NEURONI A SPECCHIO: APPRENDIMENTO MOTORIO & CAPACITÀ DI ANTICIPAZIONE



I neuroni specchio, considerati la più grande scoperta neurobiologica del ‘900, ci donano tutte quelle peculiarità umane, come il linguaggio verbale, l'empatia e la capacità di imparare velocemente mediante l'imitazione, fondamentali per il balzo in avanti da ominide a uomo sapiens 

Cosa sono i neuroni specchio:
Sono dei neuroni che si attivano quando compiamo una determinata azione e quando vediamo compierla. Quindi lo stesso neurone si accende per cause motorie, come afferrare una mela e per cause sensoriali, come vedere qualcuno afferrare una mela. Ogni neurone si attiva solo per un tipo specifico di movimento: ad esempio il neurone che si attiva mentre vediamo afferrare/afferriamo la mela non si attiva quando lanciamo o vediamo lanciare una mela. Questo speciale tipo di comportamento ha donato loro il caratteristico nome di neurone specchio.ª

Tra i vari contenuti che riguardano i neuroni a specchio, ne abbiamo selezionati principalmente due, che sono quelli che maggiormente sono affini all’ambito delle scienze motorie.


1.Apprendimento motorio
Recenti studi di neuroscienze effettuati tramite brain imaging hanno evidenziato che l’immaginazione motoria e l’osservazione dell’azione condividono lo stesso substrato neuronale attivato durante l’esecuzione. In particolare, le aree coinvolte risultano essere quelle premotorie, le aree parietali posteriori, quelle prefrontali, i gangli della base e il cervelletto.

Osservazione motoria
Il neurofisiologo Marc Jeannerod (1935-2011) studiò i meccanismi sottostanti l’azione. Egli interpretò la scoperta dei neuroni specchio secondo la teoria che li vedeva svolgere come funzione principale quella legata a comportamenti di caratteri imitativo. “L’attivazione dei neuroni specchio genererebbe una “rappresentazione motoria interna” dell’atto osservato, dalla quale dipenderebbe la possibilità di apprendere via imitazione.”
E’ ormai ampiamente diffusa la convinzione che la capacità di imitazione sia una caratteristica prettamente umana e che questa sia presente fin dalle prime ore di vita. Evidenze scientifiche riportano, però, che durante il compito di imitazione è quasi del tutto assente la partecipazione del cervelletto, sede per eccellenza dell’apprendimento motorio. Durante l’osservazione, invece, si attivano il sistema specchio e i circuiti adibiti all’apprendimento, che sono stati sopra elencati.Laura Petrosini et al. hanno evidenziato attraverso un esperimento di stimolazione magnetica transcranica (TMS) quanto sia importante il coinvolgimento del cervelletto e della zona prefrontale dorso laterale nell’apprendimento di un compito visuo-motorio. E’ stato mostrato infatti che “senza” il coinvolgimento del cervelletto o della corteccia prefrontale dorso-laterale, effetti ottenuti tramite TMS, gli osservatori non erano in grado di riprodurre quanto osservato2.
L’apprendimento per osservazione risulta essere quindi un metodo didattico efficace per l’acquisizione o il perfezionamento di nuove informazioni.
Ma qual è la metodologia più adeguata per poter rendere efficace l’apprendimento per osservazione? I dati fino ad ora raccolti dettano le seguenti linee guida:
  • L’osservatore deve poter osservare azioni o atti motori. In questo modo sarà possibile attivare il sistema specchio
  • L’osservatore deve osservare azioni i cui movimenti appartengano al suo patrimonio motorio, in alternativa in ruolo svolto dai neuroni specchio non sarà altrettanto efficace3
  • Motivazione
  • Dimostrazione fluida, coordinata, sincrona e corretta
  • Affiancare l’osservazione all’esercitazione pratica


Immaginazione motoria
Già tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 Ramon y Cajal ipotizzò che “l’organo del pensiero è, entro certi limiti, malleabile e perfettibile tramite un esercizio mentale mirato”Il medico spagnolo aveva intuito che l’esercizio mentale doveva rinforzare le connessioni neuronali esistenti e crearne di nuove, secondo il meccanismo neuronale oggi conosciuto come “use it or lose it”.
Nel 1992 Guang Yue e Kelly Cole mostrarono attraverso un esperimento che immaginare di usare dei muscoli li rinforza realmente. Erano stati selezionati due gruppi di soggetti, il primo doveva eseguire serie di quindici contrazioni massimali con una pausa di venti secondi tra l’una e l’altra, dal lunedì al venerdì per un mese. Il secondo gruppo doveva limitarsi a immaginare di fare lo stesso nello stesso lasso di tempo. Al termine dello studio i soggetti che avevano fatto esercizio fisico avevano aumentato la forza muscolare del trenta percento, i soggetti che si erano allenati attraverso l’immaginazione mentale avevano migliorato la loro forza muscolare del ventidue percento.4
“L’immaginazione mentale è la simulazione mentale di un movimento in assenza di macroscopica attivazione muscolare” (Jeannerod, 1995)Jeannerod classificò due differenti immagini mentali: “esterne” quando immaginiamo una certa scena o un oggetto, “interne” quando simuliamo mentalmente l’esecuzione di una determinata azione che riguardi tutto il corpo o una parte di esso.Un recente studio condotto tramite risonanza magnetica funzionale mostra la differente attivazione cerebrale tra un gruppo di arcieri professionisti e persone che non avevano mai praticato tiro con l’arco durante un compito di immaginazione motoria. Quando il compito veniva svolto dai non-arcieri si attivavano le aree deputate all’apprendimento motorio, quando il compito veniva svolto, invece, dagli arcieri si attivava in maniera più significativa l’area motoria supplementare, adibita alla pianificazione del movimento e degli atteggiamenti posturali.5
La motor imagery, ovvero l’immaginazione motoria, proprio come l’apprendimento per osservazione, sembra essere un metodo idoneo a favorire l’acquisizione e il perfezionamento di nuovi compiti motori.

Il filone di studi che prende il nome di “cronometria mentale” si propone di dimostrare come i due processi di immaginazione ed esecuzione siano sovrapponibili anche nei tempi di esecuzione. Il primo esperimento è stato condotto dal neurobiologo americano Jean Decety (1960), il quale ha provato che i tempi richiesti per immaginare di disegnare, per esempio un cubo, sono gli stessi che richiede l’effettiva riproduzione dello stesso. Successivamente, lo stesso Decety affrontò un esperimento in cui veniva chiesto ai soggetti di immaginare ad occhi chiusi di deambulare per un percorso sempre più lungo. I risultati riportano che il tempo impiegato ad immaginare di percorrere determinate distanze era congruente alla durata reale. È stato osservato, inoltre, che la rappresentazione del movimento induce un cambiamento di alcuni parametri fisiologici quali: un’intensificazione dello scambio gassoso, un’accelerazione della frequenza respiratoria e della frequenza cardiaca, un aumento della pressione sanguigna, una maggiore sensibilità della visione periferica, un aumento dell’eccitabilità dei nervi periferici. Beyer et al. nel 1990 studiarono che è riscontrabile un aumento del 30% a carico della frequenza cardiaca e del ritmo respiratorio quando si immagina di nuotare per una lunga distanza rispetto a una condizione di riposo. Decety et al. nel 1991 riportano che il grado di aumento del battito cardiaco e della ventilazione polmonare di un soggetto che immagina di correre a 12 km/h può essere paragonabile a quello di un soggetto che corre realmente a 5 km/h.

