffè, un piccolo aperitivo per rompere l’attesa al ristorante, l’amaro gratuito a fine pasto. La personalizzazione consiste nel modificare il nostro servizio o prodotto sulle caratteristiche di quello specifico cliente. Ad esempio se si lavora in un albergo, ricordarsi se il cliente è già stato nella struttura e magari riproporgli la stanza ampia e luminosa che la scorsa volta aveva gradito tanto. Ciò verrà sicuramente apprezzato, perchè quando veniamo trattati in maniera personalizzata, ci sentiamo riconosciuti, ci sentiamo speciali. Quel ricordo, quello stato d’animo e quella sensazione ci rimarrà poi impresso nella memoria.


I DETTAGLI IN PALESTRA
Oggigiorno, le persone vanno in palestra per i più svariati motivi: tenersi in forma, ottenere il corpo dei propri sogni, perdere qualche chilo di troppo, o semplicemente per scaricare lo stress, conoscere nuove persone, svagarsi. Anche gli orari sono i più svariati: c’è chi va la mattina presto prima di andare a lavoro, chi la sera tardi prima di rientrare a casa, qualcuno nella pausa pranzo o tra una lezione e l’altra dell’università. C’è chi decide di farsi aiutare da un personal trainer, chi è in grado di gestirsi da solo, alcuni si iscrivono a dei corsi. Insomma, tutto questo per dire che una palestra può essere frequentata anche da centinaia di persone completamente diverse, con obiettivi ed esigenze differenti, e sarebbe impossibile accontentare tutti. Ci sono però alcuni punti che potrebbero rendere la loro esperienza all’interno della struttura più soddisfacente.

Prima tra tutti l’illuminazione. Le palestre hanno bisogno di una forte illuminazione così da stimolare l’attività, mantenere alta la concentrazione ed incentivare una buona interazione con gli oggetti e le
persone. Questo è molto importante soprattutto per quelle persone che si svegliano prestissimo per andare ad allenarsi alle prime luci dell’alba o per chi, al termine di una giornata lavorativa, decide di fare qualche esercizio per sfogarsi; sarebbe controproducente posizionare delle luci tenui o soffuse, perchè stimolerebbero la sonnolenza ed accentuerebbero la spossatezza e la stanchezza già percepite dal corpo.

Molto importante però è anche la posizione e la tipologia di illuminazione, mi spiego meglio: molti macchinari ed esercizi a corpo libero, vengono svolti da supini o comunque in semi-distensione, quindi con lo sguardo rivolto al soffitto, e di conseguenza alle luci; essendo un’illuminazione molto forte, essa potrebbe fare male agli occhi e rendere difficile praticare certi esercizi. Il mio consiglio è quello di studiare bene la posizione dei lampadari/neon che si vogliono utilizzare, in modo da non ostacolare gli allenamenti, posizionandoli magari sopra ai macchinari che non richiedono lo sguardo verso l’alto, o sistemandoli lateralmente in modo che non finiscano direttamente negli occhi delle persone.

Non essendo un luogo di rilassamento, per quanto riguarda la musica, è possibile utilizzare delle canzoni di sottofondo con un ritmo più elevato, ma bisogna stare attenti a non tenere il volume troppo alto (deve essere un sottofondo all’allenamento) e sarebbe preferibile scegliere dei pezzi o delle stazioni radio note ai più.

Purtroppo, è noto a tutti che nelle palestre non aleggia un buon odore, e sarebbe anche impossibile ciò, considerato le tante persone che ogni giorno vanno ad allenarsi. Unica soluzione è arieggiare bene e spesso gli spazi. Possedere delle grandi finestre, sarebbe una marcia in più. Esse potrebbero aiutare a cambiare l’aria ed inoltre permetterebbero l’entrata della luce solare, che è sicuramente bene sfruttare, piuttosto che usare costantemente l’illuminazione artificiale. Inoltre, avere un affaccio sul mondo esterno (preferibilmente su aree verdi come parchi e giardini) aiuta la mente a rigenerarsi dopo ore passate in un ufficio.