Alcuni autori hanno cercato di verificare se un allenamento di immaginazione, mental motor training, produca un effettivo miglioramento sulla prestazione sportiva.In ambito specificatamente sportivo è stata dimostrata l’efficacia del mental motor training in atleti di pallavolo per il perfezionamento del servizio6 in saltatori in alto7 e in ginnasti: costoro mostravano notevoli miglioramenti nella performance rispetto agli atleti allenati solo con metodi classici.



2. Capacità di anticipazione
Uno studio condotto da Agliotti et al. nel 2008 mostra come giocatori di basket d’elite, a differenza degli altri due gruppi composti uno da principianti e l’altro da giornalisti e allenatori, siano in grado di riconoscere fin dai primi istanti la cinematica dell’azione riuscendo ad anticipare quale sarà l’esito finale dell’azione di gioco. Gabriele Boccolini spiega nel suo libro che lo stesso concetto è stato sviscerato anche su atleti che praticano pallamano, calcio e rugby.

Boccolini sostiene che il cervello ricopre un ruolo fondamentale nella prestazione del giocatore, pertanto l’allenamento non può distaccarsi da quelli che sono gli aspetti cognitivi della gara. Le qualità cognitive devono essere allenate tanto quanto quelle tecniche, tattiche e fisiche. Egli sottolinea che in una squadra di alto livello difficilmente l’errore può essere attribuito a un aspetto tecnico o fisico, quanto piuttosto a un errato processo decisionale. Il cervello deve essere in grado di selezionare un enorme flusso di informazioni provenienti dall’esterno per determinare nell’immediato una risposta efficace. Tuttavia, perché questo possa avvenire, è fondamentale allenare le capacità cognitive specificatamente alle finalità della reale situazione di gioco, e non attraverso un’attivazione cognitiva non scopo-specifica. Lo stesso Boccolini riporta l’esempio dello sprint: se si esegue uno sprint all’interno di un contesto situazionale definito per un fine specifico di gioco si attiveranno quei neuroni che non si attiverebbero se lo sprint venisse effettuato in un contesto aspecifico.
L’utilizzo di questo “modus operandi” farà si che l’architettura neurale si sviluppi e si consolidi permettendo all’atleta di arricchire il proprio vocabolario d’atti che a sua volta permetterà di migliorare le abilità di previsione delle azioni altrui.
I neuroni specchio giocano un ruolo fondamentale non solo nella comprensione della strategia dell’avversario, ma anche “nell’agire di seconda intenzione, ovvero nell’attivare un’azione mirata ad ottenere dall’avversario una reazione offensiva da riutilizzare per portare a termine il colpo preventivato. Una sorta di trappola tesa al fine di provocare una reazione dell’avversario per poter contrapporre l’azione contraria.”8
Durante una competizione il cervello dell’atleta è sottoposto a un numero enorme di stimoli esterni da selezionare per programmare la risposta adeguata.
L’impatto dell’affaticamento mentale sulle performance cognitive è ben noto, ma le conseguenze che possono essere riportate sulla performance atletica non sono ancora state indagate fino in fondo. 
Marcora et al. nel 2009 hanno mostrato attraverso un esperimento che l’affaticamento mentale riduce il limite di tolleranza dello sforzo fisico compromettendo la prestazione.



Referenze:

  • 1Rizzolatti G., Sinigaglia C., So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni specchio, pag. 95, Raffaello Cortina Editore, Via Rossini 4 Milano.
  • 22Petrosini, L. (2007). “Do what I do” and “do how I do”: different components of imitative learning are mediated by different neural structures. The Neuroscientist, 13(4), 335-348.
  • 33Calvo-Merino, B., Glaser, D. E., Grezes, J., Passingham, R. E., & Haggard, P. (2005). Action observation and acquired motor skills: an FMRI study with expert dancers. Cerebral cortex, 15(8), 1243-1249.
  • 4Yue, G., & Cole, K. J. (1992). Strength increases from the motor program: comparison of training with maximal voluntary and imagined muscle contractions. Journal of neurophysiology, 67(5), 1114-1123.
  • 5Chang, Y., Lee, J. J., Seo, J. H., Song, H. J., Kim, Y. T., Lee, H. J., ... & Kim, J. G. (2011). Neural correlates of motor imagery for elite archers. NMR in Biomedicine, 24(4), 366-372.
  • 6Shoenfelt, E. L., & Griffith, A. U. (2008). Evaluation of a mental skills program for serving for an intercollegiate volleyball team. Perceptual and motor skills, 107(1), 293-306.
  • 7OLSSON, C. J., Jonsson, B., & Nyberg, L. (2008). Internal imagery training in active high jumpers. Scandinavian journal of psychology, 49(2), 133-140.
  • 8Ortensi S., “le neuroscienze salgono in pedana, l’effetto mirror nella scherma”, Centro Studi E Formazione In Psicologia Dello Sport Milano.
  • ª https://scienze.fanpage.it/neuroni-specchio-la-piu-grande-scoperta-neurobiologica-del-900-e-italiana-cosi-ci-donano-la-vita/

Author: Dott. Eugenio Isidoro Scibetta Co-Founder & Admin Scienze Salute e Benessere


OBESITA': LE SUE VARIANTI E SPORT




L’obesità è una condizione di cui sentiamo sempre più parlare e che purtroppo vediamo spesso in soggetti di tutte le età. Questa condizione la maggior parte delle volte è dovuta da uno stile di vita sedentario e da un’alimentazione ipercalorica, ricca di cibo spazzatura. L’obesità, ma anche il sovrappeso, sono condizioni che aumentano sensibilmente il rischio di disabilità, patologie, disturbi articolari.
Le componenti chiave per aiutare a ridurre il peso e riuscire a mantenerlo sono:
-    Un nuovo modo di mangiare: una dieta studiata con un professionista;
-   Esercizio fisico regolare che tenga conto della struttura e della patologia del soggetto;
-   Almeno sette ore di sonno per notte;
-   Sostegno  delle persone vicine(sarà più semplice se intorno ho persone che mi incitano,  che mi fanno mangiare in modo corretto, secondo la dieta stabilita, e  che mi stimolano a fare attività fisica);
-  Spesso un supporto psicologico,