Fondamentali da considerare sono gli spazi: a nessuno piace allenarsi ad un palmo dalle altre persone, oppure in palestre dove non sono ben definite le zone e quindi si trovano tappetini stesi a terra nei corridoi. Una buona struttura dovrebbe possedere delle stanze apposite per i corsi, una stanza ampia per i vari macchinari, ben posizionati e distanziati l’uno dall’altro, ed un piccolo spazio dove potersi stendere col tappetino per fare addominali o altri esercizi a terra. Inoltre, è consigliabile impegnarsi per tenere la palestra pulita ed ordinata, in quanto le persone devono stendersi a terra (con tappetino) e non è molto piacevole trovare polvere o capelli di altri che girano indisturbati ad un palmo dal proprio viso, oppure andare alla rastrelliera e dover perdere tempo a cercare i pesi non presenti ma sparsi in giro per la stanza.

Infine, parliamo delle pareti. Se si vogliono utilizzare dei colori per rendere più accattivante e gioiosa la propria palestra, il mio consiglio è quello di impiegare tinte attivanti ma senza esagerare. Cioè, magari lasciare alcune pareti bianche ed altre colorarle. È importante questo dettaglio, in quanto se il colore è eccessivamente forte o eccessivamente presente, potrebbe stimolare nell’individuo un senso di oppressione e soffocamento. Personalmente eviterei il rosso, a meno che non si abbiano delle macchinette o un bar che possano fornire del cibo, in quanto il esso è un colore che stimola il metabolismo e quindi è collegato ad una sensazione di fame (basta osservare che il McDonald lo utilizza come colore base).
Concludo l’articolo con un’altra piccola chicca: riempire la palestra di specchi, oltre che permettere alle persone di osservarsi mentre si allenano così da tenere sotto controllo il corretto movimento, contribuisce anche alla percezione della stanza come più ampia e spaziosa.

Ricordatevi sempre che ogni piccolezza, che all’apparenza può sembrare inutile, in realtà è in grado di creare delle sensazioni, emozioni, dei pensieri alle persone. Quindi date sempre importanza ai dettagli, anche quelli più insignificanti, perchè saranno loro a fare la differenza!!


REFERENZE
    Bilotta E. e Bonaiuto M., 2007. Psicologia architettonica e luoghi commerciali: l’impatto dell’ambiente fisico sul cliente. Micro & Macro Marketing, a. XVI, n.3.
    Bonaiuto M., 2017. La psicologia ambientale in Italia: l’evoluzione storica e prospettive di sviluppo. Giornale Italiano di Psicologia, Fascicolo 1.
    Crowley A.E., 1993. The two-dimensional impact of color on shopping. Marketing Letters, vol.4, n.1, pp.59-69

FLOW EXPERIENCE E PEAK PERFORMANCE: UN APPROCCIO TEORICO






“Spesso assaporiamo un senso di trascendenza, come se i confini del sé si fossero improvvisamente espansi. Il marinaio si percepisce un tutt’uno con il vento, la barca e il mare. Il cantante avverte una sensazione di armonia universale. In quei momenti la consapevolezza del tempo scompare, le ore sembrano volar via senza che ce ne si accorga”.
Con questa affermazione Mihály Csíkszentmihályi (1975) descrive quella che viene definita Flow Experience.

L’esperienza di Flow (Csikszentmihalyi, 1975, 1982, 1990, 1993) si caratterizza principalmente con la percezione di un bilanciamento tra il livello di opportunità d’azione reperite nell’ambiente (challenges) e quello delle capacità personali (skills) nel confrontarsi con esse. Requisito fondamentale è che il livello dei challenges (e di conseguenza delle skills) sia elevato, o meglio superiore alla media delle abituali opportunità d’azione quotidiane: solo in questo caso, infatti, potrà instaurarsi lo stato di Flow, descritto come condizione complessa, caratterizzata da elevata concentrazione, coinvolgimento ed immersione nell’attività, assenza di auto-osservazione, controllo della situazione, chiara percezione dell’andamento e delle finalità dell’attività, positività dello stato affettivo, motivazione intrinseca, indipendenza da aspettative di ricompense o gratificazioni esterne all’attività stessa (Deci, 1975; Ryan e Deci, 1985).

L’esperienza ottimale viene costantemente ricercata dall’individuo ed in particolare vengono preferite tutte quelle attività che permettono di viverla. Sia in ambito lavorativo che nella pratica di attività sportive, le persone tendono a ricercare opportunità d’azione sempre più complesse cui contrapporre capacità progressivamente maggiori. Questo è l’assunto che sta alla base della Teoria della Selezione Psicologica (Csikszentmihalyi & Massimini, 1985): ogni soggetto seleziona ed organizza le informazioni acquisite nel contesto in cui opera secondo un criterio specifico, ossia la qualità dell’esperienza associata a tali informazioni. Vengono infatti preferenzialmente replicate quelle esperienze in grado di produrre uno stato di coscienza pieno e positivo ed evitate quelle che generano noia e stati di stress negativo o ansia.

Il flow non si contraddistingue per la positività del tono dell’umore o per il senso di felicità che si prova. Le ricerche condotte sugli sportivi hanno evidenziato che oltre alle componenti affettive, viene enfatizzato anche il coinvolgimento che si prova nel fronteggiare tutte quelle azioni che richiedono un certo impegno e la soddisfazione che ne deriva dal migliorare le proprie capacità soprattutto in termini di performance sportiva. Gli studi focalizzati sull’osservazione di come si configura l’esperienza di flow hanno indicato quali sono i fattori che favoriscono l’insorgere di tale esperienza: l’ambiente deve favorire la concentrazione e l’attenzione al compito, non devono esserci pressioni temporali, la persona deve sentirsi motivata e stimolata ad agire. Tutti questi aspetti vengono considerati come le condizioni che predispongono la Peak Performance o prestazione eccellente.

Berger (1993; 2001) definisce la prestazione eccellente come uno stato di funzionamento eccezionale del sistema psicofisico dell’individuo che porta a mettere in atto un comportamento che supera gli standard abituali. Essa è caratterizzata da: definizione di obiettivi chiari, condizione che porta a sentire di avere il pieno controllo delle azioni; esperienza autotelica, dove la persona è completamente concentrata e attenta alla realizzazione dell’attività che svolge e dal piacere ed eventuali ricompense che ne derivano; fluidità dell’azione; forte senso di sé. Massimini e Delle Fave (1999) ritengono che la Peak Performance più che un’esperienza possa essere considerata come una particolare forma di comportamento, la cui eccezionalità in termini di prestazione è promossa da uno stato esperienziale positivo, identificabile con il Flow. Si ipotizza quindi che più l’atleta riesce ad esperire e mantenere l’esperienza di flow, maggiori saranno le probabilità che si sviluppi la Peak Performance, la quale a sua volta amplia la possibilità di raggiungere risultati sportivi eccellenti.
Supposto che l’esperienza ottimale individuale non si può pianificare né attivamente provocare, bisogna lavorare sulla creazione di tutte quelle condizioni oggettive, reali, situazionali che possano condurre l’atleta a sperimentare questo stato che, come dice Csikszentmihalyi, “è ciò che di più vicino alla felicità possiamo immaginare”.


BIBLIOGRAFIA
Berger, B. G., & McInman, A. (1993). Exercise and the quality of life. Handbook of research on sport psychology, 729-760.
Csikszentmihalyi, M. (1975) Beyond Boredom and Anxiety, San Francisco: Jossey Bass.
Csikszentmihalyi, M. (1982). Learning, flow and happiness. In Gross, R. (Ed.) Invitation to Lifelong Learning. Chicago: Follett, 167-187.
Csikszentmihalyi, M. (1990) Flow. The Psychology of Optimal Experience. New York: Harper and Row.
Csikszentmihalyi, M. (1993). The Evolving Self. New York: Harper Collins.
Csikszentmihalyi, M., & Massimini, F. (1985). On the psychological selection of bio-cultural information. New Ideas in Psychology.
Deci, E. L., & Ryan, R. M. (1985). Self-determination and intrinsic motivation in human behavior. EL Deci, RM Ryan.
Delle Fave, A., & Massimini, F. (1999). Inter-cultural relations: A challenge for psychology. Modernization and cultural identity, 11-22.