ESERCIZIO FISICO
Nei soggetti obesi è importante personalizzare gli esercizi e procedere con gradualità con l’aumento di intensità e durata in base alle sue risposte fisiologiche.
L’incremento della spesa energetica quotidiana(esercizio fisico + attività giornaliere) comporta un aumento del metabolismo basale, aumento del metabolismo post esercizio (EPOC),con l’aumentare dell’intensità, e un  incremento dell’ossidazione dei grassi.
Il primo obiettivo  è raggiungere una  condizione igienica.  L’approccio integrato di dieta + esercizio fisico è sicuramente vincente e  comporta diversi benefici:
-     Maggior calo ponderale, associato ad un minore rischio di recupero del peso;
-     Minor perdita o mantenimento della massa magra;
-     Miglioramento del profilo metabolico e riduzione del rischio cardiovascolare;
-     Correzione o minor rischio di sviluppare altre patologie (ipertensione,diabete mellito di tipo II, dislipidemia);
-     Migliore qualità della vita.
l’allenamento ad alta intensità e prolungato e’ la cosa migliore?
NO! In questi soggetti occorre programmare sedute di allenamento progressive, senza portarli ad allenamenti strenui per cercare di perdere peso in tempi brevi. Questo perché ci sono delle condizioni fisiologiche e psicologiche che, dopo aver perso tanto peso in poco tempo si tende a riprenderlo.
Questa tendenza a tornare al peso iniziale può essere dovuto da:
-     Iperfagia compensatoria (aumento della fame) verso cibi molto energetici e ricchi di grassi e carboidrati raffinati;
-     Diversa ripartizione dell’energia, dai tessuti magri a quelli grassi per effetto di  modificazione dei processi di controllo;
-     Aumentata conservazione dell’energia, per soppressione della termogenesi ( processo metabolico che consiste nella produzione di calore) che porta ad un metabolismo più parsimonioso.
Con la perdita di peso si va in contro ad un rallentamento del tasso metabolico a riposo che è spesso maggiore di quanto ci si aspetterebbe in base alle modifiche misurate nella composizione corporea. Questo fenomeno è chiamato “termogenesi adattiva” ed agisce per contrastare la perdita di peso e contribuire a riprenderlo. Infatti chi perde molto  peso in poco tempo questo rallentamento del tasso metabolico è mantenuto anche fino a 6 anni dopo collaborando ad una ripresa del 70% del peso iniziale. Questi risultati sono potenzialmente coerenti con il ripristino di una difesa biologica del peso corporeo.
L’esercizio troppo intenso e prolungato e con forti consumi energetici può ridurre notevolmente i livelli di leptina(ormone della sazietà) e quindi portare a una maggiore sensazione di fame, questo la maggior parte delle volte si traduce in un maggior introito calorico.
Per  cercare di contrastare questo adattamento occorre aumentare i livelli di massa magra per rinforzare il metabolismo basale.
Una riduzione del  peso corporeo ad un livello minore del 10% del peso iniziale porta una riduzione media della spesa energetica totale:
-     di circa 6  kcal per chilogrammo di massa magra al giorno in  soggetti mai stati obesi
-     di circa 8 kcal per chilogrammo di massa magra al giorno negli obesi
Al contrario il mantenimento ad un livello maggiore del 10% del peso iniziale porta un aumento medio della spesa energetica totale:
-     di circa 9  kcal per chilogrammo di massa magra al giorno in  soggetti mai stati obesi
-     di circa 8 kcal per chilogrammo di massa magra al giorno in soggetti che erano obesi.

Cosa ci dicono le linee guida?
Le linee guida ACSM raccomandano agli adulti obesi e in sovrappeso di svolgere più di 250 minuti di attività fisica di intensità moderata-vigorosa per perdere peso o per evitare di riprenderlo. Per i soggetti precedentemente obesi le linee guida IASO raccomandano 60-90 minuti di moderata intensità per la maggior parte dei giorni della settimana.
L’obesità comporta alterazioni della funzione muscolare, dell’equilibrio, del range articolare, della biomeccanica di marcia e in generale, nell’esecuzione di movimenti della vita quotidiana. L’eccessivo peso spesso ha un elevato impatto sui disturbi articolari, quali il rischio di frattura e l’osteoartrite, ma può avere anche un profondo effetto sulle strutture molli, quali tendini e cartilagine.
Il training si baserà principalmente su esercizi aerobici, contro resistenza, di mobilità articolare, di balance e su esercizi funzionali basati sulle attività di vita quotidiana.

H.I.I.T.
Anche l’allenamento H.I.I.T. (intervallato ad alta intensità) , dopo un periodo di condizionamento,  si è mostrato avere buoni risultati in molteplici patologie stabilizzate, tra cui l’obesità e la sindrome metabolica. I soggetti con quest’ultime patologie che svolgono H.I.I.T.,  hanno dimostrato di aver migliorato la funzione endoteliale, la sensibilità insulinica, la glicemia e la lipolisi.
SONNO
Il sonno ha un ruolo fondamentale ed  è strettamente correlato ai livelli infiammatori e di stress.
Il non dormire a sufficienza causa da una parte una maggiore sensazione di fame (per aumento dei livelli di grelina) e dall’altra una riduzione del senso di sazietà (riduzione dei livelli di leptina), queste due condizioni comportano un aumento dell’apporto calorico e quindi un aumento di peso. Spesso l’obeso non dorme bene a causa di apnee notturne dovute al forte peso a livello addominale e questo porta ad un aumento degli stati infiammatori che a sua volta causano una riduzione dei livelli di leptina.
Considerando tra l’altro che gli obesi hanno più  recettori per la leptina rispetto al normale ma non sono funzionanti ( un po’ come insulino resistenti con l’insulina).
OBESITA’ INFANTILE
Una problematica importante è che molte genitori in sovrappeso/obesi trasmettono le loro abitudini ai loro figli, quindi si abituano ad una alimentazione ipercalorica, errata sia a livello quantitativo che qualitativo, e ad un’ assenza si attività fisica e un aumento delle ore passate davanti allo schermo (magari mentre si mangiano patatine) . Un’ulteriore problematica  è che spesso  il bambino obeso tende, a causa della sua condizione, ad autoescludersi dalle normali attività ludiche, causando una situazione di ipocinesia motivo di un ulteriore aumento di peso. Si instaura così, un circolo vizioso di  inattività, che porta un bilancio energetico positivo, quindi un aumento dell' obesità dalla quale consegue una riduzione delle capacità motorie, per giungere poi ad un grado maggiore di inattività.
La diagnosi di sovrappeso e obesità nei bambini e negli adolescenti è più complessa rispetto agli adulti  poiché le dimensioni corporee cambiano continuamente con l’età e lo sviluppo, la massa grassa non solo aumenta in valori assoluti con l‘età, ma il suo rapporto con peso e altezza cambia fisiologicamente nel tempo e in maniera diversa fra i due sessi.  Di conseguenza non esiste e non può esistere un unico valore che definisca il sovrappeso o l‘obesità, indipendentemente dall‘età e dal sesso. Per questo motivo per la valutazione dell’obesità infantile, piuttosto che utilizzare i valori di BMI, sono molto più utili i parametrici peso , altezza e circonferenza vita, i quali possono determinare con maggior precisione il rischio metabolico nell’età pediatrica. Nella pratica clinica quotidiana è sufficiente fare riferimento alle curve dei centili dell'IMC che ogni pediatra usa. Un dato superiore all'85°c è indice di sovrappeso, se il dato è superiore al 90°c è indice di obesità.
Spesso si tende a giustificare l’obesità e il sovrappeso infantile, quante volte abbiamo sentito dire “ mangia che devi crescere!”  ed è con questa “scusa” che vengono date delle scorrette abitudini  alimentari. Questo, molte volte,  è accompagnato da lunghi tempi di sedentarietà( seduti sul divano a giocare a video games, a guardare la TV….). Uno  studio ha evidenziato che i  bambini dai 2 e 6 anni che passano un ora al giorno davanti allo schermo presentano almeno 1kg in più rispetto ai proprio coetanei.
L’obesità infantile non va sottovalutata in quanto la maggior parte delle volte porterà ad un adulto obeso: che chi è obeso a 5 anni ha il quadruplo delle possibilità di rimanere obeso nell’adolescenza e nell’età adulta rispetto ai coetanei normopeso, circa il 32% dei ragazzi in sovrappeso all’asilo rimane obeso a 14 anni 
Da sottolineare che non è solo una questione estetica, infatti un  bambino obeso su quattro sta già sviluppando gravi situazioni patologiche presenti nella sindrome metabolica (obesità viscerale, HDL bassi, trigliceridi alti, ipertensione, insulino-resistenza).
Uno studio Auxologico Italiano del 2011 condotto su 1500 bambini/adolescenti obesi ha dimostrato che:
-     16% era portatore di fattori di rischio collegati alle malattie cardiovascolari e alla mortalità precoce;
-     27% presentava ipertensione sistolica;
-     15% ipertensione diastolica;
-     35-40% stenosi apatica (fegato grasso).
Oltre a questi anche l’incidenza di Diabete di tipo II, problemi respiratori e depressione sono  notevolmente aumentati.
Tutto questo ci fa capire come sia di massima importanza una precoce valutazione dei fattori di rischio metabolici nei giovanissimi. Ma è anche chiaro che è sempre meglio lavorare in prevenzione, tramite un’alimentazione salutare e un attività fisica regolare.
L’OMS ha formulato le raccomandazioni per aumentare l’attività fisica, ridurre la sedentarietà, quindi il rischio sovrappeso e obesità.
Raccomandazioni per bambini e i ragazzi di età compresa fra i 5 e i 17 anni:
o   Compiere giornalmente almeno 60 minuti di attività fisica di intensità variabile fra moderata e vigorosa.  Lo  svolgimento di attività fisica superiore ai 60 minuti fornisce ulteriori benefici per la salute;
o   La maggior parte dell’attività fisica quotidiana dovrebbe essere aerobica.
o   Attività di intensità vigorosa, che comprendano quelle che rafforzano muscoli e ossa, dovrebbero essere previste, almeno tre volte la settimana;
o    Le attività da proporre a bambini e ragazzi dovrebbero supportare il naturale sviluppo fisico, essere divertenti e svolte in condizioni di sicurezza.
Ci sono raccomandazioni anche per i più piccoli, 0-5 anni: mantenere durante la giornata  livelli di movimento, abitudini attive e ore di sonno adeguate.