LINGUA, TRIGEMINO E LOCUS COERULEUS: COME COLLABORANO TRA ESSI




Recenti studi hanno evidenziato come l’apparato somatognatico abbia fondamentale importanza negli assetti posturali e comportamentali.  È risaputo che Il Trigemino sia un nervo posturale, ma  non solo, studi scientifici provenienti soprattutto dall’oriente,hanno evidenziato come l’apparato somatognatico sia correlato all’attivazione del Locus Coeruleus; un piccolissimo nucleo del tronco encefalico responsabile della modulazione delle risposte neuronali e quindi del metabolismo cerebrale; è implicato nel controllo motorio somatico e viscerale, nella regolazione dei cicli sonno-veglia, nell’attenzione e nel comportamento emozionale, è ricco di granuli di melanina al suo interno che conferiscono al nucleo il colore azzurro( Coeruleus blu dal latino).
Coinvolto nelle risposte di stress e panico, stimolato soprattutto da informazioni olfattive, uditive, vista, gusto e tatto, è il principale sito di sintesi di noradrenalina nel cervello, con effetto eccitatori e attraverso particolari connessioni alla corteccia frontale e temporale è anche coinvolto nella regolazione dell’attenzione, ciclo sonno veglia, nella percezione e regolazione dell’umore.

A normali livelli di attività del Locus Coeruleus, l'area Prefrontale è in grado di controllare in modo ottimale l'Asse Ipofisi-Surrene e l'equilibrio tra Sistema Vegetativo Simpatico e Parasimpatico: a livelli inferiori alla norma dell'attività del Locus Coeruleus, l'Area Prefrontale diviene bioelettricamente eccitata ed eccitabile oltre la norma e non riesce più a stabilizzare e contenere adeguatamente la funzione delle ghiandole midollari surrenali e del sistema vegetativo simpatico.
Vi è una stretta e sottile correlazione tra deglutizione  e locus coeruleus: infatti  lo stimolo della lingua   all’eminenza del nervo naso palatino ( spot palatino)   causerebbe il rilascio di neurotrasmettitori lungo la seconda branca del nervo TRIGEMINO che, lungo il trigemino stesso, raggiungerebbe il Locus coeruleus,  che rilascerà noradrenalina, raggiungerà la corteccia prefrontale e alcuni organi specifici situati all’estremità posteriore del 3° ventricolo, qui attraverso fasci nervosi detti peduncoli epifisari, raggiunge la ghiandola pineale o epifisi.
All’interno della ghiandola pineale, così stimolata, verrà prodotto un neurotrasmettitore chiamato serotonina che per N-acetilazione e ossi-metilazione produrrà la melatonina che verrà rilasciata nel sangue.
Una deglutizione errata o una patologia legata ad essa causerebbe, un’alterata stimolazione nervosa. La mancata spinta della lingua allo spot palatino (zona precisa del palato direttamente dietro gli incisivi superiori) determinerà un ridotto apporto di stimoli nervosi lungo la seconda branca del nervo trigemino. Lo stimolo non raggiungendo il Locus Coeruleus comporta una ridotta liberazione di noradrenalina che comporterà, a monte, l’assenza di stimolo all’epifisi che sintetizzerà e rilascerà meno serotonina con tutto ciò che ne deriva negativamente.
Il corpo umano è una macchina perfetta tutto si muove e agisce in funzione a degli stimoli in economicità.  E’ importante quindi sottolineare  che la lingua  oltre ad avere un’importante funzione  nella masticazione e  nella digestione degli alimenti,  influenzi la stimolazione del trigemino; essendo un muscolo ( muscolo della cavità orale) svolge anche un’importante funzioni in assetto motorio inconscio contribuendo in gran parte agli equilibri muscolari , possiamo dire che è uno dei muscoli che molti sottovalutano ma che ha importantissime funzioni posturali incidendo particolarmente  sull’ATM   


SITOGRAFIA:

ALLENAMENTO FISICO DEL CALCIATORE DILETTANTE: PERCHE' E' IMPORTANTE ESSERE ATLETI ANCHE NEGLI AMATORI





Consigli e proposte pratiche per il giocatore dilettante che vuole performare meglio e prevenire gli infortuni