CONCLUSIONE
Quindi è ormai chiaro che l’obesità non è un problema solamente estetico, ma è una patologia e un fattore di rischio per altre problematiche. Un  programma personalizzato, sostenibile e ben strutturato di esercizio fisico e alimentazione è di fondamentale importanza per la  riduzione e il controllo del peso corporeo. Una riduzione del peso comporta un miglioramento della qualità della vita e una riduzione dei fattori di rischio.
Anche se la cosa migliore sarebbe lavorare in prevenzione, cominciando ad educare i bambini, sin dalle scuole elementari, ad uno stile di vita corretto tramite più ore di educazione fisica ed alimentare, con l'intervento di professionisti a scuola e il coinvolgimento diretto dei genitori attraverso degli incontri programmati. Se è vero che questi rappresenterebbero ulteriori costi per lo Stato, d’altra parte un intervento di questo tipo, ovviamente ben strutturato, potrebbe ridurre i costi sanitari e garantire a ciascuno un migliore qualità della vita


Bibliografia 
Solveing A., Cunningham Ph.D. et al “Incidence of Childhood Obesity in the United States”
Wearing SC, Henning EM et al “ Muscoloskeletal disorder associated with obesity; a biomechanical perspective”
Muller MJ, Bosy-Westphal A. et al “Adaptive thermogenesis with weight loss in humans. Obesity”
Leibel R.L., Rosenbaum M et al “Changes in Energy expenditure resulting from altered body weight”
Fothergill E., Guo J et al “ Persistent metabolic adaptation 6 years after The Biggest Loser competition”
WILLIAM J. KRAEMER STEVEN J. FLECK MICHAEL R. DESCHENES: “FISIOLOGIA DELL'ESERCIZIO FISICO INTEGRARE GLI ASPETTI L'APPLICA TEORICI CON L'APPLICAZIONE PRATICA”

STRESS ED ETA' GIOVANILE



L
o stress è una reazione naturale alle circostanze più difficili. A livelli normali, è salutare e persino utile, ma se è eccessivo, può comportare effetti negativi sulla salute fisica, mentale, emotiva e sulla vita sociale. Iniziamo analizzandolo nella sua eccezione del termine e nelle cause che esso provoca.
Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi. Fu Selye il primo a parlare di stress, definendolo come una

"risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso"
 (Selye, 1976).

In base alla durata dell’evento stressante è possibile distinguere due categorie di stress: se lo stimolo si verifica una volta sola e ha una durata limitata si parla di ‘stress acuto’, se invece la fonte di stress permane nel tempo si utilizza l’espressione ‘stress cronico’. Lo stress cronico propriamente detto dura a lungo, investe diverse sfere di vita e costituisce un ostacolo al perseguimento degli obiettivi personali. Si definisce, infine, ‘stress cronico intermittente’ un quadro di attivazione da stress che si presenta ad intervalli regolari, con una durata limitata e un buon livello di prevedibilità. Accanto alla distinzione sulla base della durata è possibile individuare due categorie sulla base della natura degli eventi stressanti. In molti casi gli stressor sono nocivi e possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie – si parla quindi di distress. In altri casi, invece, gli stressor sono benefici, poiché favoriscono una maggior vitalità dell’organismo – si utilizza in questo caso l’espressione eustress.

Lo stress è una risposta psicofisica che l’organismo mette in atto in risposta a compiti che sono valutati dall’individuo come eccessivi: questo significa che un evento stressante per qualcuno potrebbe non esserlo per altri e che uno stesso evento in fasi di vita diverse può risultare più o meno stressante. È tuttavia utile individuare alcuni fattori che risultano tipicamente stressanti per la maggior parte delle persone. Molti dei grandi eventi della vita possono risultare stressanti, sia eventi piacevoli come il matrimonio, la nascita di un figlio o un nuovo lavoro, sia quelli spiacevoli come la morte di una persona cara, una separazione o il pensionamento. Accanto a questi eventi possiamo identificare come fonti frequenti di stress alcuni fattori fisici: il freddo o il caldo intensi, l’abuso di alcol o il fumo, ma anche serie limitazioni nei movimenti. Esistono inoltre fattori ambientali che ci espongono al rischio di stress, pensiamo ad esempio alla mancanza di un’abitazione, agli ambienti molto rumorosi, a livelli di inquinamento elevati. Ricordiamo, infine, le malattie organiche e gli eventi straordinari quali i cataclismi.
Ci capita spesso di dire che siamo ‘stressati’ ma non tutti i sintomi sono facili da individuare e possiamo sottovalutare il problema. Pur essendo difficile fornire un elenco esaustivo di tutti i sintomi dello stress, è utile individuare i più frequenti. Si individuano quattro categorie di sintomi da stress:

 – sintomi fisici: mal di testa, mal di schiena, indigestione, tensione nel collo e nelle spalle, dolore allo stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, extrasistole, agitazione, problemi di sonno, stanchezza, capogiri, perdita di appetito, problemi sessuali, fischi alle orecchie;
sintomi comportamentali: digrignare i denti, alimentazione compulsiva, più frequente assunzione di alcolici, atteggiamento critico verso gli altri, comportamenti prepotenti, difficoltà a portare a termine i compiti;
sintomi emozionali: tensione, rabbia, nervosismo, ansia, pianto frequente, infelicità, senso di impotenza, predisposizione ad agitarsi o sentirsi sconvolti;
sintomi cognitivi: difficoltà a pensare in maniera chiara, problemi nella presa di decisione, distrazione, preoccupazione costante, perdita del senso dell’umorismo, mancanza di creatività.

Nelle famiglie con figli per esempio si ricomincia prepotentemente a utilizzarla con l’inizio della scuola: il ragazzo è troppo stressato dai compiti, impegni extra-scolastici e dagli insegnanti. Che hanno troppe richieste, pretese. Se dunque esiste un momento appropriato per parlare dello stress dei teenager, è probabilmente questo.
Così lo stress può colpire chiunque si senta sopraffatto e i bambini non fanno eccezione.
L’
ansia da separazione nei bambini in età prescolare, ad esempio, è ormai ben conosciuta. Crescendo, le pressioni sociali o meglio le difficoltà e gli sforzi del cercare di adattarsi sono grosse fonti di stress.
Molti ragazzi, ad esempio, sono troppo impegnati per avere il tempo di giocare, sviluppare la propria creatività o rilassarsi dopo la scuola. Meglio prestare attenzione ai bambini che si lamentano delle troppe cose da fare o che ne rifiutano qualcuna, e controllare che non siano sovraccarichi. Se non è possibile alleggerire i carichi, l’attenzione e il dialogo aperto possono consentire ai bambini di apprendere come organizzare il proprio tempo e vincere lo stress.
Anche i problemi familiari sono causa di stress. Problemi legati al lavoro dei genitori, al bilancio familiare o preoccupazioni sulla salute, sono tutti temi che andrebbero trattati senza la presenza dei bambini ed evitando il più possibile di farsi vedere ansiosi o preoccupati in loro presenza.
Una notevole fonte di tensione è la televisione e, nell’era di internet, la facilità di accesso alle informazioni di cui godono i più piccoli. I bambini che vedono immagini inquietanti in tv o sentono parlare di disastri naturali, guerra e terrorismo, possono preoccuparsi per la propria sicurezza e quella delle persone che amano. Anche in questo caso, il controllo, oltre alle eventuali rassicurazioni, è fondamentale per evitare il rischio di ansie.
Nei bambini lo stress si manifesta, in genere, attraverso cambiamenti nel comportamento. Modifiche comuni sono quelle che vanno a incidere sul carattere; i bambini diventano facilmente irritabili o lunatici, o assumono atteggiamenti di rifiuto con lamenti e pianti, ad esempio nei confronti della scuola, a volte anche con reazioni sproporzionate. Ai cambiamenti caratteriali si associano variazioni in più o in meno del sonno o atteggiamenti controversi nei confronti del cibo, che può essere rifiutato o consumato in modo esagerato.
Nel caso dei giovani adolescenti, sono frequenti i casi in cui lo stress si esprime attraverso il rifiuto e l’ostilità verso la famiglia.
Lo stress può anche apparire con sintomi di tipo fisico, come mal di stomaco o mal di testa, di cui non si riesce a individuare un’origine organica. È necessario prestare attenzione alle sintomatologie dolorose, soprattutto se queste aumentano in particolari situazioni: il classico compito in classe, ad esempio, ma anche una prova sportiva importante.

Come si può aiutare a ridurre l’ansia del bambino e lo stress? Ecco i principali consigli degli esperti:
  1. Incoraggiare il bambino ad affrontare le sue paure. Evitare le situazioni ansiogene mantiene l’ansia. Al contrario, se un bambino affronta i suoi timori imparerà che l’ansia si riduce naturalmente dopo poco tempo, perché l’organismo mette in atto meccanismi appropriati per ridurla.
  2. Non bisogna essere perfetti. Non spingete sempre al massimo il vostro piccolo. A scuola, facendo sport o in famiglia, le prove vanno affrontate sapendo che si può anche sbagliare, senza che questo sia vissuto come un evento catastrofico.
  3. Concentrarsi sugli aspetti positivi. Spesso i bambini ansiosi e stressati possono perdersi in pensieri negativi e nell’eccessiva autocritica. È necessario concentrare le attenzioni sugli aspetti positivi e cogliere sempre le parti migliori.
  4. Gioco e relax. I bambini hanno bisogno di tempo per rilassarsi e giocare in compagnia. Non bisogna sovraccaricarli di attività, pur positive come lo sport, soprattutto se generano competizione con la relativa ansia da prestazione.
  5. L’approccio comportamentale di genitori e parenti. Il vostro bambino si comporterà come vede fare in casa da genitori e parenti. Sarà ansioso e spaventato, se in famiglia respirerà questo clima, sciatto o ben curato, se vedrà i genitori trasandati o ben curati, allegro o immusonito in base all’umore prevalente dei familiari, e così via.
  6. Gratificare i comportamenti positivi. Non abbiate mai paura di premiare i comportamenti positivi del bambino. La gratificazione è molto importante perché aumenta le motivazioni per affrontare i passi successivi. Anche un piccolo passo, nell’affrontare le proprie paure, va premiato.
  7. Incoraggiare una buona igiene del sonno. Dormire il tempo necessario e con un sonno di buona qualità è molto importante per garantire l’equilibrio psico fisico.
  8. Incoraggiare il bambino a esprimere la sua ansia. Non minimizzate le preoccupazioni espresse dal bambino. Al contrario, prendetele seriamente e incoraggiatelo a parlarne. Siate, anche in queste occasioni un punto di riferimento, positivo e tranquillizzante.
  9. Aiutate vostro figlio a risolvere i problemi. Dopo aver ascoltato ciò che il bambino ha da dire, aiutatelo a risolvere i suoi problemi. Questo non significa risolvere il problema per il vostro bambino. Significa aiutarlo a individuare possibili soluzioni.
  10. Mantenere la calma. Le reazioni dei bambini sono figlie di quelle dei loro genitori, quindi se si vuole ridurre l’ansia del bambino, è necessario gestire la propria ansia. Questo può significare, ad esempio, rallentare il ritmo delle parole, non gesticolare in modo frenetico e fare di tutto per mostrare al bambino che siete calmi e sapete cosa fare.

Dott. Giuseppe Argenziano
Laureato in Scienze Pedagogiche


Referenze
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing
Cannon, W.B. (1929). Organization for physiological homeostasis. Physiological Review, IX(3), 399-431.
Kabat-Zinn, J. (1990). Vivere momento per momento. Trad. it.: Sabbadini, A. Tea Pratica, Milano.
Selye, H. (1974). Stress without distress. J. B. Lippincott, Philadelphia.
Selye, H. (1976). Stress in health and disease. Butterworth’s, reading, Massachusetts.
Per saperne di più:
https://www.stateofmind.it/tag/stress/

Sources of Stress http://kidshealth.org/parent/emotions/feelings/stress.html
Parents Don’t See Kids’ Stress Signs http://www.webmd.com/news/breaking-news/kids-and-stress/20150827/stress-survey
Stress of divorce can ‘triple risk’ of children getting diabetes http://www.telegraph.co.uk/news/science/science-news/11525560/Stress-of-divorce-can-triple-risk-of-children-getting-diabetes.html
Posttraumatic Stress Disorder in Children Treatment & Management http://emedicine.medscape.com/article/918844-treatment
12 Tips to Reduce Your Child’s Stress and Anxiety https://www.psychologytoday.com/blog/dont-worry-mom/201302/12-tips-reduce-your-childs-stress-and-anxiety 