Se ti alleni massimo 2-3 volte a settimana con la tua squadra, probabilmente questo articolo potrà esserti utile.
Nel calcio dilettantistico, di solito, più si scende di categoria e meno importanza diamo alla preparazione atletica. 
E con preparazione atletica non intendo il periodo pre-campionato, ma la costante preparazione fisica durante tutta la stagione.
Meno allenamenti ci sono a disposizione e più gli allenatori danno importanza all’aspetto tecnico-tattico (magari anche giustamente?), trascurando l’aspetto fisico.
Nelle categorie più basse è anche difficile trovare staff tecnici in cui sia presente il preparatore atletico.
Lo stesso giocatore sarà più predisposto ad allenarsi e divertirsi con la palla dopo una giornata di lavoro o di studio, piuttosto che lavorando a secco.

Risultato finale?

Poca efficienza fisica in partita e alta predisposizione agli infortuni, muscolari e non.
A mio modo di vedere, per avere una minima preparazione fisica per sostenere una qualsiasi partita di calcio, è necessario allenarsi per lo meno 3 volte a settimana.
E’ necessario avere una buona preparazione sulle principali capacità condizionali: resistenza, forza e velocità.
Avere una bassa capacità aerobica provoca un più rapido affaticamento durante la gara, il che pregiudicherà la prestazione e predisporrà a infortuni muscolari.
Con una scarsa forza muscolare, i muscoli saranno deboli, predisposti a stiramenti e strappi, non proteggeranno a dovere le strutture scheletriche e non garantiranno buone prestazioni su cambi di direzione, scatti, salti, ecc.
Se i nostri muscoli non si abituano a sprintare alla massima velocità, al primo scatto della domenica saranno dolori..

Cosa fare quindi?

Due notizie: una brutta ed una meno.
La brutta: bisogna allenarsi.
La meno brutta: ti servirà meno tempo di quanto tu possa pensare.
Con un pò di volontà e di costanza, le tue prestazioni fisiche miglioreranno e le probabilità di infortunarsi caleranno notevolmente.

Quanto bisogna allenarsi?

Dipende da quanti allenamenti di squadra fai e quanto viene allenata ogni capacità condizionale.
Meno sono gli allenamenti di squadra e più ti consiglio di allenarti da solo.
Già un’ora a settimana (separata in 2/3 giorni) oltre agli allenamenti di squadra potrebbe bastare a ottenere buoni miglioramenti.
Ma andiamo sul pratico e facciamo qualche esempio.
I consigli di seguito sono pensati per chi vuole dedicare il minor tempo possibile ad allenarsi da solo.
E’ ovvio che chi ha più voglia e tempo di dedicarcisi avrà modo di articolare un programma più ampio e specifico, meglio ancora se seguito da un preparatore.

Ti alleni 3 volte a settimana con la tua squadra?
Già dovresti avere una buona preparazione atletica specifica.
Non avrai particolarmente bisogno di allenarti sulla resistenza, perchè lo farai con la squadra.
Il mio consiglio è quello di dedicare 20-40 minuti a settimana per allenare forza e velocità (20 a metà settimana per la forza e 20 per la velocità l’ultimo allenamento prima della gara) nel caso in cui non sia abbastanza il lavoro che fai con la squadra.

Ti alleni 2 volte a settimana in gruppo?

Di solito con due allenamenti a disposizione gli allenatori lavorano più che altro sulla capacità aerobica.
Anche per chi si allena due volte quindi consiglio di lavorare individualmente sulla forza e sulla velocità, dando spazio ai cambi di direzione che meno vengono sollecitati con una seduta in meno a settimana.
Ti servirà un’oretta di allenamento in più a settimana.

Ti alleni 1 volta a settimana in squadra?

Sappi che con un solo allenamento sei molto predisposto agli infortuni.
Ti consiglio vivamente di dedicare una mezz’ora di allenamento in più per ogni capacità condizionale.

Di seguito ti propongo alcuni lavori basici per chi vuole iniziare.
L’ideale sarebbe farsi seguire di persona da un preparatore atletico che strutturi un programma specifico in base alle tue esigenze, e se puoi ti consiglio di farlo.
Comunque sia questo potrebbe essere un buon inizio.