ARTICOLAZIONE TEMPORO MANDIBOLARE (ATM) DISTURBI POSTURALI E TRATTO CERVICALE

L'apparato stomatognatico con le sue funzioni di fonazione, masticazione, deglutizione, sbadiglio, sorriso, morso (un tempo arma di difesa/attacco, oggi perlopiù sintomo/abitudine da stress) e, in maniera complementare, respirazione, è integrato in maniera importante col sistema tonico posturale. E' infatti ormai accertato scientificamente che errori occlusali (malocclusioni) e/o disfunzioni stomatognatiche possono determinare disfunzioni (disturbi) cranio cervico mandibolari (DCCM) in grado, a loro volta, di generare squilibri posturali, più o meno gravi, con varie problematiche e sofferenze derivanti. 
I più importanti argomenti a sostegno dell'ipotesi dell'esistenza di un sistema cranio-vertebrale sono:
  • Le tappe del lungo percorso filogenetico dell'uomo sembrano riprodursi a grande velocità nei primi anni di vita dei bambini. Ai cambiamenti della morfologia del cranio e della faccia corrisponde un cambiamento parallelo della colonna vertebrale (così come accade per il piede) e quindi della postura. Deglutizione, masticazione, equilibrio occlusale, estero-propriocezione del piede e quindi postura giungono contemporaneamente a completa maturazione a circa 6 anni, infatti, con la comparsa dei primi molari. L'apparato stomatognatico, al pari del piede, rappresenta un punto di unione tra le catene muscolari anteriori e posteriori all'interno del sistema miofasciale. Da sottolineare il ruolo da "perno" strutturale e funzionale svolto dall'osso ioide.
  • L'ampiezza dell'area corticale riservata a faccia, lingua e relative funzioni, come si evidenzia dall'homunculus (più del 50% dell'area dell'omuncolo motorio e sensorio è rappresentata dai piedi e dall'apparato stomatognatico), e la presenza dell'innervazione più diversificata, composta da 5 nervi cranici (trigemino, facciale o faciale, accessorio del vago, ipoglosso e glossofaringeo).

Per comprendere meglio la correlazione biomeccanica tra postura e occlusione è importante ricordare che i muscoli striati del corpo possono mutare la loro azione a seconda del capo che risulta fisso per la stabilizzazione dei segmenti ossei su cui si inserisce. Tutta la fisiologia del movimento mandibolare si basa su questo concetto fondamentale: i muscoli che prendono inserzione sulla mandibola si muovono partendo da due possibili punti fissi, il cranio e l’osso ioide . 

In presenza di corretto allineamento posturale, avremo una stabilizzazione della testa sulla cervicale, grazie all'armonica funzione dei muscoli estensori (spleni, muscoli lungo del capo e del collo, semispinali, muscoli retti e obliqui del capo o sub-occipitali, muscoli del dorso) e flessori (sterno-cleido-mastoideo, scaleni) del tratto cervicale e dell'osso ioide (muscoli sopraioidei e sottoioidei). In tale situazione, i muscoli temporali, masseteri e pterigoidei interni contraendosi elevano la mandibola, prendendo come punto fisso il cranio, mentre la contrazione dei muscoli sopraioidei abbassa la mandibola (punto fisso sul complesso faringe-ioide-rachide); solo in estrema apertura della bocca si ha un leggera estensione del capo sul collo. 
E' facile intuire che, di conseguenza, in caso di postura scorretta, in cui ad esempio è presente un'anteriorizzazione della testa (con rettilinizzazione cervicale), avremo uno scompenso di tono muscolare di base fra i muscoli anteriori e posteriori del collo (e quindi delle rispettive catene muscolari) a cui spesso si aggiunge un'abitudine al serramento mandibolare (da stress), che andrà a incidere, in modo particolare, a livello dell'articolazione atlanto-occipitale e dell'apparato stomatognatico. 

La mandibola, principale osso mobile dell'apparato stomatognatico, è connessa meccanicamente al cranio attraverso due articolazioni simmetriche, articolazioni temporo-mandibolari (ATM), dotate di grande libertà di movimento. Esse, data l'incogruenza delle superfici articolari, presentano un cuscinetto articolare (disco fibro-cartilagineo), il menisco, che svolge funzione di ammortizzamento, lubrificazione e scorrimento. Infatti i condili mandibolari (teste articolari dei rami mandibolari) non solo ruotano su stessi, all'interno delle cavità o fosse glenoidee (aprendo la bocca per circa 20-25 mm), ma possono anche scorrere in avanti per permettere una maggiore apertura della bocca, consentendo così il pieno espletamento meccanico delle funzioni dell'apparato stomatognatico. 
Le articolazioni temporo-mandibolari costituiscono due strutture anatomiche funzionalmente inseparabili e in stretta relazione con un sistema complesso e interconneso di legamenti, ossa, muscoli, nervi e vasi sanguigni. Esse, infatti, fanno parte di quella catena dinamico-funzionale dell'attività stomatognatica in cui rientrano le strutture scheletriche mandibolari e mascellari con l'osso ioide e il complesso faringeo, le guance, i denti e il paradonto, la lingua, il sistema legamentoso e neuro-muscolare, nonché i sistemi vascolare e linfatico. 

Le articolazioni temporomandibolari (ATM) umane sommano insieme le caratteristiche dinamico-morfo-funzionali delle specie carnivore ed erbivore. Gli animali carnivori hanno un'articolazione a cerniera preposta ai movimenti di apertura e chiusura, cioè ad azioni di forza esclusivamente verticale. Negli erbivori, al contrario, sono sviluppati principalmente i movimenti di lateralità. Le ATM dei primati, e quelle umane in particolare, presentano una morfologia che è la risultante degli effetti dei movimenti di apertura a cerniera, di protrusione-retrusione e di lateralità destra-sinistra, nonché del movimento di circumduzione, risultante dalla loro somma e combinazione. Tutti questi movimenti sono possibili grazie a una serie di muscoli appartenenti al cranio e al collo (muscoli masticatori). 
I movimenti mandibolari sul piano sagittale, che vengono effettuati tramite i muscoli masticatori, sono quattro: apertura (muscoli pterigoideo esterno o laterale e sopraioidei), chiusura, protrusione (scivolamento anteriore, muscoli pterigoideo interno o mediale ed esterno o laterale) e retrusione (scivolamento posteriore, muscoli temporale e digastrico). Questi movimenti risultano fisiologicamente inscindibili e, in condizioni di normalità, analizzando lo spostamento di un punto incisivo inferiore, si succedono secondo il caratteristico schema di Posselt. 

Nel movimento di apertura della mandibola, il passaggio dalla corretta occlusione (occlusione centrica) alla posizione di riposo avviene per rotazione di circa 2 gradi attorno all'asse bicondilare (orizzontale). Successivamente i condili ruotano ulteriormente anteriormente fino a circa 10-12 gradi "a cerniera" (in questa fase infatti il movimento traslatorio è minimo, circa 1-2 mm) consentendo un'apertura di 20-25 mm tra i margini dei denti incisivi delle due arcate (un'apertura fisiologica è quindi superiore ai 2-2,5 cm che è l'ampiezza data dalla sola rotazione dei condili mandibolari nelle fosse glenoidee). L'ulteriore abbassamento mandibolare avviene per traslazione anteriore e inferiore (protusione) dei condili e del disco articolare (spostamenti sull'asse sagittale e verticale), lungo il cosiddetto tragitto condilare, fino al tubercolo articolare dell'osso temporale, il cui apice viene quasi raggiunto tramite un ulteriore movimento antero-rotatorio del condilo; lo spazio di massima apertura fra incisivi superiori e inferiori è di circa 5-6 cm. 

Il movimento di chiusura mandibolare, partendo dalla posizione di massima apertura, inizia con una rotazione posteriore del condilo, col disco articolare che resta fermo anteriormente, e prosegue con un movimento combinato di retro-rotazione e traslazione posteriore-superiore (retrusione) dei condili e dei dischi articolari che rientrano in sede (cavità glenoidea dell'osso temporale). Il movimento di chiusura risulta quindi posteriore rispetto a quello di apertura. 
I movimenti di retrusione, protrusione (e di lateralità) fisiologici hanno un valore pari ca. 1/4 dei movimenti di apertura della bocca. La massima traslazione dei condili in protrusione coincide con quella della massima apertura mandibolare (gli incisivi inferiori oltrepassano anteriormente i superiori di 7-10 mm). 
I movimenti di lateralità della mandibola (detti anche abduzione-adduzione) avvengono normalmente durante la masticazione, in particolare, degli alimenti di origine vegetale. In tali azioni rientra il ruolo dei muscoli pterigoideo laterale e mediale. Come per i movimenti protrusivi, anche quelli di lateralità sono considerati fisiologici quando il loro valore corrisponde a circa 1/4 del valore di apertura della bocca. 
Il limite massimo di traslazione laterale della mandibola in occlusione abituale, considerato fisiologico, è pari (più frequentemente la traslazione della mandibola è verso sinistra). 

Negli spostamenti laterali mandibolari i due condili si comportano in maniera diversa l'una dall'altro. Il condilo omolaterale (dello stesso lato) allo spotamento ruota intorno all'asse verticale spostandosi lateralmente e posteriormente (condilo ruotante). L'altro condilo (condilo orbitante) subisce uno spostamento anteriore e mediale (interno) fino al tubercolo articolare dell'osso temporale. I denti canini (chiave canina) controllano la lateralità in bocca, così come i molari (chiave molare) gestiscono la verticalità 
La mandibola si trova in condizione di riposo quando esiste uno spazio libero interocclusale posteriore (denti non a contatto, 1-3 mm di distanza tra i premolari inferiori e superiori), il sigillo anteriore è in normotono (labbra chiuse senza sforzo), la lingua è spontaneamente appoggiata sul palato (con la punta appoggiata sulla papilla retroincisiva e con la parte anteriore del suo dorso sul palato duro) e vi è una regolare respirazione del naso. 
La verticalità in bocca o dimensione verticale (apertura boccale a riposo) è determinata dai denti molari (chiave molare), così come per il piede, la verticalità, è regolata dal retropiede. 

La relazione centrica funzionale esprime la centratura dei condili mandibolari rispetto alle relative fosse condilari in condizioni di riposo fisiologico mandibolare e in ortostatismo (posizione eretta) abituale. Tale condizione è attuabile solo in condizioni di postura fisiologica del capo e del collo (non si può cioè mettere una mandibola in centrica rispetto al cranio senza posizionare contemporaneamente in centrica anche il cranio rispetto al tratto cervicale e quindi normalizzare la postura). La ricerca della relazione centrica funzionale deve rappresentare al priorità assoluta in ortodonzia e gnatologia. Mirare al riprisitino delle funzioni è infatti probabilmente l'atto terapeutico più importante, secondo il principio che è la funzione che governa e plasma la struttura. In altre parole una normalizzazione strutturale locale non deve esser fine a se stessa ma possedere l'obiettivo finale di un riequilibrio/miglioramento funzionale che, in questo caso, dalla bocca si amplifichi a tutta la postura.

Si passa da una relazione centrica funzionale a una occlusione centrica quando l'occlusione abituale avviene con la mandibola in equilibrio rispetto alle fosse glenoidee (equilibrio dei condili) ossia i denti intercuspidano tutti contemporaneamente in maniera corretta.
Tutte le volte che la situazione di occlusione centrica non viene riscontrata ci troveremo di fronte a maloclussioni ovvero ad anomale relazioni di contatto tra i denti che generano traslazioni mandibolari sul piano sagittale e/o sul piano trasversale. In generale le alterazioni scheletriche bilaterali simmetriche si evidenziano sul profilo ovvero sul piano sagittale, mentre quelle asimmetriche si esprimono sul piano trasversale come torsione mandibola-cranio. 

Nella definizione della classe scheletrica occorrerebbe sempre valutare, oltre al rapporto mascella-mandibola, la curva del tratto cervicale (in particolare la cerniera atlanto occipitale), la postura linguale tramite il sigillo labiale, nonchè la postura generale del soggetto; il tutto non solo dal punto di vista strutturale ma anche (e soprattutto) funzionale.  

La I classe scheletrica, che definisce la normalità fisiologica, corrisponde a: testa in “centrica" rispetto al tratto cervicale, mandibola in “centrica" rispetto al cranio, lingua in “centrica" sul palato, unita cranio-cervico-mandibolare in "centrica" rispetto al corretto baricentro corporeo (postura generale fisiologica). Queste tre "relazioni centriche" essendo interdipendenti vanno ricercate e valutate contemporaneamente. Essendo esse inoltre, a loro volta, strettamente dipendenti dalla postura in generale, risulta evidente la necessità di un completo esame posturale. 

La II classe basale definisce classicamente una retrusione della mandibola rispetto alla mascella (corrispondente a dislocazione posteriore alta dei condili rispetto alle fosse temporali con conseguenti traiettorie condilari più ripide), sigillo labiale inefficiente (in quanto il labbro inferiore risulta posteriorizzato rispetto al superiore), possibile alterazione della postura linguale a a riposo e in deglutizione. 

Nella III classe avremo: protrusione della mandibola rispetto al mascella (condili in posizione anteriore e inferiore e quindi traiettorie condilari più dolci), incompetenza del sigillo labiale in quanto, in questo caso, il labbro inferiore risulta anteriorizzato rispetto al superiore, possibile alterazione della postura e funzione linguale. 

Le malocclusioni si classificano generalmente in:

  • Morso profondo o sovramorso (overbite): gli incisivi superiori coprono molto quelli inferiori, a volte completamente. Se gli incisivi superiori sono flessi anteriormente creando così uno spazio trasversale eccessivo tra loro e gli incisivi inferiori (overjet), questa situazione fa perdere la chiusura delle labbra (sigillo labiale) e obbliga la lingua ad un lavoro anomalo a ogni deglutizione di saliva. Questa malocclusione viene classicamente definita di II classe, I divisione. Se gli incisivi superiori sono piegati posteriormente, ciò può condizionare i movimenti della mandibola costringendola a stare più indietro (classicamente definita come malocclusione di II classe, II divisione).

  • Morso inverso (overjet negativo, crossbite): si riscontra nelle classiche malocclusioni di III classe. In questo caso esiste uno spazio trasversale tra incisivi superiori e inferiori a causa di protrusione della mandibola (per cui gli incisi inferiori risultano anteriori ai superiori). Anche qui risulta compremesso il sigillo labiale e la normale funzione di deglutizione e masticazione.

  • Morso aperto: è presente molto spazio verticale (dimensione verticale) fra i denti anteriori superiori e inferiori. Oltre al fatto di perdere il sigillo delle labbra, in questi casi si instaura anche una deglutizione, detta infantile, con la lingua che spinge violentemente fra le due arcate, probabilmente per cercare di ottenere quella chiusura che permetta una depressione utile alla deglutizione.

  • Morso incrociato: i denti di un lato o di entrambi i lati combaciano in modo inverso rispetto alla norma. Il morso incrociato monolaterale è quasi sempre accompagnato da spostamento laterale di mandibola e mento verso il lato opposto all'incrocio. In tali casi è comune il sovraccarico della articolazione dello stesso lato della deviazione e una contrattura muscolare asimmetrica. Nel morso incrociato bilaterale la simmetria può essere conservata ma l'occlusione "a forbice" limita i movimenti funzionali della mandibola causando lo spasmo (contrazione) dei muscoli facciali.

  • Affollamento dentale: è causato dalla differenza tra spazio esistente e dimensione dentale. Si ha così intrinseca instabilità di combaciamento, disfunzione dentale specifica. In queste condizioni è facile che si possa instaurare un bruxismo e un sovraccarico delle articolazioni mandibolari (muscoli masticatori molto contratti).