RESISTENZA 

Inizia con un lavoro di corsa intermittente in cui alterniamo 40’’ di corsa blanda a 20’’ di allungo sostenuto, 6-8’ per 3 serie, con 2’ di pausa tra ogni serie.

Quando inizierai a svolgere il lavoro con facilità, aumenta il tempo di allungo e diminuisci la corsa blanda, alternandoli 30’’ e 30’’.

Lo step successivo sarà quello di mantenere lo stesso rapporto corsa blanda/allungo di 1:1, abbassando i tempi (20”-20”, 15”-15”, 10”-10”) e aumentando la velocità di corsa in allungo. In questi lavori il recupero può anche essere passivo.

Esempio:
20”-20” 6’ (9 allunghi)
15”-15” 6’ (12 allunghi)
10”-10” 5’ (15 allunghi)

Sarai arrivato ad un buon livello quando riuscirai a percorre in 20” circa 100m (un campo di calcio), in 15” circa 75m (una metà campo e mezzo), e in 10” circa 50m (metà campo).

Un piccolo consiglio: le difficoltà più grandi nei lavori aerobici non sono a livello fisico, ma mentale. Se non li affronti con un atteggiamento positivo, qualsiasi lavoro di corsa senza palla sarà noioso e faticoso. Trova le motivazioni, datti degli obbiettivi di miglioramento, affronta l’allenamento con la giusta carica, e farai meno fatica di quanto tu possa pensare.

FORZA 

Il primo lavoro di forza che propongo è per chi parte da zero.

E’ un circuito total body che richiede in totale non più di 20-30 minuti di lavoro, in cui si lavora a corpo libero con poche pause.

Il circuito è composto da 7 esercizi, alternando sempre un esercizio per le gambe e uno per il core e la parte superiore, da ripetere 3 volte.
30’’, massimo 1’ di recupero, tra un esercizio e l’altro (se riesci anche senza recupero).
Prima di cominciare assicurati di conoscere bene la tecnica d’esecuzione degli esercizi.

Gli esercizi sono:




Quando avrai raggiunto un buon livello e riesci a svolgere facilmente il circuito, aumenta la difficoltà degli esercizi, aggiungendo un peso, aumentando le ripetizioni o utilizzando una variante più impegnativa dell’esercizio.

Ecco un esempio:




VELOCITA’ 

L’allenamento della forza è direttamente proporzionale alla velocità, in quanto miglioramenti sulla forza muscolare provocano anche migliori performance di velocità (ecco un motivo in più per allenare la forza). 
Allenare la velocità non ti ruberà molto tempo. 
L’obbiettivo è semplicemente quello di fare degli sprint massimali, per abituare i tuoi muscoli all’alta velocità e a prevenire lesioni muscolari (oltre che ad arrivare prima sulla palla!).
Consiglio di allenare la velocità solo a chi svolge 1-2 allenamenti di squadra a settimana.
Chi ne svolge almeno 3 si presuppone che la stimoli abbastanza con le sedute in gruppo.


1'-2’ di recupero tra le ripetizioni

Lo step successivo potrebbe essere quello di aggiungere delle andature prima dello scatto (skip, corsa calciata, ecc), brevi cambi di direzione e/o aumentare il numero di sprint, ma senza esagerare.

In età adulta i margini di miglioramento della velocità delle fibre muscolari sono limitati, ma con uno stimolo costante nel tempo si possono ottenere buoni risultati, soprattutto differenziando spesso le proposte.
Molto più allenabile è piuttosto la capacità di reazione, per questo sarebbe importante allenare la velocità con stimoli cognitivi, ad esempio utilizzando la psicocinetica. 

Prima di svolgere qualsiasi allenamento tra quelli proposti (soprattutto per forza e velocità), ricordati di fare prima un buon riscaldamento.
Come già detto questo non vuole essere un programma specifico, ma sono lavori adatti a tutti e che possono essere utili per migliorare le proprie prestazioni fisiche e prevenire gli infortuni.


Gli argomenti qui trattati, sono frutto di esperienze personali, divulgati per amore della scienza nello sport e della condivisione con gli utenti.

Post più popolari

I migliori del mese