  • Occlusione testa a testa: la mancanza di contatto "dente con due denti" determina una instabilità di appoggio dentale. Si ha così frequentemente una sensazione di incertezza di combaciamento con la lingua che cerca di compensare il problema incuneandosi e fungendo da "cuscinetto". Per questo motivo i bordi della lingua sono frastagliati e presentano lo stampo dei denti. La deglutizione è anomala e lo stato dei muscoli facciali è pesantemente alterato e contratto.

  • Morso edentulo (estrusione dentale) se mancano da molto tempo i denti di un'arcata, gli antagonisti, non combaciando con niente, tendono normalmente a crescere incuneandosi parzialmente nello spazio esistente (estrusione dentale con incastro). In queste condizioni i movimenti funzionali di masticazione della mandibola sono fortemente limitati e si determina una contrazione muscolare anomala che funge da freno alla mandibola in modo da evitarle l'urto contro i denti adiacenti. I muscoli facciali sono particolarmente contratti ed affaticati. 

Nel caso in cui i denti antagonisti crescono fino a chiudere tutto lo spazio esistente, incuneando totalmente e arrivando così anche a toccare la gengiva dell'altra arcata, essi impediscono del tutto l'appoggio masticatorio posteriore, vero e proprio puntello di sostegno delle articolazioni temporo-mandibolari. In tale situazione, la diminuita dimensione verticale che ne risulta determina anche una compressione del menisco articolare omolaterale (dello stesso lato disfunzionale) con conseguente usura precoce e dislocazione (spostamento). I muscoli facciali omolaterali risultano generalmente particolarmente contratti e affaticati.

Evidentemente le malocclusioni possono derivare anche da anomalie strutturali ossee come, ad esempio, in caso di masticazione monolaterale infantile che, di conseguenza, comporta uno sviluppo asimmetrico degli ossi mascellari (dismorfosi) con maggior sviluppo dell'osso mascellare dello stesso lato della masticazione e conseguente traslazione laterale opposta della mandibola. Anomalie nello sviluppo anatomico della cavità orale, delle ossa mascellari e di conseguenza del cranio possono derivare anche da un disarmonico utilizzo della lingua, loro naturale conformazione morfo-funzionale, nella prima infanzia in particolare

Si stima che almeno il 70% della popolazione soffra di disfunzioni dell'apparato stomatognatico (non sono rari i casi di artrosi delle articolazioni temporo-mandibolari già a 12 anni). Dato il peso sia ponderale che fisiologico dell'unità cranio-cervico-mandibolare, altrettanto chiaro risulta come tali disfunzioni possono essere implicate in patologie di origine posturale sia muscolo-scheletriche che organiche, sia discendenti (originanti dall'apparato stomatognatico) sia ascendenti (che originano dai piedi), come più spesso accade, miste; appoggio podalico e appoggio occlusale rappresentano due fattori di enorme influenza del posizionamento del bacino, quest'ultimo fattore critico riguardo la più importante funzione dell'organismo ossia il moto specifico (deambulazione). 

E' evidente che una malocclusione incide direttamente su tutti i muscoli masticatori, alcuni dei quali possono andare incontro ad un marcato aumento del tono muscolare (ipertono) con comparsa di indolenzimenti, dolori, disfunzioni stomatognatiche, alterazioni posturali ecc. Le torsioni cranio-mandibolari, in particolare, possono interferire sulla fisiologica funzionalità dei recettori visivi, uditivi e vestibolari. I muscoli del viso e del collo, coinvolti in continue tensioni per tenere la testa e la mandibola in particolari posizioni non fisiologiche, possono scatenare vari meccanismi patologici.

Di seguito si riportano alcuni articoli specifici di studi effettuati per capire la relazione fra ATM e Postura scorretta;

La relazione tra occlusione dentale / stato dell'articolazione temporomandibolare e salute generale del corpo: Parte 1. L'occlusione dentale e lo stato dell'ATM esercitano un'influenza sulla salute generale del corpo?

ci sono stati vari studi che hanno suggerito una relazione tra lo stato di occlusione dentale / articolazione temporo-mandibolare (ATM) e la salute generale del corpo. Pertanto, è importante chiarire le relazioni sistematiche e i corrispondenti meccanismi di azione tra di loro.

Obiettivi: lo scopo di questa parte dello studio era di rivedere le relazioni tra occlusione dentale / stato dell'ATM e salute sistemica del corpo sulla base della letteratura pubblicata.

Metodi: questo studio, basato principalmente su articoli specialistici sottoposti a revisione paritaria, ha determinato che lo stato di occlusione dentale / ATM esercita un'influenza sulla sincronizzazione dei muscoli della testa e della mascella con i muscoli di altri siti del corpo per una corretta postura del corpo; stabilità del corpo come equilibrio del corpo (equilibrio), fluttuazione del baricentro e stabilità dello sguardo; e le prestazioni fisiche insieme alla forma fisica.

Conclusioni: pertanto, queste relazioni dovrebbero essere ulteriormente studiate ed estese a tutto il corpo e i meccanismi di azione dovrebbero essere chiariti.


Oppure, 

Disfunzione cervicale asintomatica (CSD) in pazienti con alterazione interna dell'articolazione temporo-mandibolare

I pazienti con disturbi temporomandibolari (TMD) mostrano spesso sintomi correlati alla colonna cervicale. Non è tuttavia noto se i pazienti con TMD che non presentano sintomi nella regione del collo abbiano spesso segni di disfunzione del rachide cervicale (CSD) e se vi sia una localizzazione predominante di questi CSD asintomatici. In uno studio clinico prospettico e controllato in cieco, è stata esaminata la prevalenza e la localizzazione del CSD asintomatico in pazienti con TMD. Trenta pazienti con alterazione interna dell'articolazione temporo-mandibolare, ma senza problemi al collo, sono stati confrontati con controlli sani di età pari a 30 anni e di genere. Nel gruppo di pazienti sono state riscontrate disfunzioni significativamente più asintomatiche delle articolazioni vertebrali e aumento della tenerezza muscolare. La differenza tra pazienti e non pazienti per disfunzione articolare vertebrale e dolorabilità muscolare era maggiore nella colonna cervicale superiore. Questi risultati supportano la tesi secondo cui dovrebbe essere eseguito un esame complementare di quest'area, anche quando i pazienti con TMD non riportano alcun problema al collo.



In Conclusione possiamo dire che ATM e Postura sono legate e spesso si tende a non relazionare le due cose. 
E’ quindi importante ricordare quanto sia opportuno verificare le condizioni della propria occlusione qualora si avvertissero problematiche a livello del tratto cervicale o problemi comunque legati alla postura generale, dato che come riportato da studi scientifici le due cose siano a stratto contatto o comunque possano essere legate in qualche modo.

Anche il Bruxismo porta ad avere problematiche cervicali e possibili mal di testa, ennesima prova di come occlusione e mal di testa / problemi a livello cervicale siano collegati, importante saper riconoscere ed intervenire al fine di intervenire nel modo giusto ed evitare complicazioni ulteriori.





Referenze:

  • Dr. Giovanni Chetta approfondimenti
  • The Journal of Alternative and Complementary Medicine Paradigm, Practice, and Policy Advancing Integrative Health
  • Author information Matthias Fink ; Dr. Harald Tschernitschek ; Dr. Meike Stiesch-Scholtz
  • The Journal of Craniomandibular & Sleep Practice



Author : Riccardo Di Paola Writing Articles & Social Media Marketing Scienze Salute Benessere

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